La partecipazione della popolazione e dei lavoratori esposti ai rischi alla gestione della sicurezza industriale. Esercizio di un diritto o elemento centrale della prevenzione?
Gianni Marsili
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1. Introduzione
I terremoti con il loro carico di distruzione e sofferenza, le
inondazioni e le frane che ogni primavera o autunno colpiscono varie aree del
paese, gli incidenti ferroviari che negli ultimi anni hanno scandito le nostre
giornate, il rilascio accidentale di nubi di sostanze tossiche o infiammabili
da installazioni industriali, gli incidenti sul lavoro che causano mediamente
il decesso di circa tre persone al giorno, testimoniano sia l’appartenenza dell’Italia
al novero dei paesi industrializzati in cui fervono una miriade di attività,
che ovviamente implicano la presenza dei rischi loro propri, sia l’esistenza
di ampie aree del paese soggette a rischi naturali (idrogeologici, sismici)
con i quali è necessario convivere.
Sebbene numerose normative mirate alla gestione dei rischi
inerenti le attività industriali e l’ambiente siano operanti in Italia, ogni
evento incidentale innesca una ridda di polemiche, che il più delle volte riguardano
esclusivamente la gestione dell’emergenza, senza giungere quasi mai al nocciolo
del problema che non è certo quello di individuare le responsabilità, quanto
quello di organizzarsi in modo che detti eventi non si ripetano e che comunque,
in caso di un loro verificarsi, sia possibile contenere tutte le conseguenze
evitabili. Analizzando seppur sommariamente alcuni degli eventi che hanno recentemente
focalizzato l’attenzione delle cronache, emerge con chiarezza una mancanza di
cultura del rischio dell’intera comunità nazionale, incluse ovviamente le strutture
amministrative e gestionali che governano il paese. Quando infatti un treno
si guasta e rimane fermo per lungo tempo nel buio di una galleria (circa 4 ore)
risulta evidente che nessuna analisi preliminare del rischio è stata svolta
dai servizi dell’azienda ferroviaria preposti alla sicurezza. Sarebbe infatti
risultato estremamente semplice dai ratei di affidabilità del mezzo elettromeccanico
e della rete, nonché dalla frequenza di tratti in galleria sul percorso, identificare
la verosimiglianza di un simile evento, le sue possibili conseguenze e predisporre
in anticipo gli opportuni mezzi di mitigazione, che nel caso specifico avrebbero
peraltro richiesto investimenti modesti ed azioni facilmente praticabili. Questo
evento mostra però anche qualcosa di diverso, e certamente più grave della semplice
inefficienza dei servizi dell’azienda ferroviaria preposti alla sicurezza, se
si analizzano i contenuti del dibattito che ad esso è seguito. Quest’ultimo
non ha infatti mai evidenziato l’entità del rischio per la loro incolumità cui
i viaggiatori sono stati esposti a causa di tale inefficienza, concentrando
l’attenzione più sui danni diretti da essi subiti a causa della lunga sosta
e dell’interruzione del servizio che sullo scenario incidentale nel quale essi
potevano essere coinvolti. La discussione è stata infatti mirata a mostrare
il più basso rateo di incidenti delle ferrovie italiane rispetto a quelle di
altri paesi, a mettere in luce l’inadeguatezza della linea relativamente all’uso
di convogli veloci, ecc. piuttosto che ad analizzare cosa sarebbe potuto accadere
qualora l’uso indiscriminato di accendini o altri mezzi di fortuna cui i viaggiatori
sono stati costretti per illuminare l’ambiente fosse sfociato in un incendio
sul convoglio. Analogamente, a fronte dello stillicidio di incidenti ferroviari
che si sono susseguiti negli ultimi anni, nessuna autorevole voce ha mai formalmente
posto la questione di cosa sarebbe potuto accadere qualora in uno dei deragliamenti
o degli impatti con strutture fisse o mobili fossero rimasti coinvolti vagoni
che trasportano sostanze tossiche o infiammabili e presumibilmente nessuna iniziativa
per gestire un’emergenza di questo genere lungo la rete è mai stata predisposta
sulla base di questa riflessione. Ciò dimostra che il problema della gestione
della sicurezza, almeno per quanto riguarda le ferrovie, non può essere limitato
ad una semplice ristrutturazione di qualche servizio, ma implica un discorso
culturale più ampio nel quale la prevenzione e la consapevolezza di tutti costituiscono
il motore della prevenzione.
Naturalmente la problematica inerente il trasporto ferroviario
non è l’unica che evidenzia la mancanza di una cultura della sicurezza nel nostro
paese. Senza dilungarsi troppo si possono infatti ricollegare all’esempio precedente
gli allarmi lanciati via fax alle due del mattino in uffici deserti, come accaduto
nella tragica inondazione di Sarno, le reazioni tardive e l’incapacità di analisi
del fenomeno durante il suo evolversi che si sono manifestate nell’inondazione
delle aree prospicienti il Ticino, la scarsa considerazione o conoscenza del
pericolo mostrata dai lavoratori che consumavano il loro pasto vicino al forno
esploso nella raffineria di Milazzo, ecc.
In questo contesto appare quanto mai necessario ed attuale
nel nostro paese proporre una riflessione sul problema della sicurezza, inerente
sia i rischi tecnologici che naturali, la quale superi gli angusti seppur importanti
limiti dell’individuazione e punizione dei responsabili e dell’efficacia ed
efficienza dei servizi di pianificazione del territorio e dell’emergenza, per
chiedersi se:
• gli eventi incidentali sono realmente casuali ed imprevedibili;
• la popolazione è cosciente dei problemi inerenti la sua
sicurezza e della necessità che la sua protezione richiede un atteggiamento
attivo;
• sono disponibili adeguate competenze tecnico-scientifiche
per la previsione di detti eventi e se le risorse allocate per raggiungere
tale obiettivo sono sufficienti;
• esiste in Italia un efficiente impianto normativo per gestire
la sicurezza nelle specifiche aree;
• i funzionari dell’amministrazione pubblica, cui la gestione
della sicurezza è demandata, sono culturalmente adeguati a tali compiti.
Per conferire una dimensione operativa ad una così ampia riflessione
è opportuno riferire la stessa ad ambiti più specifici in cui l’evoluzione della
normativa, più che altro dovuta all’adozione di direttive UE, apre ampi spazi
ad un approccio preventivo e di gestione razionale dell’emergenza. Per tale
motivo, questo articolo concentrerà la sua attenzione sui rischi tecnologici
pur non dimenticando che, sul piano teorico, le tematiche trattate sono spesso
analoghe a quelle poste dalla gestione dei rischi naturali. In particolare,
questa breve trattazione ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione su alcuni
principi dell’analisi e gestione dei rischi allo scopo di proporre un primo
momento di riflessione per tutte quelle organizzazioni politiche, sindacali
e culturali che si pongono l’obiettivo di affiancare i lavoratori e le popolazioni
esposte ai rischi per consentire che il concetto di partecipazione alla gestione
non resti semplicemente un’apertura teorica della normativa ma assuma quel ruolo
operativo che ne fa uno dei cardini fondamentali della prevenzione.
2. La gestione dei rischi tecnologici in Italia: aspetti normativi
Alla fine degli anni ’70, sulla base degli incidenti verificatisi
a Flixborough (UK) ed a Seveso, si sviluppò in Europa un ampio dibattito sull’efficacia
dell’approccio proposto dalle leggi allora vigenti di evitare l’accadimento
di eventi accidentali capaci di provocare ingenti conseguenze sia sui lavoratori
e sulle popolazioni che vivono intorno ad impianti industriali a rischio di
incidente rilevante sia sull’ambiente e sulla proprietà. Tale dibattito, che
coinvolse la comunità scientifica e le autorità dei paesi europei più industrializzati,
trovò una sua sintesi operativa nel lavoro dell’Advisory Committee on Major
Hazards, istituito dal Governo Inglese, il quale in tre successivi rapporti
propose alcune conclusioni che possono essere così sintetizzate:
1) molti dei più gravi incidenti industriali accaduti nel
passato potevano essere previsti e quindi evitati;
2) un approccio di tipo prescrittivo basato sulla definizione
a priori di misure di sicurezza valide per tutte le installazioni industriali
non è sufficiente per garantire un’efficace gestione della sicurezza, la quale
richiede invece valutazioni specifiche inserite in un processo continuo;
3) l’analisi sistematica dei rischi presenti in un’attività
industriale consente di predisporre strutture organizzative ed iniziative
in grado di ridurre la probabilità di accadimento degli incidenti e di mitigarne
le conseguenze.
Queste riflessioni, e l’ampio dibattito da esse indotto, hanno
trovato una prima dimensione operativa nella normativa CEE con l’emanazione
della Direttiva 501/82/CEE, meglio nota con il nome di Direttiva Seveso,
che è stata recepita in Italia soltanto nel 1988 con il DPR 175/88 e sue successive
integrazioni e modifiche. La Direttiva Seveso e conseguentemente il DPR 175/88,
nel cui campo di applicazione ricadono solo alcuni impianti selezionati sulla
base della pericolosità e della quantità delle sostanze chimiche da essi detenute,
introdussero nel quadro normativo italiano una metodologia di gestione della
sicurezza che, per come la materia era gestita sino a quel momento, contenevano
una grossa carica innovativa. In sintesi esse stabiliscono che:
1) le normative preesistenti in materia di sicurezza costituiscono
esclusivamente un minimum set cui ogni azienda deve attenersi. La nuova normativa
pertanto le integra ma non le sostituisce;
2) il fabbricante:
• è tenuto a prendere tutte le misure atte a prevenire
gli incidenti rilevanti ed a limitarne le conseguenze per l’uomo e l’ambiente;
• deve dimostrare ad ogni richiesta dell’autorità competente,
in alcuni casi anche attraverso la presentazione di un rapporto di sicurezza,
di aver provveduto all’individuazione dei rischi di incidente rilevante,
all’adozione delle appropriate misure di sicurezza, all’addestramento ed
all’equipaggiamento, ai fini di sicurezza, del dipendente e di coloro che
accedono all’azienda per motivi di lavoro;
• non è sollevato dalle responsabilità derivanti dai principi
generali dell’ordinamento, dall’adempimento degli obblighi previsti dalla
normativa;
3) alle autorità spetta il compito
• di garantire un’efficace ed efficiente applicazione della
norma;
• di gestire il rischio sul territorio attraverso la pianificazione
territoriale e l’informazione della popolazione;
• di predisporre, se del caso, un piano di emergenza esterna
finalizzato a evitare o mitigare le conseguenze di un eventuale incidente.
Emerge da ciò la filosofia dell’intera normativa di controllo
dei rischi di incidente rilevante che può essere sintetizzata nei seguenti principi:
a) qualora in un’attività industriale esista una sorgente
di pericolo il rischio di incidente può essere ridotto ma non eliminato;
b) il rischio residuo non può essere controllato mediante
un approccio autorizzativo (semplice rispetto di standard predefiniti) ma
richiede una procedura dinamica di conoscenza dei processi e di adozione di
adeguate misure di sicurezza, capace di stare al passo con il progresso tecnologico
e con l’acquisizione di nuove conoscenze;
c) il fabbricante è l’unico soggetto che, attraverso un’adeguata
organizzazione, può pervenire ad una conoscenza approfondita delle problematiche
inerenti la sicurezza del suo impianto ed alla conseguente identificazione
ed adozione delle più idonee misure di sicurezza;
d) i lavoratori e gli altri cittadini esposti al rischio
hanno il diritto di essere informati sui rischi cui sono esposti e sui comportamenti
da adottare per evitare o mitigare le conseguenze di un evento incidentale
nel quale potrebbero essere coinvolti;
e) le autorità pubbliche hanno il dovere, attraverso valutazioni,
ispezioni, ecc., di garantire l’efficace applicazione di questa procedura
e di predisporre, attraverso la pianificazione territoriale e dell’emergenza
esterna, adeguati strumenti di protezione della popolazione che vive intorno
agli impianti.
Principi di base analoghi a quelli proposti dalla normativa
inerente i rischi di incidenti rilevanti sono adottati dalla normativa di attuazione
delle Direttive Europee riguardanti la sicurezza e la protezione della salute
dei lavoratori sul luogo di lavoro (D.Lgs. 626/94). Anche in questo caso, infatti,
la valutazione dei rischi per la salute e la loro eliminazione o riduzione attraverso
una programmazione della prevenzione che integri coerentemente produzione, sicurezza
e protezione della salute, nonchè l’informazione, la formazione e la partecipazione
dei lavoratori all’attività inerente la loro gestione risultano ampiamente evidenziate
tra le misure di tutela stabilite dalla normativa.