Consuma o muori. Questo è il dettato della cultura.
E finisce tutto nella pattumiera.
Noi creiamo quantità stupefacenti di spazzatura,
poi reagiamo a questa creazione,
non solo tecnologicamente ma anche con il cuore e con la mente.
Lasciamo che ci plasmi. Lasciamo che controlli il nostro pensiero.
Prima creiamo la spazzatura e dopo
costruiamo un sistema per riuscire a fronteggiarla.
Don De Lillo, Underworld, 1997
1. La città dei rifiuti
In una Berlino di macerie, fra le forme del disastro che
alterano la fisionomia della città, Edmund percorre la sua passeggiata nel
mondo trasformato dalla guerra. Le immagini gelate di “Germania anno zero”,
presentato da Rossellini al Festival di Locarno nel 1948, sono la volontà di
comprendere il disastro con lo sguardo e capire, oltre ogni misura del dolore,
che c’è stata una trasformazione. Niente assomiglia a prima.
In quella passeggiata, prima del tragico volo che spegnerà
lo sguardo di quell’angelo malato, un elemento centrale è dato dalla presenza
delle macerie. Calcinacci, pezzi di ferro, barattoli, proiettili, carcasse di
automobili e di radio. La geografia di “quello che rimane”, delle cose
svuotate del loro utilizzo primario che diventano residui. Una città affollata
di scheletri di cose, di eccedenze.
La ricostruzione avviata prontamente grazie all’iniezione
di capitali in un’area importante come il centro Europa, ha edificato su
quelle macerie città nuove, produttive, veloci. Città che producono e
consumano. E lasciano scorie.
Alla fine di questa parabola del progresso che parte dalla
città delle macerie si ritrova un’immagine nuova, la città dei rifiuti. Nel
suo tragico affresco postmoderno, Underworld, Don De Lillo costruisce l’immagine
di città che crescono sulla spazzatura, si espandono accumulando immondizia e
spingendola ai margini, sotto terra, in ogni spazio disponibile, “producendo
ratti e paranoia”. È l’allucinazione dei nostri anni, la passeggiata dell’Edmund
che ha attraversato la modernità e dalle macerie della guerra passa ai residui
della produzione.
Negli ultimi anni, la “questione rifiuti” ha occupato la
riflessione di moltissimi settori della politica e dell’intellettualità
pressoché in tutto il Pianeta, restando confinata, in un primo tempo, alle
scrivanie dei tecnici o degli ambientalisti che gridavano la preoccupazione per
un tema che diventava sempre più urgente con il passare del tempo. L’esplosione
della questione, generata dall’immensa quantità di rifiuti che ha finito per
costituire un problema non più rinviabile, ha generato, in particolare nel
nostro Paese, una catena di conflitti dal significato profondo. La stagione di
lotte ambientaliste che abbiamo vissuto in questi ultimi anni, nata e cresciuta
sull’onda lunga del movimento Noglobal, ha segnato infatti la ricomposizione
di una cultura politica profondamente avversa alla delega “in bianco” data
alle istituzioni e una forte spinta all’autogoverno. Una decisa volontà di
partecipazione ai processi democratici che pertanto contiene in nuce la
necessità di mutarne i meccanismi, di trasformarli in qualcosa d’altro. È in
quest’ottica che questa stagione di mobilitazioni, da Scanzano alle lotte
contro il Ponte a quelle contro gli inceneritori, presenta i caratteri di
processo costituente di una visione alternativa della politica.
La questione rifiuti, in particolare, riveste un’importanza
cruciale poiché rappresenta il punto di partenza per una critica radicale del
sistema di produzione/consumo capitalista. La risposta dura dello Stato, del
resto, è direttamente correlata alla “pericolosità” di una ribellione che
rischia di toccare i nervi scoperti della democrazia capitalista. Opporsi alla
trasformazione della propria terra in discarica, analizzare i perché di un
processo di devastazione ambientale giunto a livelli insostenibili e collegarlo
direttamente al sistema produttivo vuol dire mettere a nudo aspetti centrali
delle contraddizioni interne al sistema capitalista. Questo ha smosso il
gigante, toccandone i punti deboli ne ha suscitato la reazione violenta e
scomposta che è sempre sintomo di debolezza.
E se una riflessione nuova sul Mezzogiorno d’Italia
partisse da questo spirito ribelle?
2. Munnezza. La situazione dei rifiuti in Italia e nella UE
A fronte della retorica delle normative UE, che puntavano ad
instaurare il mercato dello smaltimento sostenibile attraverso il ricorso alla
diminuzione della quantità di rifiuti complessivamente prodotta, alla raccolta
differenziata, al riciclaggio, al riuso, non è riscontrabile altrettanta
coerenza e linearità nella prassi.
Per quanto riguarda le quantità di rifiuti prodotte in
Italia (quasi 30 milioni di tonnellate) si può osservare un incremento dal 1995
al 2002 di 3988 tonnellate in più. Questa continua e repentina produzione di
rifiuti ha causato problemi aggiuntivi legati all’individuazione di nuove aree
di stoccaggio e smaltimento, alla rigidità delle normative europee introdotte
attraverso il DL 13/1/2003n°36 e il DL 5/2/97 n°38 che limitano fortemente il
ricorso alla discarica.
Rispetto all’obiettivo della riduzione dei rifiuti è però
da riscontrare l’assoluta mancanza di normative volte a regolamentare il
packaging e il consumo di beni di breve durata.
Vista attraverso la lente europea, nonostante le molteplici
differenze empiricamente riscontrabili, nella produzione dei rifiuti, l’Europa
raggiunge quota 198,560 milioni di tonnellate con una media procapite di 527
kg/abitante. La media italiana è di 516 kg annui, rientrando nella media
europea. Ciò ovviamente non è un merito.
Centrale, ai fini della individuazione delle tipologie di
smaltimento dei rifiuti, è sicuramente l’analisi merceologica.
Tra le diverse tipologie d’analisi, preferiamo anzitutto
operare una prima distinzione tra dati riguardanti le fonti di produzione dei
rifiuti e analisi ad esse connesse.
Sapremo quindi, prendendo ad esempio le 198 milioni di
tonnellate di rifiuti europei, che il 22% proviene da costruzioni e demolizioni,
che il 26% proviene dall’industria manifatturiera, che il 29% ha origine dall’attività
estrattiva, il 14% dai rifiuti solidi urbani, il 4% dalla produzione di energia,
e il 5% da altre fonti.
Ciò allarga la visione della produzione dal solo problema di
smaltimento degli RSU all’intero compartimento della produzione industriale
consumistica.
A seconda della pericolosità del rifiuto avremo rifiuti
pericolosi, tossici, nocivi ecc.
Uno dei tanti problemi legati a questa distinzione è quello
dell’adeguamento degli impianti di smaltimento alla pericolosità del rifiuto.
Al sud soprattutto è però possibile riscontrare un’assoluta incuranza
rispetto alla pericolosità e capita spesso di trovarsi di fronte ad esempi di
discariche per Rifiuti Solidi Urbani (RSU) che, anche a causa della gestione
privata dello smaltimento, contengono altre tipologie senza alcuna norma di
sicurezza. Ad Ariano Irpino ad esempio, secondo un rapporto di legambiente sono
presenti più di 1800 tonnellate di amianto proveniente dagli impianti dell’ex-Italsider
di Bagnoli.
Infine riguardo alla tipologia merceologica degli RSU e alle
metodologie di smaltimento possiamo dire che in un ipotetico contenitore dell’immondizia
troveremmo il 30% di scarti alimentari (da cui si ricava il compost ossia
concime per piante), 23,15% di cartone (riciclabile o riutilizzabile) e all’incirca
un 15% di plastica. In poche parole quasi il 70% dell’immondizia che buttiamo
può essere riutilizzata almeno una volta.
Sulla base dei dati forniti dal Rapporto Rifiuti 2003 dell’Osservatorio
Nazionale sui Rifiuti possiamo suddividere le tipologie di smaltimento tra
discarica, inceneritore e altro (R.D. ecc.)
In Europa la discarica è ancora la tipologia di smaltimento
più “quotata” nonostante l’approvazione dei regolamenti in materia che la
volevano oramai obsoleta. La Grecia ad esempio manda in discarica il 91 % di
ciò che butta, la Spagna il 71%, la Francia il 41%, la Germania il 35,5% l’Italia
il 67,1% e la Danimarca (che poi non è così piccola) il 10,8. In totale l’Europa
butta in discarica 108 milioni di tonnellate di rifiuti, brucia 19 milioni di
tonnellate negli inceneritori, mentre 54 mil. di tonn. vengono smaltite in “altro
modo”.
Delle 30 milioni di tonnellate tricolori 20 finiscono in
discarica, mentre 2,6 tonn. finiscono negli inceneritori.
Differenze sostanziali sono invece riscontrabili nel campo
della raccolta differenziata, dove l’Italia si continua a muovere nel solco
della tradizionale dicotomia Nord-CentroSud (Tabella 1).
3. Le politiche di gestione
Le politiche di gestione dello smaltimento sono ispirate da
alcuni saldi principi.
1. privatizzazione della gestione del servizio. Come già
sottolineato in precedenza, l’interesse privato si muove sugli assi cartesiani
di costi e ricavi. Ciò ovviamente presuppone che, avendo vinto un appalto sullo
smaltimento, il privato possa individuare siti di discarica diversi da quelli
indicati, per risparmiare su una delle procedure ad egli affidata.
2. ricorso allo stato di eccezione e sospensione delle regole
di gestione democratiche. La situazione di emergenza nello smaltimento dei
rifiuti, è divenuta norma al centro sud, dove praticamente tutte le regioni
sono commissariate attraverso due formule di assegnazione dei poteri, che
possono nominare il commissario prefettizio con particolari poteri speciali, sia
nei presidenti delle regioni che in un prefetto del governo. Per quanto concerne
i poteri affidati al commissario, possiamo annoverare la discrezionalità dello
stesso di sciogliere consigli comunali (come è avvenuto ad Acerra), di
espropriare terreni privati per opere legate all’emergenza, di affidare a
terzi la scelta dei siti da destinare ad impiantistica e/o discarica, di
sciogliere, di concerto con prefetto e questore, assembramenti di protesta, ecc.
3. Assoluta inadeguatezza di mezzi e strutture per avviare
una reale raccolta differenziata al sud. Secondo un calcolo effettuato dalla
Provincia di Napoli solo il 12% delle spese complessive riguardanti questo
settore è destinato alla raccolta differenziata.