Capobianco: le vecchie inchieste del PCI sul Meridione
Ernesto Rascato
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Alcuni mesi fa un’intellettuale napoletana, Fabrizia Ramondino, rigorosa
nella critica militante, sulle pagine di Metrovie il supplemento campano
de Il Manifesto, in una sua lettera augurale consigliò ai giovani
redattori di iniziare la collaborazione con il metodo dell’inchiesta
rammentando Mao e i contadini dello Yenan. Sarà parso alquanto strano questo
riferimento perché, per abitudini, pratica e soprattutto stile di lavoro, le
nuove generazioni tendono ad accantonare, forse per velocità di esecuzione, la
pratica dell’inchiesta e della conricerca, che invece affondano nella
tradizione del movimento operaio e delle sue soggettività storiche. Tuttavia, c’è
comunque un impegno e uno sforzo in ambiti militanti affinché le microstorie
che hanno dato corpo alla storia ufficiale vengano recuperate per ridare
vivacità alla memoria, in questo caso quella meridionale. Lodevoli i contributi
delle case editrici Manni e Aramirè con “Tabacco e tabacchine nel Salento”
e “Una memoria interrotta” di Grazia Prontera ambedue sulle lotte contadine
nel periodo ’44-’51 che si affiancano alle testimonianze raccontate e
documentate da Emilio Sereni e Tommaso Fiore sul mondo dei “cafoni” che
seguirono di qualche decennio le inchieste ufficiali dei primi governi
post-unitari. Gli scritti dei due antifascisti furono confortati dalle indagini
sul campo promosse dai giovani sindacati e dai rappresentanti del Partito
Socialista legato ad essi che, in alternativa ai dati ufficiali, leggevano la
realtà (e molto spesso la povertà) del mondo del lavoro, delle campagne e dei
primi insediamenti industriali, e sensibili ambedue alle intenzioni di
trasformazione radicale della società. Coraggiosa e in linea con il rileggere e
lo scrivere le storie territoriali del Sud la scelta della piccola editrice
Spartaco di Santa Maria Capua Vetere, luogo di nascita dell’anarchico Errico
Malatesta, di pubblicare a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro due
raccolte di scritti di Peppino Capobianco, funzionario e membro della
Commissione nazionale di controllo del PCI, studioso della Resistenza e del Sud.
I due volumi sono “Sulle ali della democrazia - Il PCI in una provincia del
Sud” e “Una nuova questione meridionale”. Tutto il lavoro di Capobianco,
ricucito da appunti alla fine degli anni ’80 centra le trasformazioni di Terra
di Lavoro ovvero della provincia di Caserta dagli inizi del 1900 con le prime
presenze rivoluzionarie, critiche o democratiche, i primi municipi rossi che
iniziavano a contendere spazio al blocco di potere agrario e al notabilato nei
paesi dove la presenza dei lavoratori della terra, fossero essi piccoli
contadini, braccianti a giornata, artigiani permetteva la penetrazione delle
idee sovversive. Antiche lavorazioni che oggi non esistono più erano il terreno
di queste penetrazioni politiche. La coltivazione della canapa, ad esempio, nei
latifondi e di conseguenza la concentrazione di lavoratori del settore, dava la
possibilità di promuovere lotte per diritto o salario, di organizzarsi in leghe
e strettamente costruire cellule e sezioni del Partito Socialista prima e del
Comunista poi. Questa vivace presenza distribuita in un territorio completamente
arretrato, dove padrone di terra, sindaco, parroco e maresciallo erano unici
rappresentanti di potere, cultura, fede e i gestori dei rapporti sociali, era un
reale contraltare di idee e di rivendicazioni. Lo scritto, che a volte può
sembrare da contabile per la sua precisione di date, dati, numero di iscritti a
partiti e sindacati, numero di voti nelle varie elezioni a volte con tanto di
preferenza, è un preciso spaccato d’inchiesta fatta con documenti d’epoca e
non con le banche dati delle macchine quindi un lavoro certosino sicuramente da
apprezzare perché predispone l’aggancio ai lavori d’inchiesta sul
territorio che possono essere fatti oggi. Il testo di Peppino Capobianco resta
uno dei documenti necessari per rileggere e rilanciare la questione meridionale
dalla parte delle classi subalterne che nel duemila vengono ancora discriminate
e poco rappresentate. La documentazione che rammenta la nascita di gruppi
politici critici e leghe sindacali territoriali, ricorda che il Sud ha sempre
avuto luoghi e soggetti di resistenza al di là dei luoghi comuni. Il racconto
di figure di militanti di base o dirigenti che sostennero il conflitto negli
anni del fascismo e dell’immediato dopoguerra, quando i vari “lodi”
strappati ai prefetti o ai governi oppure le vicende degli assegnatari delle
terre dell’Opera Nazionale Combattenti spediti durante la dittatura ad abitare
le terre strappate alle paludi con la Bonifica, poi entrati in conflitto con
altri contadini poveri che reclamavano la divisione delle terre del demanio,
sono le microstorie che compongono quasi epicamente la storia delle popolazioni
locali. L’occupazione delle terre incolte divenne anche nel territorio
casertano l’oggetto a contendere tra due mondi: l’uno basato sulla rendita
fondiaria parassitaria, l’altro sul desiderio di sopravvivenza,
trasformazione, volontà di sviluppo collettivo. Questi fatti hanno colorito per
ben dieci anni le vicende del territorio Terra di Lavoro con duri e a volte
tragici epiloghi di scontri ed emigrazione negli anni sessanta, ma che restano
miliari perché se oggi si può abbozzare la nuova composizione di classe è
perché ci sono stati contributi come quello che ci ha lasciato Peppino
Capobianco. Certo le contraddizioni non sono mancate nel Movimento Contadino e
Capobianco puntuale si sofferma a spiegarsene il motivo, dalla capacità di
divisione operata dalla egemonica Democrazia Cristiana degli anni degasperiani
ai limiti della sinistra a essere direzione nello stesso movimento. La
narrazione segue tutto il decennio 1945-55 negli spostamenti elettorali, negli
scontri con la polizia e carabinieri che spesso venivano affrontati dalle donne,
dai tradimenti dei dirigenti in alcuni momenti cruciali, nella caparbietà e nel
raggiungimento spesso parziale degli obiettivi che riguardavano la riforma
agraria. Storie vissute nella diffusa disgregazione meridionale, con dei
riferimenti forti e radicati nelle contraddizioni caratteristiche che oggi
sembrano scomparse nelle analisi, ma sono ben presenti nella società che
strutturalmente sembra tornata indietro di decenni.
La necessità dell’osservazione e dell’inchiesta torna
pressante per ritrovare un filo del discorso di riscatto che la sinistra aveva
già cominciato a intravedere tra le genti del sud le quali, se non sono più a
maggioranza contadina, non sono a preponderanza operaia, hanno sicuramente una
nuova e originale composizione sociale di cui tener conto.