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Gianni Marsili
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Direttore del reparto Valutazione Impatto Ambientale del laboratorio di Igiene Ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità

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La partecipazione della popolazione e dei lavoratori esposti ai rischi alla gestione della sicurezza industriale. Esercizio di un diritto o elemento centrale della prevenzione?

Gianni Marsili

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Ne consegue una rappresentazione tabulare del rischio (fig. 2) nella quale la probabilità cumulativa rappresenta il grado di fiducia che si ripone nel verificarsi di un generico scenario per cui siano attese conseguenze di entità uguale o maggiore di quelle per esso riportate.

In tale rappresentazione, P1 ed mn rappresentano rispettivamente la probabilità che nella situazione analizzata si verifichi un generico evento incidentale che abbia quel tipo di conseguenze e la massima entità delle conseguenze possibili.

Tale trasformazione si presta ad una agevole rappresentazione grafica sul piano cartesiano nella quale il rischio è rappresentato dalla spezzata tratteggiata che si ottiene riportando l’entità delle conseguenze e la probabilità cumulativa di ogni singolo scenario (fig. 3.). E’ agevole comprendere che la spezzata è dovuta alle necessità connesse con il calcolo e che una rappresentazione più realistica del rischio è costituita dalla curva (variabile continua) sovraimposta ad essa. Analogamente alla forma tabulare, i punti R (m, P) di detta curva rappresentano il grado di fiducia che si ripone nella capacità dell’iniziativa, dell’opzione o della mansione considerata di originare eventi le cui conseguenze siano uguali o maggiori di m.

Sebbene l’approccio descritto consenta di quantificare ed esprimere in modo non ambiguo il concetto di rischio, alcune riflessioni mirate a razionalizzare l’uso di questa variabile nei processi decisionali appaiono necessarie. Un primo elemento di riflessione deve considerare che il rischio è costituito da una lista di scenari la quale, soprattutto quando esso è riferito a fenomeni naturali o ad impianti a tecnologia complessa, può essere considerata praticamente infinita. Al contrario, il numero di scenari individuati in una analisi del rischio è necessariamente finito e ciò costituisce sia un’approssimazione degli effetti, sia un problema più generale d’interpretazione della variabile. Ne consegue una dipendenza dei risultati dell’analisi di rischio dalle scelte effettuate dall’analista e dalla conoscenza del fenomeno che egli possiede al momento in cui effettua l’analisi, le quali conferiscono al rischio stimato sia una validità temporale e soggettiva, sia un’ampia variabilità.

Questo aspetto non può certamente meravigliare sul piano logico se si considera che l’analisi del rischio è un metodo attraverso cui si cerca di predire il futuro, basandosi sulla conoscenza posseduta nel presente. Nella pratica esso implica però che l’analisi del rischio debba essere considerata non come uno strumento di valutazione una tantum ma come elemento di un processo continuo di gestione della sicurezza che si sviluppa in parallelo al processo di acquisizione della conoscenza.

Come noto, la probabilità attribuita ad ognuno degli scenari identificati è lo strumento utilizzato per esprimere, su una scala quantitativa convenzionale variabile tra 0 (eventi impossibili) ed 1 (eventi certi), l’incertezza relativa al verificarsi di un evento. Essa assume pertanto un ruolo fondamentale nei processi decisionali inerenti la gestione della sicurezza e merita una piccola riflessione.

Sul piano teorico la probabilità può essere univocamente definita come un concetto intuitivo che riguarda tutti gli eventi casuali, o da noi ritenuti tali, che sono né certi né impossibili. Sul piano interpretativo possono invece essere individuate due diverse concezioni della variabile che si differenziano sostanzialmente per l’oggettività o la soggettività ad essa attribuita. In altre parole, ritenere che la probabilità sia una variabile oggettiva implica pensare che essa costituisca una proprietà intrinseca dell’evento cui si riferisce e che possieda di conseguenza un valore vero stimabile con un grado di approssimazione più o meno alto. Al contrario, pensare che la probabilità sia una variabile soggettiva significa ritenere che essa sia uno strumento astratto attraverso il quale un osservatore esprime il suo grado di fiducia nel verificarsi dell’evento. Ciò implica una sua dipendenza dall’osservatore e dal momento in cui essa viene valutata ed include conseguentemente la possibilità che stime effettuate da diversi osservatori, o dallo stesso osservatore in tempi diversi, pervengano a risultati diversi.

Naturalmente, le implicazioni nell’uso operativo dell’analisi del rischio possono essere notevoli se si assume il punto di vista soggettivista o oggettivista. Nel primo caso, infatti, il rischio deve anch’esso ritenersi come una variabile soggettiva ed i processi di partecipazione della popolazione e/o dei lavoratori alla gestione della sicurezza implicano conseguentemente un loro reale ruolo nella sua quantificazione. Nel secondo caso, al contrario, il rischio è considerato come una variabile oggettiva la cui stima è affidata ad esperti, ed il ruolo della popolazione e/o dei lavoratori assume semplicemente la forma passiva dell’acquisizione di informazioni e di disposizioni relative alla gestione della sicurezza. Non è certo questa la sede per entrare in ulteriori dettagli del dibattito tra le scuole di pensiero che sostengono le due diverse concezioni di probabilità; è però necessario qui sottolineare che nei settori della sicurezza industriale e del lavoro ci si confronta frequentemente con eventi rari e specifici che non rispondono ai requisiti di equiprobabilità degli esiti, indipendenza ed uguaglianza degli esperimenti, rispettivamente implicati dalle definizioni classica e frequentista di probabilità sulle quali si basa la concezione oggettivistica. In altre parole, assumendo una concezione di tipo oggettivista la probabilità non sarebbe stimabile per molti degli eventi implicati nell’analisi di sicurezza e conseguentemente perderebbe significato in questo ambito lo stesso concetto di rischio.

Un terzo elemento di riflessione riguarda la stima delle conseguenze, e più specificatamente la loro quantificazione, cui è stato sin qui fatto riferimento senza mai esplorarne la dimensione operativa. Nel settore della sicurezza industriale si verificano spesso eventi che possono produrre effetti avversi multipli sia alle persone che alle cose ed all’ambiente. Si pensi ad esempio all’esplosione di un’apparecchiatura, o di una nube di vapori infiammabili rilasciati accidentalmente, la quale può provocare il decesso e/o ingiurie reversibili o irreversibili alle persone, ma anche ingenti danni alle strutture ed alle cose. Quantificare questi effetti su una stessa scala significherebbe stabilire un’unità di misura comune con i conseguenti problemi etici che ciò comporta. Il modo più semplice per farlo, cui qualche volta si ricorre per scopi assicurativi, è quello di attribuire un valore pecuniario ad ognuno dei possibili effetti avversi. Questo può però essere accettabile in un’ottica di rimborso dei danni per eventi accaduti, non certo in termini di gestione della sicurezza e quindi di progettazione ed adozione di misure preventive.

Sul piano teorico detta difficoltà può essere superata rappresentando il rischio non come una curva sul piano cartesiano ma come una superficie nello spazio euclideo la cui dimensionalità è pari al numero di unità di misura necessarie per quantificare gli effetti avversi. La scelta risolverebbe il problema sul piano del calcolo ma creerebbe numerose difficoltà al processo decisionale e non può quindi essere considerata una valida soluzione per la gestione della sicurezza industriale. L’alternativa è conseguentemente posta sulla scomposizione della variabile, che può essere realizzata considerando diversi rischi specifici per ognuna delle tipologie degli effetti avversi possibili, e che nella pratica operativa trova una drastica semplificazione riducendo il rischio a semplice misura della probabilità di decesso. Tale semplificazione limita il campo di applicazione dell’analisi di rischio agli eventi con conseguenze più gravi ed è contemporaneamente sorgente di contraddizioni tra le valutazioni fatte dagli esperti e dagli esposti al rischio.Ragioni culturali ed etiche portano infatti gli individui a ritenere che non sempre il decesso costituisca l’effetto avverso peggiore attribuibile ad un evento.

I metodi di quantificazione del rischio, le approssimazioni utilizzate e le riflessioni sin qui discusse pongono almeno un quesito, relativo al grado di fiducia che si può riporre nell’analisi del rischio come strumento di previsione, che può essere così sintetizzato: può l’analisi di rischio essere considerata una tecnica coerente con il metodo scientifico ? La risposta è alquanto articolata, poiché, da un lato essa si avvale di tecniche, quali metodi di calcolo, modelli di simulazione, ecc. sviluppate e valutate in ambito scientifico, i cui risultati sono conseguentemente riproducibili. Dall’altro lato però, essa appare in antitesi con il metodo scientifico poiché, anziché ricorrere alla disaggregazione dei problemi in quesiti sempre più specifici cui dare una risposta definitiva, l’analisi di rischio di eventi complessi deve procedere ad una aggregazione di problematiche afferenti a diverse discipline ed offrire una risposta anche in mancanza di una completa e specifica conoscenza di tutti i fenomeni coinvolti nella valutazione. Ne consegue che essa debba essere vista come una potente e razionale tecnica capace di integrare, mediante metodologie logiche di rappresentazione della conoscenza disponibile, le competenze afferenti a diverse discipline. In questo senso essa è semplicemente uno strumento previsionale, cui è affidato il compito di razionalizzare il processo decisionale. Sul piano operativo, guardare all’analisi di rischio come parte del processo decisionale, invece che come tecnica oggettiva, implica che tutti i soggetti in esso coinvolti dovrebbero partecipare alla valutazione e non limitarsi ad assumerne i risultati quali elementi certi su cui basare le loro scelte.

 

 

4. La valutazione soggettiva del rischio

 

 

La capacità di evitare i pericoli presenti nell’ambiente di vita, memorizzando l’esperienza passata ed imparando da essa, è una abilità intuitiva di cui sono dotati tutti gli esseri viventi. In questo senso l’analisi descritta in precedenza non è altro che la formalizzazione con la quale gli esperti tentano di oggettivizzare questa abilità per fornirgli una valenza sociale al posto di quella individuale che gli e propria. I conflitti sull’accettabilità dei rischi tecnologici che si sono verificati in tutti i paesi industrializzati negli ultimi trenta anni, si pensi ad esempio al siting di discariche, inceneritori, centrali elettriche nucleari e non ed altri impianti inquinanti o a rischio, mostra però che in questo campo quasi mai le valutazioni cosiddette oggettive, realizzate dagli esperti, e quelle intuitive che informano le azioni degli individui coincidono e ciò si riflette ovviamente sui comportamenti che ognuno adotta nelle situazioni di rischio. Ne consegue che, essendo l’analisi del rischio uno strumento del processo decisionale, le valutazioni individuali, strettamente correlate al rischio percepito, non possono essere trascurate particolarmente nei casi in cui è prevista la partecipazione e l’informazione della popolazione.

L’importanza dell’argomento per la gestione dei conflitti sociali relativi ai rischi tecnologici e l’entità di questi ultimi, relativamente allo sviluppo della produzione nucleare di energia elettrica, hanno posto questa problematica all’attenzione di sociologici, antropologi e psicologi e molti studi sono stati condotti, a partire dagli anni ’70, con il fine di comprendere quali fossero gli elementi che influenzano la percezione dei rischi degli individui. I risultati di tali ricerche hanno via via dimostrato che la percezione del rischio ha le sue radici nell’ambiente sociale e culturale in cui opera l’individuo ed è mediata dall’influenza del gruppo sociale di appartenenza il quale porta di per sé a sottovalutare alcuni rischi e ad enfatizzarne altri. La disciplina che ha raggiunto migliori risultati nello studio della percezione del rischio è stata la psicologia la quale, avvalendosi di un approccio noto come Paradigma psicometrico, è riuscita a produrre mappe cognitive dell’attitudine al rischio e della percezione, dimostrando che dette variabili possono essere predette e quantificate. Dette ricerche hanno tra l’altro consentito di identificare una serie di variabili che drasticamente influenzano la percezione le quali, mediante tecniche di analisi multivariata e delle componenti principali, sono state condensate nel dominio di due variabili, sinteticamente chiamate rischi temuti e rischi sconosciuti, all’aumentare delle quali l’individuo tende ad enfatizzare la sua percezione.

Naturalmente, anche al concetto di timore e non conoscenza che tali variabili sottendono non deve essere attribuito un valore oggettivo ma quello di una percezione che l’individuo ha di se stesso. In particolare è emerso che:

• i fattori di rischio sono temuti quando si ritiene che essi siano incontrollabili, catastrofici, con conseguenze fatali, iniqui, non facilmente riducibili, involontari e in aumento al momento della rilevazione;

• i rischi sono percepiti come sconosciuti quando non sono osservabili (ad esempio le radiazioni), non sono noti agli esposti, hanno effetti ritardati nel tempo (ad esempio i cancerogeni) sono nuovi e poco conosciuti dalla stessa scienza, ecc.

A titolo d’esempio, alcuni fattori di rischio per i quali esiste generalmente una forte enfatizzazione possono essere individuati negli incidenti di reattori nucleari, nei depositi di rifiuti radioattivi, nelle bio-tecnologie, nei campi elettrici, nella dispersione ambientale di vari contaminanti tossici, ivi inclusi i pesticidi, ecc. Tra i fattori i cui rischi non sono temuti e che si ritiene di conoscere, possono essere invece citati il fumo di tabacco ed il consumo di bevande alcoliche, gli impianti elettrici e gli elettrodomestici, le biciclette, le motociclette e altri macchinari in movimento usati nel campo lavorativo e/o domestico e del relax, ecc. Tra i fattori di rischio che si collocano in una posizione intermedia, possono essere ricordati:

• lo stoccaggio ed il trasporto di Gas naturale liquefatto, l’inquinamento da autoveicoli, gli incidenti d’auto e ferroviari, l’uso di pistole ed esplosivi, ecc., i quali risultano temuti ma che si percepisce di conoscere e controllare;

• i farmaci (quali ad esempio i contraccettivi, gli antibiotici, i sedativi, i vaccini, ecc.), le altre tecniche diagnostiche, quali i raggi X, o di igiene ambientale, quali la clorazione e fluorazione delle acque potabili, i quali non sono temuti ma risultano poco conosciuti.