“Durante la manifestazione il gruppo di
‘antagonisti’ capeggiato da Caruso Francesco,
Cirillo Francesco ed altri, nonostante l’esiguo
numero, tentavano di forzare il blocco
lanciando verdura ed ortaggi nei confronti delle
forze dell’ordine....Poi una persona, non
meglio identificata, prende il megafono e
afferma: con un cavolfiore vi seppelliremo” [1]
1. L’inchiesta
Il 15 novembre 2002 vengono arrestati 13 attivisti del
movimento no-global meridionale ed altri 7 vengono posti agli arresti
domiciliari. I capi d’imputazione sono pesantissimi: associazione sovversiva,
cospirazione politica, attentato agli organi costituzionali dello stato,
propaganda sovversiva. Cosenza, Taranto e Napoli le aree coinvolte nella
maxi-indagine [2]. Le 359 pagine dell’ordinanza di
custodia cautelare firmata dal Gip di Cosenza, Nadia Plastina, su richiesta del
Pm Domenico Fiordalisi, affermano che gli indagati hanno “...costituito e
fatto parte di un’associazione sovversiva nel territorio dello stato, all’interno
di una associazione molto più vasta, denominata ‘Rete meridionale del Sud
Ribelle’ costituita formalmente a Cosenza il 19 maggio 2001 che unisce
numerosi soggetti e gruppi antagonisti del meridione, al fine di commettere il
delitto di cui all’art. 2892 comma 2 c.p. e di turbare l’esercizio delle
funzioni del Governo italiano, rendendo ingestibile l’ordine pubblico durante
il Global Forum Ocse Napoli nel mese di marzo 2001 ed il vertice G8 a Genova nel
mese di luglio 2001, all’uopo organizzando e provocando scontri di numerosi
manifestanti con le forze dell’ordine” [3].
Nell’aprile del 2004 la procura cosentina ottiene il rinvio
a giudizio per 11 dei 18 indagati; a questi si aggiungono anche i nomi di Luca
Casarini e di Alfonso De Vito, padovano il primo, napoletano il secondo.
Diverse centinaia di ore di intercettazioni telefoniche, informatiche e
ambientali; 2 anni e mezzo di indagini con grande impiego di uomini e mezzi;
materiali investigativi provenienti dalle inchieste sui fatti di Genova e Napoli
per oltre 30.000 pagine di atti processuali; e poi una serie infinita di riprese
video e fotografiche di manifestazioni pubbliche. Una massa enorme di documenti
che testimoniano la grande potenza investigativa impegnata e che costringono la
difesa degli inquisiti a navigare in un mare di carte senza fine.
Nel mese di novembre 2004 un’intervista al Ministro degli
interni Pisanu chiarisce la lettura che gli apparati dell’antiterrorismo danno
della situazione attuale del movimento. “È la tesi dell’infiltrazione
antagonista che rimbalza da mesi nei rapporti Sisde... Pisanu delinea ‘tre
componenti: quella pacifica del Social Forum; quella dei disobbedienti, inclini
ad azioni illegali tra cui i cosiddetti espropri proletari; quella dell’antagonismo
più radicale, anarchici, marxisti leninisti e autonomia di classe che scelgono
la violenza e possono andare oltre la propaganda armata’. I soggetti dell’antagonismo
premono sulle frange sindacali più sensibili per deviare il corso delle
vertenze e mettere in crisi le grandi organizzazioni dei lavoratori,
estremizzando il conflitto” [4].
Le tre componenti colpite dall’inchiesta di Cosenza sono
appunto il sindacalismo di base, i disobbedienti e l’area antagonista. È il
teorema inquisitorio confezionato dai carabinieri del Ros e dalla Procura
cosentina che si afferma come lettura egemone nel campo dell’antiterrorismo e
si fa verità politica.
L’operazione investigativa che ha portato ai 13 arresti di
militanti di Cosenza, Taranto e Napoli è stata realizzata dal Ros, Reparto
operativo speciale dei Carabinieri [5] e dalla Digos
cosentina. Partita quando le indagini sulle nuove Brigate Rosse brancolavano nel
buio, confezionando una serie di fallimenti investigativi e clamorosi
abbagli [6], l’indagine sul Sud
Ribelle è approdata nel dicembre 2004 all’aula del Tribunale della Corte di
Assise di Cosenza, significativamente depotenziata dai risultati repressivi
ottenuti sul nuovo fenomeno brigatista [7]. Perché il punto di forza di questo procedimento era
proprio la correlazione tra ambienti del movimento con le formazioni armate
neo-brigatiste che si sono mosse in questi ultimi anni. L’indagine parte,
infatti, dal rinvenimento di un volantino dei Nipr [8] che rivendicava un attentato dinamitardo
avvenuto a Roma nel dicembre 2002, e si snodano su un’ipotesi di radicamento
territoriale di questa formazione proprio in quella Cosenza “patria di un
pezzo importante dell’autonomia operaia degli anni settanta, dove qualche
militante storico dei centri sociali cittadini ha un’illustre frequentazione
carceraria nientedimeno con uno dei fondatori delle Brigate Rosse, Renato Curcio”
[9].
I dispositivi dell’aggressione penale utilizzati hanno
pescato non solo nelle tipologie di reato consegnate dall’emergenzialismo al
nostro codice penale, ma sono state ‘costrette’ anche a riattivare l’antico
armamentario penale che il fascismo aveva costruito per annientare l’opposizione
politica durante il ventennio. Probabilmente l’inconsistenza degli
elementi di indagine non ha consentito di formulare le ipotesi accusatorie che
rimandano più direttamente all’ipotesi di associazione terroristica. Sia per
la natura dei materiali investigativi raccolti (intercettazioni, e-mail, siti
internet, dichiarazioni stampa, ecc.) sia, soprattutto, per l’inesistenza di
fatti oggettivi che potessero sostenere l’accusa di finalità terroristiche (i
fatti accaduti a Napoli e Genova si prestano più ad essere configurati come
azioni insurrezionalistiche che terroristiche), il discorso inquisitorio è
stato costretto a muoversi sui terreni molto scivolosi dei reati di
opinione [10]. Una scelta tattica che
richiama alla memoria quegli scenari della guerra civile che hanno insanguinato
la storia italiana del dopoguerra e degli anni cinquanta, quando il nemico
interno di allora erano i comunisti ed il loro partito. Così Della Porta e
Reiter ricordano quegli anni: “I disordini provocati dall’attentato del 14
luglio 1948 contro il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti
portarono all’intervento della polizia secondo le tattiche per una ‘guerra
civile fredda’ che essa aveva sviluppato. Il Governo italiano dichiarò
infatti che dietro la protesta popolare c’erano i noti piani insurrezionali
del PCI e che la proclamazione di uno sciopero generale in difesa della
democrazia da parte della Cgil e la richiesta di “dimissioni del governo della
discordia e della fame, del governo della guerra civile” da parte della
direzione del Pci erano le prime indicazioni in questa direzione” [11].
Tra i vecchi arnesi della guerra civile italiana nell’inchiesta
di Cosenza finora non è apparso un dispositivo tipico del modello di indagine
seguito dai carabinieri: il pentitismo. Chi conosce i metodi investigativi del
Ros sa anche che nella quasi totalità delle loro ‘grandi operazioni’ è
stata usata questa particolare arma, dalla potenza grandemente distruttiva. Nota
ai più giovani come la legislazione che ha aiutato la lotta contro le
organizzazioni mafiose, il pentitismo nasce durante lo scontro che negli anni
dell’emergenza lo stato ha combattuto contro le formazioni politiche armate,
salvo poi insediarsi stabilmente nel nostro codice penale e svolgere un compito
di grande importanza nella stagione della lotta alle mafie [12].
I casi recenti più famosi, per quanto riguarda il movimento,
sono l’inchiesta che agli inizi degli anni ’90 il Ros fece sugli ambienti
anarchici e quella sul caso Sofri, col pentimento di Marino [13]. In entrambi i
casi i carabinieri hanno trovato nella collaborazione di questi personaggi un
contributo decisivo ai loro teoremi accusatori.
2. Un teorema in cerca d’autore
“...perché ciò che conta, ai fini della sussistenza
del reato associativo, è la concreta potenzialità della
consumazione dei reati fine e non anche la effettiva
realizzazione degli stessi, che pure, spesso,
costituiscono il punto di partenza dei processi, ma
solo per esigenze investigative e giammai
normative” [14]
L’intelligenza e la memoria operativa che sta dietro questa
operazione è, appunto, quella del Ros dei Carabinieri, o meglio, di quel pezzo
di questa struttura che lavora nell’antiterrorismo e che ha collocato il suo
ex capo, il Generale Mori, al vertice del Sisde. L’attuale capo del Ros è il
generale Ganzer [15], anch’egli
cresciuto, come Mori, nei gloriosi reparti speciali dell’antiterrorismo del
Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, creati negli anni settanta [16]. Il Ros è la stessa struttura investigativa che, nell’ambito
delle indagini sulle nuove brigate rosse, ha realizzato l’operazione che ha
portato nel 2001 agli arresti dei militanti di Iniziativa Comunista [17]. È l’organismo che lavora, sin dall’inizio
degli anni ’90, alla costruzione di ipotesi investigative che provino i
rapporti tra il movimento, i gruppi insurrezionalisti e le nuove Brigate Rosse,
quello che dopo il fallimento dell’operazione che il Ministero degli interni
condusse con il clamoroso arresto di Alessandro Geri, accusato di essere il
telefonista delle Br nel delitto D’Antona, scese in campo con l’inchiesta su
Iniziativa Comunista.
Il Ros sta seguendo da tempo due piani d’indagine. Il primo
scava intorno ad alcune aree del movimento alla ricerca di legami organizzativi
e strategici con i nuovi gruppi della lotta armata. Il secondo punta
direttamente ad un disegno più ambizioso: provare che le pratiche di lotta dei
no global sono la dimostrazione di una strategia sovversiva in atto, che l’esistenza
stessa di un conflitto esteso e radicato rappresenta una minaccia forte per la
stabilità politica del paese. È su questo versante che si muove l’attacco
portato con l’inchiesta di Cosenza; e qui il legame ‘naturale’ dei
carabinieri con il fratello ‘atlantico’ che sta ancor scrivendo gli elenchi
delle formazioni terroristiche internazionali è indubbiamente forte [18]. Tra l’altro
la presenza nelle strade di Genova nel luglio del 2001 del battaglione Tuscania,
attualmente attivo negli scenari irakeni e afgani, è l’eloquente
dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, del peso internazionale che questa
polizia ha assunto oggi. Forse è proprio per questa consapevolezza che Massimo
D’Alema gli ha consegnato nel 2000 lo statuto di quarta forza armata del
paese [19].
Ma nell’inchiesta di Cosenza non è assolutamente da
sottovalutare il ruolo svolto dalla Digos, e non solo da quella della città
calabrese. Se la “sceneggiatura” del Ros ha potuto contestualizzarsi nella
situazione concreta del movimento cosentino è perché ha saputo integrarsi con
la grande quantità di materiali investigativi che la polizia di stato ha
raccolto in questi anni sulle situazioni del movimento. La sinergia tra il
teorema dei carabinieri e questi materiali ha dato corpo e volti alle ipotesi
accusatorie contenute in quel grande racconto di scenario confezionato dai
servizi. L’attività informativa messa in campo in questi anni dagli organi di
polizia ha ormai accumulato patrimoni informativi veramente importanti sulle
realtà di movimento. Dopo la stagione emergenziale degli anni dell’antimafia
e della lotta alla corruzione, con l’apparire del nuovo movimento di Seattle
gli apparati di sicurezza hanno repentinamente riorientato il fuoco della loro
attenzione verso la ricomparsa del loro nemico interno di sempre. E la massa
enorme di atti che è stata riversata nell’inchiesta di Cosenza è soltanto
una prova della enorme e invasiva capacità di penetrazione dei sistemi di
controllo sociale messi oggi in campo, anche grazie alla crescita di efficacia
di queste attività, riconducibile alle nuove tecnologie messe a disposizione di
chi oggi “indaga” [20].
La regia dell’operazione Cosenza è stata infine molto
attenta anche nella scelta della simbologia che ha poi usato nella
comunicazione. La decisione di individuare le supercarceri di Trani e Latina per
ospitare gli arrestati rimanda direttamente alla stagione dell’emergenza degli
anni settanta, alle strategie ed alla logistica dei reparti speciali dell’antiterrorismo
del generale Dalla Chiesa, le prigioni di massima sicurezza da lui volute, la
politica di annientamento che in quelle carceri venne attuata sui militanti
delle formazioni politiche armate detenuti [21].
Come riportato anche da diversi organi di stampa [22], il
pacchetto di materiale investigativo usato dalla Procura di Cosenza avrebbe
girato diversi uffici giudiziari della penisola, prima di trovare qualche
magistrato disposto ad utilizzarlo. Sembra che l’ipotesi incriminatoria del
Ros non abbia convinto le procure di Napoli, Genova e Torino e sia stata poi
costretta ad approdare nell’oscuro palazzo del Tribunale di Cosenza. È
probabile che anche gli arresti avvenuti a Taranto maggio 2002 [23]. siano stati il
primo fallimento del tentativo di criminalizzazione portato dal Ros. Ricordiamo
che allora 10 militanti furono arrestati con l’ipotesi di aver costituito un’associazione
sovversiva, con materiali che utilizzavano fatti accaduti durante il Global
Forum [24] di Napoli ed il G8 di Genova [25].
Le ragioni che hanno costretto i carabinieri a scendere fino
a Cosenza sono abbastanza evidenti. A Genova e, soprattutto, a Napoli operano
magistrature dove c’è una significativa presenza della componente garantista
(è il caso di Napoli) o dove c’è stata una forte accortezza e prudenza nel
pesare col bilancino l’azione giudiziaria sulle dinamiche svoltesi in quelle
due piazze nel 2001, e prova ne sono le inchieste che sono state aperte sia a
Napoli che a Genova anche a carico delle forze dell’ordine. Ricordiamo che a
Genova nei giorni immediatamente successivi agli scontri di piazza e all’omicidio
di Carlo Giuliani furono rimossi il dirigente dell’Ucigos, Arnaldo La Barbera,
e il Questore della città. Inoltre le indagini sull’irruzione alla scuola
Diaz e sui pestaggi di Bolzaneto è tuttora in corso, con possibili sviluppi
tutt’altro che rassicuranti per quanti gestirono quell’operazione [26]. La
strategica ritirata di questa parte dell’antiterrorismo nella Procura di
Cosenza consente, infine, anche la possibilità di sperimentare questa strategia
persecutoria in una sede periferica, per meglio consolidarla come modello di
intervento. Un’inchiesta ed un processo pilota come quello di Cosenza ha anche
lo scopo di costruire giurisprudenza sul movimento, cioè un precedente cui
altri disegni possono ispirarsi per trovare forza. A tal proposito sono
illuminanti le parole pronunciate da Giancarlo Pellegrino, procuratore aggiunto
della Procura di Genova: “Se qualcuno, tra gli imputati di Cosenza, sarà
condannato, allora considereremo se processarlo anche a Genova per concorso in
devastazione e saccheggio. Ma, ripeto, solo in caso di condanna” [27].
Non è un caso anche che pochi mesi dopo l’avvio di questo
procedimento la Procura di Napoli, che da tempo indagava sui gruppi dei
disoccupati organizzati, arrivi a formalizzare un’accusa di associazione a
delinquere finalizzata alla estorsione di posti di lavoro [28]. In sintesi possiamo ritenere questi giudici di Cosenza molto ‘globali’,
nel senso che hanno dimostrato di saper applicare con grande diligenza i
suggerimenti che G. W. Bush ha dato a quanti sono oggi impegnati sul fronte
interno della guerra, secondo le quali il nemico si cela ovunque.
3. I padrini politici
“Con ortaggi e verdura faremo la lotta
sempre più dura. Poi, attraverso il
megafono, prende la parola il citato Caruso
affermando: ‘Allora, i compagni del
servizio d’ordine, armati di carciofi e
scolapasta vengano avanti; le guardie che hanno
preso la camomilla avanti, quelle che hanno preso
le anfetamine indietro’” [29]
I padrini politici di questa operazione sono Alleanza
Nazionale e Forza Italia. Alleanza Nazionale è indubbiamente la componente del
centro-destra, insieme ad un componente significativa di Forza Italia, che
funziona da cabina di regia negli apparati della sicurezza [30]. Anche se in
sede di composizione del governo Berlusconi venne tenuta ad una certa distanza
dai ministeri chiave dell’azione repressiva (Interni, Difesa e Giustizia), la
sua capacità di penetrazione negli apparati è stata fortissima. L’insediamento
privilegiato nella rappresentanza sindacale delle forze di polizia [31] e la presenza
tra i suoi parlamentari di uomini che vengono direttamente dai corpi e dai
servizi di sicurezza [32] assicura agli uomini
di Fini un forte potere di controllo ed indirizzo sugli apparati di sicurezza.
Molti si sono chiesti cosa ci facessero Giancarlo Fini e i suoi colonnelli nelle
sale operative di questura e carabinieri di Genova durante gli scontri di piazza
del 20 e 21: erano con i “loro uomini”.
Accanto all’ex Movimento Sociale vi è quella componente di
Forza Italia che, non soltanto nei confronti del movimento no global, ma anche
contro la Cgil, i girotondini e le grandi manifestazioni di piazza che hanno
attraversato la scena sociale di questo paese negli ultimi anni, ha agitato più
volte l’arma della criminalizzazione, accusando la sinistra di oggettiva
collusione col terrorismo. In questa componente dell’area di centro destra vi
è il chiaro disegno di spingere il movimento sul terreno della guerra. Quel “stavolta
non faremo prigionieri”, pronunciato da Cesare Previti durante l’ultima
campagna elettorale, non è soltanto l’esasperazione dialettica di un uomo
aggredito dal codice delle pene, ma il grido di guerra di un ex ministro della
difesa, cioè di quel ministero cui fa capo l’arma dei carabinieri e una parte
importante dei servizi segreti, cioè dell’intelligence dell’antiterrorismo.
Alla componente dei falchi si somma un’area di colombe che
dopo i fatti di Napoli e Genova ha impresso una svolta alle politiche dell’ordine
pubblico del governo di centro-destra, proponendo una riedizione aggiornata e
corretta di quel “patto per la fermezza” che costruì il fronte di lotta
alle formazioni politiche armate negli anni settanta. La sostituzione di Claudio
Scajola con l’ex democristiano Pisanu alla guida del ministero dell’interno [33] è stato un segnale di stop
che i duri della maggioranza sono stati costretti ad incassare dopo le battaglie
di Napoli e Genova.
Questa componente della destra, cosciente della dubbia
produttività politica delle azioni di ordine pubblico condotte su quelle
piazze, ha avviato un paziente lavoro di differenziazione del fronte avversario,
chiamando la sinistra istituzionale ed una parte importante di quella radicale a
prendere le distanze da quelle forme di lotta che hanno segnato la nascita del
movimento no-global mondiale [34]. I richiami all’unità nazionale contro il terrorismo e la
violenza (di berlingueriana memoria) hanno via via sostituito le
propagandistiche dichiarazioni del premier in occasione dei vari eventi di
piazza susseguitisi alla stagione dei moti di Napoli e Genova, ponendo la
questione delle forme di lotta del movimento che ha infine trovato approdo in
quel “dibattito sulla violenza” che ha immiserito la discussione politica
nel campo della sinistra negli ultimi tempi.
L’obiettivo qui è evidentemente quello di isolare il
movimento dal più vasto campo dell’opinione pubblica di sinistra, il vero
asse che ha garantito la grande partecipazione di massa agli appuntamenti
antiglobalizzazione del biennio 1999-2001 in Italia, costringendolo, al
contempo, ad una normalizzazione ‘democratica’ delle proprie forme di lotta
attraverso l’apertura di una nuova stagione giudiziaria emergenziale. È la
strategia della tensione giudiziaria, che negli ultimi quattro anni ha ormai
accumulato una messa enorme di procedimenti penali e che ha costretto tanti
militanti ed organizzazioni ad approntare strutture di tutela legale che
impegnano energie e risorse economiche importanti. Alle pruderie fascistoidi
delle battaglie di piazza, degli attacchi frontali ai cortei, delle aggressioni
a freddo e delle torture nei lager di Bolzaneto e della Raniero, è seguita
quella strategia della guerra a bassa intensità che ha ormai accumulato
migliaia di procedimenti penali che costringeranno per molti anni tanti
militanti a frequentare le aule di giustizia. Secondo quanto dichiarato dal
deputato verde Paolo Cento “il processo di Cosenza è soltanto la punta dell’iceberg
della campagna repressiva dal momento che ben settemila processi sono stati
aperti dal ciclo di lotte che si sono susseguite dal ’95 fino ai nostri giorni”.
[35]
Il problema qui è quello dell’egemonia all’interno delle
forze di polizia e degli apparati di sicurezza, e della contesa tra le varie
anime del centrodestra sulla migliore strategia di tutela e legittimazione delle
forze dell’ordine di fronte agli attacchi che esse hanno ricevuto dalle
magistrature di Genova e Napoli [36]. Quel “sodalizio” che ha
organizzato le mattanze nelle strade di queste città nel 2001 ha due problemi
seri da gestire: affermare la propria verità su quel che è accaduto in questi
due grandi eventi per tutelare i propri uomini aggrediti dall’azione
giudiziaria avviata a loro carico; preservare quell’immenso patrimonio di
consenso che hanno accumulato in questi anni di imperio delle ideologie
sicuritarie e della tolleranza zero dalla delegittimazione che la
controinformazione del movimento e la reazione indignata di una parte dell’opinione
pubblica a queste mattanze hanno portato alle pratiche del controllo sociale
violento [37].
Per questo possiamo ritenere che il processo di Cosenza
assuma un ruolo di grande rilievo anche sotto l’aspetto del controllo e del
governo degli apparati di sicurezza in questo paese.
Crediamo che, così come nel ’68-69 si rispose con l’apertura
di un fronte di guerra civile alla grande avanzata di quel movimento, oggi, dopo
Napoli, Genova e soprattutto le grandi manifestazioni sindacali e popolari di
questi ultimi anni (pensiamo soltanto alle lotte contro il deposito di scorie
nucleari di Scanzano, o a quelle di Acerra contro la costruzione di un
termovalorizzatore, o alle lotte operaie di Melfi e Arese) si stia giocando una
partita importante nello scontro tra lo stato ed il suo nemico
incoffessabile [38] di sempre. “L’esportazione delle responsabilità, la
prosecuzione indeterminata dell’emergenza, il sociale come luogo del
patologico, l’amnistia negata, la giudiziarizzazione del politico e la pratica
dell’eccezione sono la peculiarità italiana che ci avvicina agli Stati Uniti
per quanto ci allontana dall’Europa. Ma non è detto, per l’Europa: la
situazione è in rapida trasformazione” [39]. Ecco. Nell’ordine del discorso che ruota intorno
alla vicenda del processo di Cosenza si muovono anche questo tipo di
occupazioni.
[1] Ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa in data il 4 novembre 2002 dal G.I.P. presso il
Tribunale di Cosenza.
[2] art. 289 c.p. Attentato contro gli organi costituzionali e
contro le assemblee regionali - È punito con la reclusione non inferiore a
dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un
fatto diretto ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente: 1) al
Presidente della repubblica o a Governo l’esercizio delle attribuzioni o delle
prerogative conferite dalla legge; 2) alle assemblee legislative o ad una di
queste o alla Corte Costituzionale o alle assemblee regionali l’esercizio
delle loro funzioni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il
fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni,
prerogative o funzioni suddette.
[3] Ordinanza di custodia cautelare in
carcere, cit.
[4] Alessandro Mantovani, Pisanu, allarme
espropri, Il Manifesto del 19 novembre 2004.
[5] Il Raggruppamento Operativo Speciale dei
Carabinieri (R.O.S.) è stato costituito il 3 dicembre 1990 in attuazione del
decreto legge 13 novembre 1990, n. 324. Ha guadagnato visibilità e
legittimazione soprattutto sul fronte della lotta alle organizzazioni mafiose.
Ma, contemporaneamente, questa struttura investigativa nel corso degli anni
novanta ha continuato a lavorare nella costruzione di patrimoni informativi
sulle realtà del movimento che hanno portato a diverse inchieste, con retate,
perquisizioni, arresti e processi. E soprattutto da ricordare l’inchiesta
condotta dal Ros sugli ambienti del movimento torinese nel 1998. Il 5 marzo di
quell’anno il Ros e la Digos di Torino arrestano Silvano Pellisseri, Edoardo
Massari e Maria Soledad Rosas, militanti dell’area anarchica. L’accusa,
firmata dal Pm Maurizio Laudi, è associazione sovversiva. Agli indagati si
contestano responsabilità su una serie di attentati ai cantieri dell’alta
velocità avvenuti nei due anni precedenti. Insieme alle perquisizioni nelle
abitazioni di militanti dell’area degli squat, vengono sgomberati due centri
sociali, l’Asilo Occupato e la Casa Occupata di Collegno. Il 29 marzo del ‘98
Edoardo Massari si suicida nel carcere di Le Vallette di Torino. Nel successivo
mese di luglio si toglie la vita anche Maria Soledad Rosas, compagna di Edo. Nel
corso del 2004 è stata avviata un’inchiesta della magistratura sull’operato
della struttura e dei suoi vertici, sospettati di gravi reati, tra i quali
traffico di sostanze stupefacenti, riciclaggio e omicidio.
[6] Ricordiamo soltanto i casi di: Michele Pegna arrestato a Napoli nel
dicembre 2002 perché sospettato di far parte delle nuove Brigate Rosse, dopo
una caccia all’uomo durata una decina di giorni, e poi scarcerato dal
Tribunale per la libertà perché gli indizi a suo carico erano assolutamente
irrilevanti; il caso di Alessandro Geri, un ragazzo romano “frequentatore di
centri sociali”, arrestato dopo che l’antiterrorismo era arrivato a lui
seguendo la scia elettronica di una scheda telefonica ed ovviamente scagionato
da ogni accusa dopo qualche mese; più pesante e clamorosa, infine, fu l’operazione
che portò agli arresti di otto militanti di Iniziativa Comunista arrestati il 3
maggio 2001 con l’accusa di essere fiancheggiatori delle Brigate Rosse,
definitivamente prosciolti soltanto dopo l’operazione che ha portato all’arresto
dei militanti delle nuove Br nell’ottobre 2003.
[7] Il 3 marzo 2003 Nadia Desdemona Lioce e
Mario Galesi, esponenti delle cosiddette nuove Brigate Rosse, sono protagonisti
di una sparatoria su un treno interregionale Roma-Firenze. Nello scontro a fuoco
perdono la vita Galesi ed Emanuele Petri, un agente della polizia ferroviaria.
In seguito al materiale sequestrato alla Lioce (un computer palmare) si apre un’inchiesta
che nel successivo mese di ottobre porterà ad una serie di arresti di presunti
militanti brigatisti.
[8] “Il presente procedimento
penale veniva aperto dalla Procura della Repubblica di Cosenza dopo che i Nipr
(Nuclei di Iniziativa Proletaria Rivoluzionaria...) facevano pervenire alle
Rappresentanze Sindacali Unitarie dello stabilimento Zanussi di Rende un
documento di rivendicazione dell’attentato realizzato il 10.4.2000 alla sede
dell’Istituto per gli Affari Internazionali e del Consiglio per le relazioni
Italia-Stati Uniti di Roma”.
[9] Nell’Ordinanza di custodia cautelare in carcere vi è un espresso
riferimento a questo particolare.
[10] Per alcuni dei reati contestati sono previste le seguenti pene:
cospirazione politica, pena fra i 5 e i 12 anni; associazione sovversiva 5-12
anni; turbamento organi istituzionali 10-24 anni.
[11] Donatella
Della Porta - Herbert Reiter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla
Liberazione ai no-global, Il Mulino, 2003.
[12] P. Sodano, Legislazione,
giurisprudenza e politica penitenziaria dell’emergenza, in Vis-a-vis.
Quaderni per l’autonomia di classe, n. 3, 1993.
[13] Il 17 maggio 1972
il commissario di polizia Luigi Calabresi viene assassinato con due colpi di
pistola mentre esce dalla sua abitazione di Milano. Nelle testimonianze di
allora alcuni elementi concordano. Si parla di un aggressore sulla trentina,
alto e biondo, fuggito su un’auto guidata da una donna. Calabresi è
personaggio assai noto. Il 15 dicembre di tre anni prima, dal suo ufficio al
quarto piano della questura, è precipitato l’anarchico Pino Pinelli, fermato
per la strage di piazza Fontana. La versione offerta dalla questura, poi
dimostratasi falsa, è che Pinelli si sia suicidato perché inchiodato alle “prove
della sua colpevolezza”. Il movimento Lotta Continua e il suo giornale
conducono una dura campagna di opinione contro la questura di Milano e il
commissario Calabresi. Quest’ultimo, nell’autunno del 1971, verrà inquisito
con l’accusa di omicidio. Il procedimento sarà archiviato lo stesso anno dal
giudice D’Ambrosio, che accrediterà l’ipotesi del “malore attivo”. Le
indagini sull’omicidio Calabresi compiute nei mesi seguenti non giungono ad
alcun esito, dopo essersi vanamente indirizzate verso obiettivi della sinistra
extraparlamentare (ma anche dell’estrema destra). Il 28 luglio 1988 Adriano
Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani vengono arrestati all’alba
nelle loro case per l’assassinio di Luigi Calabresi. Due giorni prima,
ufficialmente, è stato arrestato Leonardo Marino, ex militante di LC, ex
operaio, ora venditore ambulante. Si dimostrerà in seguito che i contatti di
Marino con i carabinieri duravano da molto tempo prima dell’arresto. Per tutti
e quattro l’accusa è di omicidio volontario premeditato. Sofri e
Pietrostefani vengono indicati come i mandanti, Bompressi come l’esecutore
materiale, Marino quale “autista” dell’agguato. Altri ex dirigenti di LC
ricevono comunicazioni giudiziarie per concorso in omicidio.
[14] “Ordinanza di custodia cautelare, cit.
[15] Il generale Giampaolo Ganzer, che diventa comandante dei Ros
nel febbraio 2000, è stato per lungo tempo a Padova. Nel 1980 affiancherà il
pubblico ministreo Calogero nel famoso processo del 7 aprile.
[16] Cfr. Salvatore
Verde, Massima sicurezza. Dal carcere speciale allo stato penale,
Odradek, 2002.
[17] Il 3 maggio
2001 vengono arrestati 8 militanti di Iniziativa Comunista, con l’accusa di
essere dei fiancheggiatori delle Brigate Rosse e di aver costituito, organizzato
e diretto un’associazione tendente alla lotta armata per sovvertire
violentemente gli ordinamenti economici e sociali dello stato. È questa, in
sintesi, la motivazione con la quale la Procura di Roma, partendo da un’indagine
condotta dal Ros, ha chiesto al Gip il rinvio a giudizio. La richiesta, firmata
dai pm Italo Ormanni, Franco Ionta e Pietro Saviotti, riguarda Roberto Natali,
la sorella Sabrina, Barbara Battista, Rita Casillo, Stefano De Francesco,
Raffaele Palermo, Franco Gennaro e Luca Ricaldone. Nel respingere l’estraneità
del loro movimento a qualsiasi fatto sovversivo e nel denunciare l’intento
persecutorio della magistratura, gli indagati hanno sempre sostenuto che non c’è
alcun legame tra la loro strenua difesa del marxismo-leninismo e l’ideologia
che ispira le Brigate Rosse. Lo stesso Natali, analizzando il documento di
rivendicazione dell’omicidio di Marco Biagi, aveva espresso una severa critica
nei confronti delle BR e della loro ideologia. Nel 2004 gli otto saranno
prosciolti da ogni accusa.
[18] È questa
la strategia che i carabinieri del Generale Dalla Chiesa seguirono negli anni
settanta contro le organizzazioni armate e il movimento del ‘77. Al piano dell’azione
militare contro le organizzazione armate si sommò allora l’azione che portò
agli arresti del 7 aprile, dove fu l’intera area del movimento che venne
raggiunta dai dispositivi emergenziali. L’associazione sovversiva, le
aggravanti per finalità di terrorismo colpirono allora le pratiche di lotta del
movimento tutto, criminalizzando l’intera galassia dei gruppi e delle
organizzazioni che allora si muovevano nell’area dell’autonomia.
[19] Il 30 marzo 2000 venne approvata in via definitiva al Senato la legge
178 - Delega al Governo in materia di riordino dell’Arma dei carabinieri, del
Corpo forestale dello Stato, del Corpo della Guardia di Finanza e della Polizia
di Stato. Norme in materia di coordinamento delle forze di polizia. Per un’analisi
storica del rapporto tra sinistra ed ordine pubblico vedasi Gaspare De Caro e
Roberto De Caro, La sventurata rispose. La Sinistra e l’Ordine pubblico,
in AA.VV., Guerra civile globale. Tornando a Genova in volo da New York,
Odradek, 2001.
[20] Ma la sistematica raccolta di informazioni sui cittadini
italiani non è affatto una novità per le forze di polizia di questo paese. Si
pensi soltanto che “nel 1969 le schede informative (che nel 1957 erano 14
milioni circa) salirono a 20.748.932; l’anno successivo a 21.198.627”
(Donatella Della Porta-Herbert Reiter, Polizia e protesta. L’ordine
pubblico dalla liberazione ai no-global, Il Mulino, 2003, pag. 218).
[21] Anche nelle dinamiche che hanno
scatenato la repressione nelle strade di Genova il 20 luglio 2001 i carabinieri
hanno svolto un ruolo di primissimo piano. “Dalle dinamiche della piazza
emerge una certezza: l’assalto parte dai carabinieri. Dalle ricostruzioni
successive, e dagli scontri verbali davanti alla Commissione Parlamentale, alle
telecamere, ai taccuini e dai telefoni dei giornalisti, emerge anche che quella
decisione non fu contrattata tra tutte le ‘forze dell’ordine’. I
carabinieri, dunque, si assumono l’incarico di far precipitare la situazione
in piazza, seguendo un proprio piano che modifica e baypassa quello generale.
Una ‘forzatura’, insomma, che corrisponde evidentemente ad una diversa
direzione politica” (AA.VV., Guerra civile globale, cit. pag. 27. Cfr.
inoltre S. Verde, op.cit.
[22] È la tesi
sostenuta da Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica.
[23] “Arrestati 10
No-Global a Taranto, tutti appartenenti all’area dei Cobas, fra loro alcuni
che hanno varcato i cancelli della Bolzaneto. A Taranto i compagni arrestati
sono dieci. Tre compagne e sette compagni. Al momento sono tutti agli arresti
domiciliari. Tra di loro anche un esponente della segreteria nazionale Cobas. I
fermi sono scattati dopo una mattinata di perquisizioni su mandato della
magistratura tarantina per l’ articolo 270. Attualmente sarebbe ancora in
corso la perquisizione alla sede Cobas. In base all’articolo 270 (!?) questa
mattina una vasta operazione di polizia ha portato goffi e solerti agenti della
digos alle perquisizione di un appartamento a Milano e altri 20 più la sede dei
Cobas a Taranto, tutti gli arrestati (poi rilasciati) a Genova, sequestrando
volantini, agende, video di un matrimonio (!!)... in questo momento la polizia
sta tentando di sequestrare i computer della sede Cobas a Taranto... Con il
fermo e l’arresto dei 10 compagni continua l’ondata repressiva, oggi
ordinata dal pubblico ministero dott.a Ida Perrone e dal dott. Matteo Di
Giorgio, sostituto procuratore della repubblica presso il tribunale di
Taranto...” (dal comunicato Cobas, maggio 2002).
[24] AA.VV., Zona Rossa. Le quattro giornate di Napoli contro il Global
Forum, Derive Approdi, 2001.
[25] AA.VV., Guerra
civile globale, op.cit.
[26] In molti
commenti si è letto che nei provvedimenti della procura genovese sono stati
contestati soltanto reati specifici, devastazione, saccheggio, furto, rapina,
resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Anche se la natura dei reati
contestati si presenta più ‘leggera’ rispetto a quelli di Cosenza, è da
puntualizzare il fatto che per il reato di devastazione si rischiano dagli 8 ai
15 anni di carcere, e non è cosa da poco. Non è poi assolutamente da
sottovalutare l’utilizzo di quella particolare fattispecie di ‘reato
associativo’ che è il concorso psichico, che ha fatto sorridere molti
di noi, ma che è dotata di una potenza distruttrice non indifferente. Se, nel
caso dei reati associativi, il ‘concorso morale’ è la strategia giudiziaria
per tirare dentro l’associazione quanti non sono perseguibili per reati
specifici, nel caso delle imputazioni di devastazione, saccheggio, ecc. il
concorso psichico serve a tenere dentro l’ipotesi accusatoria tutti quelli che
erano presenti, a diverso titolo, sulla scena del consumato delitto.
[27] Marco
Meduni, G8: a Cosenza processo fotocopia, www.ilsecoloxix.it, 29 novembre
2004.
[28] Nel mese di
febbraio 2003 i Pm della Procura di Napoli Federico Cafiero De Raho ed
Alessandro Milita presentano 29 richieste di arresto per militanti del Movimento
dei Disoccupati di Napoli e Provincia con l’accusa di aver costituito un “sodalizio
criminale (Associazione a delinquere) finalizzato all’estorsione di corsi di
posti di lavoro e di corsi di formazione professionale ai danni della Regione
Campania”.
[29] Ordinanza di custodia
cautelare, cit.
[30] “La già notata
presenza di ben quattro parlamentari di Alleanza Nazionale nella sala comando
dei carabinieri, tra cui anche un ex maresciallo dell’Arma - Ascierto -, non
può non far pensare ad una corrispondente forzatura dal punto di vista politico
(distrugge da sola la ‘vetrina’ cui Berlusconi tanto teneva), che diventa
una stronzata persino dal punto di vista militare (e forse aiuta a capire
perché i generali italiani non abbiano mai vinto una guerra, e forse neppure
una battaglia) (AA.VV., Guerra civile globale, op.cit.).
[31] Sia nell’inchiesta
di Genova che in quella di Napoli Ignazio La Russa, deputato di Alleanza
Nazionale, ha assunto la difesa legale dei poliziotti nei pestaggi avvenuti
durante l’irruzione alla scuola Diaz e nella caserma Raniero.
[32] Il più noto di tutti è senz’altro l’onorevole
Ascierto, che nelle immediate ore successive agli arresti dei compagni ha avuto
modo di esprimere tutta la sua soddisfazione sull’operazione condotta dalla
procura di Cosenza. Filippo Ascierto, padovano, maresciallo dei carabinieri ed
oggi deputato e responsabile di AN per la sicurezza ha rivendicato l’operazione,
auspicando che si allarghi a tutta l’Italia: “Il reato contestato agli
arrestati dovrebbe far pensare chi continua a considerare i no global come un
pacifico e democratico gruppo di innocui dissidenti. Mi auguro che la
magistratura estenda le indagini ai gruppi del Nord”.
[33] Nel
luglio del 2002 l’ex democristiano Scajola è costretto a dare le dimissioni
da Ministro dell’Interno perché in una conversazione “privata” aveva
definito un “rompicoglioni” il giuslavorista Marco Biagi, caduto in un
attentato realizzato dalle Brigate Rosse, colpevole, secondo il Ministro di aver
sollecitato con insistenza una scorta in quanto si sentiva minacciato. Gli
succede un altro ex democristiano, Beppe Pisanu.
[34] “Ma in questo caso ciò che più conta è
ritrovare le ragioni essenziali per un comune impegno contro l’illegalità
politica ed il terrorismo. Di certo nessuno di noi potrà strumentalizzare la
discussione e fini politici di parte. Del resto siamo tutti egualmente
interessati a garantire la libera manifestazione delle opinioni e del dissenso,
mantenendola però nel largo alveo della legalità costituzionale. In momenti
più difficili di questo, l’unità dei democratici italiani attorno ai valori
fondamentali della Costituzione è riuscita a sconfiggere un terrorismo ben
organizzato, più risoluto e feroce. Anche oggi, pur in presenza di profondi
contrasti sociali e politici, noi siamo capaci, grazie anche al generoso impegno
delle forze dell’ordine, di sconfiggere questo nuovo terrorismo. Basta
volerlo.”) Relazione al parlamento del Ministro Pisanu - Audizione del
ministro Pisanu sul terrorismo interno e internazionale alla Camera del 27
gennaio 2003.
[35] Dichiarazioni rilasciate nel corso di una conferenza stampa di presentazione
della manifestazione nazionale di sostegno agli inquisiti svoltasi a Cosenza il
27 novembre 2004.
[36] Ci riferiamo alle inchieste aperte sulle
prigioni lager di Bolzaneto e della Raniero e sulla violenta degenerazione della
gestione delle due manifestazioni di piazza.
[37] Sulle trasformazioni che hanno investito gli apparati di polizia nella
nuova società neoliberista vedi Salvatore Palidda, “Polizia Postmoderna”,
Feltrinelli, 2000.
[38] Paolo Persichetti e Oreste Scalzone, Il nemico inconfessabile,
Odradek, 1999.
[39] Dalla nota editoriale a AA.VV., Guerra
civile globale, cit.