Intorno alla rappresentanza sindacale: diversi profili per un approfondimento
Arturo Salerni
Maria Rosaria Damizia
Riprendiamo, in questo numero della rivista, alcune questioni relative alle regole in tema di rappresentanza sindacale. E’ la seconda parte del dossier curato per Proteo dall’Associazione Progetto Diritti e dal Comitato per una legge sui diritti e la rappresentanza sindacale: peraltro l’importanza di questo lavoro sta anche nell’attualità dell’argomento. Oltre all’articolo curato da Arturo Salerni e Maria Rosaria Damizia, che riprende ed utilizza schede e relazioni curate da alcuni collaboratori del Comitato per una legge sui diritti e la rappresentanza sindacale, pubblichiamo infatti la proposta approvata a seguito dell’ esame degli emendamenti dalla Commissione lavoro della Camera dei Deputati nel mese di settembre e che dovrà affrontare l’esame dell’aula. Su tale proposta, soprattutto in relazione alla necessità di una rapida approvazione della legge, il giudizio è globalmente positivo. Riteniamo peraltro che su alcune questioni fondamentali la proposta possa essere emendata e migliorata. Anche per discutere di questo il Cestes, l’Associazione Progetto Diritti, la rivista Proteo, il Comitato per una legge sui diritti e la rappresentanza sindacale, ed il Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia organizzeranno un convegno di studio e di proposta per il mese di dicembre chiamando come interlocutori le forze politiche, sindacali e parlamentari.Nell’articolo che segue ci si soffermerà sulla evoluzione nel corso degli ultimi decenni degli istituti di rappresentanza sindacale (riprendendo una scheda elaborata da Laura De Rose), lanceremo uno sguardo a ciò che succede in altri paesi (grazie al minuzioso contributo offertoci dal Dott. Simonluca Dettori), vedremo quanto il concetto di maggiore rappresentatività sindacale incida su istituti di grande rilevanza sociale (utilizzando in ciò una scheda elaborata da Rosa de Sanctis), ripercorreremo velocemente proposte e disegni di legge presentati nel corso delle ultime legislature (sulla base di una ricerca della Dott.ssa Barbara Frateiacci) ed infine torneremo a qualche valutazione sull’attuale assetto normativo post-referendario (anche per l’utile contributo predisposto dal Dott. Andrea Volpini). Intendiamo peraltro doverosamente ringraziare i giovani studiosi che abbiamo indicati per l’impegno e l’intelligenza con cui si sono accostati ad una questione democratica che si tende ad occultare e che invece deve tornare ad occupare un ruolo centrale nel dibattito politico nella difficile fase di transizione che viviamo. |
Stampa |
4. Effetti del referendum del giugno 1995.
Affrontando il problema dell’ammissione alle trattative per
i sindacati maggiormente rappresentativi, bisogna soffermarsi sul concetto di
maggiore rappresentatività così come si è venuto a definire dopo i referendum
del giugno 1995. Il referendum ha abrogato la lettera A) dell’art.19 dello
statuto, escludendo il criterio della maggiore rappresentatività per la
formazione di R.S.A., e ha lasciato come unico requisito per la formazione di
queste l’essere costituite nell’ambito di sindacati firmatari di contratti
collettivi applicati nell’unità produttiva.
Il concetto di maggiore rappresentatività comunque è andato
mutando nel corso degli anni, attraverso varie pronunzie giurisprudenziali.
Inizialmente si voleva privilegiare i sindacati confederali e nazionali, che si
pensava avessero da una parte il consenso della maggior parte dei lavoratori e
dall’altra fossero comunque ritenuti affidabili dalle controparti datoriali;
affidabilità che si rafforzava con il sempre maggiore riconoscimento del ruolo
istituzionale che andavano acquisendo. Secondo parte della dottrina, gli indici
elaborati dalla giurisprudenza, per stabilire la rappresentatività di un
sindacato (intercategorialità, pluricategorialità, nazionalità) in realtà
non servono a misurare la rappresentanza effettiva delle organizzazioni
sindacali, ma a verificare soprattutto l’esistenza del requisito confederale
delle stesse. Comunque la Corte Costituzionale con la sentenza n. 54/74 ha
precisato che il criterio di m.r. può essere raggiunto da qualsiasi formazione
politica: queste interpretazioni giurisprudenziali e soprattutto l’entrata in
crisi della politica unitaria delle tre confederazioni maggiori, portarono all’incrinarsi
della “diga” della m.r.. Con la crescita sempre maggiore di nuove
realtà sindacali, numerosi giudici del lavoro presero atto che molte di queste
formazioni ormai rispondevano ai criteri di m.r., togliendo così il monopolio
alla “triplice”.
Uno dei parametri più significativi dovuto alla
giurisprudenza di legittimità è quello “dell’attività di autotutela
condotta con continuità, sistematicità ed equilibrata diffusione” per
provare il quale erano sufficienti la sottoscrizione per adesione dei contratti
collettivi, il consistente numero degli affiliati o il ricorso ad azioni di
tutela e di lotta sindacale. Quindi dagli anni ‘80, diverse formazioni
sindacali extraconfederali si videro riconoscere la possibilità di accedere
alla legislazione di sostegno, prevista dal Titolo III dello statuto dei
lavoratori, poichè ritenute in possesso dei requisiti necessari. Dopo il voto
referendario si è posto il problema se il concetto di m.r. fosse stato
completamente cancellato, lasciando come unico criterio di selezione la firma di
un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. Nel precedente
numero abbiamo richiamato la sentenza della Corte Costituzionale del dicembre
1995 n. 492, che ha ribadito l’importanza del concetto di m.r. . Ma da quando
si è cominciata ad attuare la nuova disciplina dell’art.19, c’è stata una
netta prevalenza dell’interpretazione restrittiva. Questo ha fatto si che
molte R.S.A., costituitesi prima del referendum, fossero disconosciute dalle
aziende. Dopo la richiamata evoluzione giurisprudenziali, essendosi formate
numerose R.S.A. non controllate dai sindacati confederali, la nuova formulazione
dell’art.19 è stata vista come un’ottima possibilità di “ricostruire la
diga”.
Il potere di accreditamento del datore di lavoro
Le perplessità più forti sollevate dalla nuova formulazione
dell’art.19 riguardano il potere di accreditamento attribuito alle parti
datoriali nei confronti delle organizzazioni sindacali. Visto che ora l’unico
criterio certo per la formazione di R.S.A. è l’aver negoziato e firmato un
contratto collettivo applicato in azienda, la parte padronale, potendo scegliere
con chi stare al tavolo delle trattative, implicitamente sarà decisiva nell’attribuire
patenti di m.r. a un’organizzazione piuttosto che ad un’altra. L’accesso
alla legislazione di sostegno non è più fondato su valutazioni degli indici di
m.r. da parte di un giudice neutrale, ma al contrario la stessa possibilità di
reale esistenza all’interno dell’unità produttiva è diventata oggetto
della contrattazione. Non ci vuole molto a capire a che tipo di disparità,
soprattutto nelle aziende più piccole, possa portare una disciplina tutta
basata sui rapporti di forza esistenti nello specifico contesto aziendale. La
dottrina dominante non sembra condividere le preoccupazioni di chi vede un
pericoloso sbilanciamento tra le parti, tutto a favore dell’imprenditore, nei
casi in cui un sindacato può ottenere la sua legittimazione solo attraverso la
sottoscrizione di un contratto aziendale. Anzi viene esaltato il libero gioco
tra le parti.
I dubbi di costituzionalità della nuova disciplina dell’art.19 e la
sentenza n. 244/1996 della Corte Costituzionale.
Alcuni Pretori hanno ritenuto che il nuovo testo dell’art.19
potesse essere anticostituzionale. Per il Pretore di Milano esiste una netta
discrepanza tra il nuovo art.19 e quanto affermato con la sentenza n. 30 del
1990, con la quale la Corte Costituzionale ribadiva il necessario completarsi
dei due requisiti per avere un modello conforme alla Costituzione e che un
eventuale correttivo legislativo, non potesse essere certo trovato nell’espansione
del potere di accreditamento del datore di lavoro. Quindi considera intaccata la
libertà sindacale alla luce dell’art.39 Cost., in quanto “un sindacato,
per essere veramente libero e per poter svolgere la sua funzione non deve essere
gravato dalla necessità di stipulare accordi e di ricercare un consenso non
solo dei lavoratori, ma anche dei datori di lavoro”. Per dare risposta ai
quesiti posti dai Pretori, la Corte Costituzionale con la sentenza del luglio
1996, n. 244, ha affermato che la questione della costituzionalità del nuovo
testo dell’art.19 è priva di fondamento e ha negato, in contrasto con altre
precedenti pronunzie, che con la nuova normativa si priverebbe il sindacato dell’autonomia
del proprio riconoscimento. Non c’è per la Corte violazione dell’art.39
Cost., in quanto le norme di sostegno all’attività sindacale, sono qualcosa
di diverso dalle norme sulla libertà sindacale (garantita dall’art.14 dello
statuto); per accedere ad esse sono leciti “criteri scelti
discrezionalmente nei limiti della razionalità”.
5. Le proposte di riforma
Delle implicazioni derivanti dalla richiamata pronunzia della
Corte e della inderogabile necessità di un intervento legislativo abbiamo già
parlato nel precedente numero di Proteo. Vogliamo soltanto richiamare l’esistenza
nelle passate legislature di proposte e disegni di legge in materia di
rappresentanza sindacale. Tra esse giova richiamare la proposta del deputato
Ghezzi del Partito Democratico della Sinistra, che contiene la definizione di
Sindacati nazionali rappresentativi sia nel settore privato che nel pubblico
impiego (lo sono quei sindacati che abbiano ricevuto adesioni complessivamente
superiori al 10% dei votanti nelle elezioni delle rappresentanze sindacali
riferite all’intera categoria individuata dal contratto collettivo o riferite
all’intero comparto di contrattazione collettiva nel pubblico impiego). Si
prevede che rappresentanze sindacali possono essere costituite in ogni impresa
(o sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo) che occupi più di
15 dipendenti, come anche in ogni unità amministrativa. Si dettano norme in
tema di permessi da ripartire fra le rappresentanze sindacali in proporzione ai
voti ricevuti, ripartizione cui partecipano anche le rappresentanze sindacali
non aderenti ai sindacati nazionali rappresentativi che abbiano conseguito
almeno il 10% dei voti.
Anche significativa è la proposta del Partito della
Rifondazione Comunista (Garavini ed altri) per cui sono considerati sindacati
nazionali rappresentativi le coalizioni di lavoratori che abbiano ricevuto nelle
elezioni dei Consigli Unitari dei Delegati (CUD) l’adesione di almeno il 3%
dei votanti nella categoria o nel comparto di contrattazione collettiva, che
siano firmatari di contratti nazionali di categoria di accordi sindacali di
comparto nel pubblico impiego. Si prevede l’elezione di un CUD in ciascuna
unità produttiva o amministrativa senza alcun riferimento ai limiti numerici
per quanto riguarda i dipendenti occupati. L’elezione del CUD viene effettuata
con il sistema proporzionale e la durata del CUD è prevista in 24 mesi. I
diritti precedentemente riconosciuti dalla RSA vengono attribuiti ai lavoratori
del CUD. I CUD possono stipulare accordi e contratti collettivi aventi validità
per l’insieme dei lavoratori nell’ambito dell’unità lavorativa.
Composizione delle delegazioni sindacali che trattano i contratti collettivi
nazionali o territoriali : vi partecipano tutti i sindacati rappresentativi che
ne facciano richiesta nonché una delegazione eletta dai CUD interessata al
contratto.
La proposta della Lega Nord (A. Magri ed altri) prevedeva
accanto alle tipologie, di cui all’art.19 Statuto dei lavoratori
pre-referendum, delle associazioni che possono costituire RSA, quella delle
associazioni sindacali sufficientemente rappresentative a livello regionale o
provinciale.
Proposta significativa è quella elaborata dal Forum Diritti
Lavoro (Russo Spena ed altri) i cui dati significativi sono stati ripresi nella
proposta presentata in questa legislatura dall’On. Giorgio Gardiol e che
abbiamo integralmente riportato nella prima parte di questo dossier (n. 1
Proteo). Elemento caratterizzante la proposta è la previsione di rappresentanze
unitarie delle lavoratrici e dei lavoratori (R.U.L.L.) e di rappresentanze
sindacali di categoria (R.S.U.C.).
La proposta di legge Giugni (P.S.I.) detta criteri per la
formazione delle r.s.a. - con modifica dell’art.19 della legge 300/70, prevede
la costituzione di rappresentanze unitarie, enuovi criteri di misurazione della
maggiore rappresentatività delle confederazioni sindacali e dei sindacati
nazionali di categoria.
Prima del referendum sono state avanzate anche alcune
proposte di legge di iniziativa popolare (ovvero quella dei consigli unitari dei
delegati CGIL - CISL - UIL e quella dello S.L.A.I. - Cobas).