Lavori atipici e nuove forme del lavoro
Arturo Salerni
Carla Serra
Maria Rosaria Damizia
Dossier a cura di Arturo Salerni, Maria Rosaria Damizia, Carla Serra dell’Associazione Progetto Diritti
Nel precedente numero di Proteo abbiamo preso in esame - sia pur sommariamente - la proposta approvata dal Senato in tema di lavori “atipici”. La proposta è attualmente all’esame della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati che ha terminato in un primo esame e sta per avviare le consultazioni delle “parti sociali”. In questo numero della rivista intendiamo ripercorrere alcune delle nuove figure in cui oggi vengono inquadrati i rapporti di lavoro, siano essi formalmente rapporti di lavoro dipendente o rapporti di lavoro caratterizzati da una sostanziale subalternità del lavoratore al datore o al committente e sia pur definiti in termini diversi.
Riteniamo di svolgere un servizio utile al lettore pubblicando in appendice il testo della proposta cosiddetta Smuraglia, approvata dal Senato della Repubblica. |
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1. Alcuni dati, per cominciare
Ci riferiamo ai dati pubblicati dall’ISTAT e relativi alla
situazione occupazionale riferita al mese di aprile del 1999.
Abbiamo una variazione degli occupati con segno positivo, con
riferimento al mese di aprile del 1998: + 2.3 per cento nelle regioni del Nord-Ovest,
+ 2% nelle regioni del Nord-Est, + 0.9 per cento al Centro, + 0.3 al Sud. Il
tasso di occupazione maschile sarebbe sceso dal 9.5 per cento del 1998 al 9.2
per cento del 1999 e quello femminile dal 16.8 per cento al 16.7.
Peraltro se seguiamo la serie storica della disoccupazione,
così come registrata dall’ISTAT, abbiamo i seguenti risultati.
Se guardiamo allo stato della disoccupazione giovanile (15-24
anni) il tasso per i maschi è del 27,7% e per le donne del 37,8 per cento. Esso
va così scorporato su base territoriale:
Da parte governativa arrivano grandi grida di soddisfazione
pur in presenza di una situazione complessivamente così drammatica, e caratterizzata
da una disoccupazione - non soltanto giovanile - talmente elevata da essere
divenuta insostenibile specie con riferimento alle donne ed alle aree geografiche
del centro-sud.
Ma, si afferma, si registrano 282 mila posti in più rispetto
ai dati dell’aprile dello scorso anno. In realtà è da registrare un rallentamento
rispetto al precedente trimestre (a gennaio si verificava - sempre secondo l’ISTAT
- un incremento dell’0.5, in aprile tale incremento si è attestato all’0.2).
Il fatto principale è però che gran parte dei nuovi posti di
lavoro è caratterizzato da stagionalità e precarietà. Crescono infatti contratti
di formazione, contratti a termine e lavoro interinale. Nello spazio di un anno
questi posti di lavoro sono passati da circa 1,2 a circa 1,5 milioni, e cioè
il loro peso percentuale è passato - sul totale dei lavoratori dipendenti -
dall’8,6 al 10,6 per cento. Si registra contestualmente - sia pure in termini
minori - un aumento dei lavoratori a tempo parziale (dal 7,3 al 7,9 sul totale
della forza lavoro dipendente).
Per ciò che concerne i lavoratori subordinati a tempo indeterminato
abbiamo invece una diminuzione di 64 mila unità.
Per quanto riguarda gli occupati a termine abbiamo questa situazione
(l’incremento percentuale è relativo al periodo aprile ‘98/aprile ’99):
Nord |
712.000 occupati |
+ 2.6% |
Centro |
242.000 occupati |
+ 0.6% |
Sud |
600.000 occupati |
+ 1.7% |
Scomponendo per settori risultano
questi dati: |
Agricoltura |
164.000 occupati |
+ 2,4
|
Industria |
653.000 occupati |
+1,1% |
Terziario |
949.000 occupati |
+ 2,5 |
Ed ancora ecco la suddivisione
per fasce di età: |
15-29 anni |
750.000 occupati |
+ 3,5% |
30-49 anni |
653.000 occupati |
+ 1,6% |
oltre 50 anni |
151.000 occupati |
+ 1,1 |
2. Qualche considerazione
E’ evidente che ci si sta riferendo a cifre ufficiali, ovvero
a ciò che emerge dalla illegalità del lavoro nero ed a ciò che viene classificato
come lavoro subordinato.
L’aumento delle forme di lavoro precario (ed in particolare
del tempo determinato, nelle sue diverse forme legali e contrattuali) significa
meno garanzie, meno stabilità, minore remunerazione. Soprattutto significa nessuna
garanzia sul domani: il rinnovo del contratto, la sua trasformazione in contratto
di lavoro a tempo indeterminato (con la garanzia della reintegrazione nel caso
di licenziamento illegittimo, ovvero nelle unità con più di quindici dipendenti)
dipenderà da tanti fattori, tra i quali assumono rilevanza assoluta il comportamento
e la remissività del lavoratore.
Con riferimento alla fascia di età più giovanile l’uso del
contratto a termine è evidentemente più diffuso; con riferimento ai settori
lavorativi quello che prevale è il settore terziario.
L’altro dato da sottolineare è quello dell’aumento dell’utilizzo
dei contratti part-time.
Innanzi tutto va rilevato che per i lavoratori a tempo parziale
l’orario normale si allunga. Il part-time lungo, fino a 32 ore, è previsto da
numerosi contratti di categoria, per esempio nel tessile-abbigliamento, dove
si presta alle esigenze produttive del settore, e in altri settori nei quali
rende possibile il prolungamento dei turni sia di notte che nei week-end, consentendo
così l’utilizzazione prolungata degli impianti. Peraltro con un recente decreto
del Ministro del Lavoro si è prevista una serie di incentivi alle imprese in
caso di utilizzo del part-time ed in particolare del part-time lungo.
Part-time e lavoro temporaneo crescono in quasi tutto il mondo
(così rileva l’Employment Outlook ’98 dell’Ocse) e tendono a sostituire sempre
di più le occupazioni tradizionali, meno flessibili e di lunga durata.
Ulteriormente si comincia ad affermare - accanto al part-time
orizzontale (meno ore di lavoro al giorno rispetto ad un normale orario lavorativo)
ed al part-time verticale (meno giorni di lavoro nella settimana) l’uso del
part-time ciclico, concentrato cioè in alcuni periodi dell’anno.
Nulla impedisce inoltre che attraverso l’uso degli straordinari,
consentito da accordi aziendali, un occupato part-time possa di fatto lavorare
come un dipendente full-time, ma a costo più basso. Si legge nel rapporto dell’Ocse,
che abbiamo sopra indicato, che i lavoratori part-time oltre a coprire gli orari
più scomodi spesso si rivelano anche lavoratori a più basso costo: ed infatti,
si dice, che nella maggior parte dei casi gli occupati part-time risultano più
convenienti per il datore - sotto il profilo dei costi - quando effettuano lavoro
straordinario.
Si legge ancora nel rapporto dell’Ocse che nella maggior parte
dei paesi europei vi è proporzione simile tra lo straordinario effettuato dai
lavoratori part-time e quelli a tempo pieno.
3. Il telelavoro
L’introduzione delle forme di cosiddetto lavoro atipico ha
accelerato il processo di precarizzazione del lavoro, sbarazzando i rapporti
lavorativi di tutte quelle "rigidità", che altro non sono se non le
norme di tutela create dalla legge o dall’autonomia collettiva per riequilibrare
la posizione di debolezza del lavoratore.
L’emersione di nuove forme di lavoro, caratterizzate dal segno
della flessibilità, fa perdere centralità alla figura tradizionale del lavoro
subordinato, quello a tempo pieno e dotato di stabilità (quantomeno nelle imprese
che occupano più di quindici dipendenti), alterandone gli indici e quindi la
sua originaria configurazione.
Nell’ambito di questa generale trasformazione i nuovi strumenti
informatici stanno realizzando - ed in parte hanno già realizzato - nel mondo
del lavoro una vera e propria rivoluzione tecnologica che introduce il lavoro
a distanza, comunemente definito come "telelavoro".
Siamo di fronte ad un nuovo modo di lavorare: non più secondo
lo schema tradizionale, cioè presso l’ufficio o l’unità produttiva in genere,
ma con la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa non in un luogo
fisso, bensì ovunque. Ciò è stato determinato anche dall’esigenza di decongestione
delle aree urbane dal traffico veicolare valutando positivamente i riflessi
ecologici che possono derivarne, e dall’esigenza di contenimento dei costi in
generale.
Tale forma di erogazione della prestazione lavorativa, che
già esisteva per alcuni tipi di lavoro, ad es. ispettori, propagandisti, trasfertisti,
personale viaggiante, ecc. potrebbe divenire in futuro la modalità di lavoro
per considerevoli settori operativi. Già la Telecom Italia s.p.a. ha raggiunto
nell’agosto 1995 un accordo con le parti sociali che riguarda, per un periodo
sperimentale, il "telelavoro domiciliare" di un limitato numero di
lavoratori volontari, con prestazione a tempo parziale, che forniranno da casa
all’utenza le informazioni con il "servizio 12".
Si avverte già da ora l’assenza di una cornice normativa adeguata
a tale forma di lavoro. All’interno di quella già esistente, si dovrà verificare
se tale figura possa considerarsi compatibile con la descrizione del contratto
d’opera di cui all’art.2222 del codice civile (che prevede l’ipotesi di “quando
una persona si obbliga compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio,
con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti
del committente”, o se invece si debba parlare di prestatore di lavoro subordinato
ai sensi dell’art.2094 del codice civile.
Il telelavoro può quindi astrattamente esercitarsi o alle dipendenze
e sotto la direzione del datore di lavoro ovvero in autonomia, con un controllo
esercitato non sulla prestazione lavorativa ma sul risultato della stessa, e
bisognerà evitare che prestazioni di fatto caratterizzate da subordinazione
siano classificate invece come di natura autonoma.
Il problema che si pone in concreto è conseguentemente quello
del modo in cui debba essere calcolata la retribuzione nonché quello di tutelare
la personalità fisica e morale del lavoratore, secondo quanto previsto dal codice
civile e dalle leggi che regolano le garanzie in favore del dipendente.
Vi è anche un problema specifico - legato alle peculiari modalità
di espletamento della prestazione lavorativa - connesso al rispetto del diritto
alla riservatezza, posto che la legge n.300 del 20 maggio 1970 (lo Statuto dei
Lavoratori) prescrive "il divieto di indagini" e la proibizione del
"controllo a distanza".
Nell’accordo Telecom sopra richiamato, le parti hanno dichiarato
che il telelavoro consente il superamento delle tradizionali modalità di svolgimento
della prestazione, nella sua dimensione spazio-temporale, che esso costituisce
solo una modifica del luogo della prestazione lavorativa e che non può considerarsi
come un controllo a distanza ai sensi dell’art.4, comma 2, della legge n. 300/70.
L’accordo Telecom ha quindi definito le condizioni logistiche (disponibilità
di un ambiente "separabile da quello normalmente dedicato ad attività di
vita quotidiana"), operative (comunicazioni per via telefonica o a mezzo
fax da utilizzare solo per motivi di servizio, attivazione all’inizio ed al
termine della prestazione dell’ "apposito dispositivo di presenza")
ed economiche (assunzione da parte dell’azienda dei costi di installazione e
dell’energia elettrica impiegata), che potrebbero estendersi ad altre attività
similari.
Negli Stati Uniti d’America più di 8,8 milioni di lavoratori
dipendenti esplicano la loro attività lavorativa mediante computer, fax e telefono
nella propria abitazione.
Anche l’estensione di tale forma di lavoro nel comparto pubblico,
richiede un lavoro normativo e contrattuale, per enucleare un sistema di riferimento
nel quale la nuova figura giuridica efficacemente possa inserirsi. Evidentemente
non tutte le attività lavorative possono sganciarsi dall’ambiente lavorativo
tipico; si è prefigurata una organizzazione del lavoro nella quale il telelavoro
riguarderà principalmente le categorie ad alto contenuto professionale.
Altro nodo da sciogliere è quello secondo cui, venendo meno
la presenza del lavoratore in azienda, si pongono problemi di rappresentanza
e rappresentatività, cioè si dovrà modificare il "modo di fare sindacato";
infatti con l’introduzione del telelavoro, connessa alla riduzione delle ore
di presenza del lavoratore sul luogo di lavoro, muta completamente non solo
lo scenario di riferimento ma anche la tipologia dei comportamenti adottabili
per stimolare i lavoratori ad attività per la tutela di un interesse comune.
Di fatto si può determinare - per condizioni oggettive e per precise strategie
aziendali - uno spezzettamento dei luoghi ed un allontanamento dei lavoratori
tra loro (ovvero una loro separazione fisica e comunicazionale), o addirittura
ad una mancanza assoluta di conoscenza reciproca da parte dei diversi dipendenti
di una stessa azienda, con assoluta individualizzazione del rapporto lavorativo,
e conseguente impossibilità di esercitare anche minime forme di pressione sindacale.
L’introduzione di questo scenario, veramente nuovo e sicuramente
ben più che pericoloso, è indubbiamente favorito dal vantaggio che per il lavoratore
potrebbe ravvisarsi nella possibilità di non abbandonare il domicilio, al superamento
dei disagi prodotti dal pendolarismo che ha costi individuali e sociali elevati,
e dalla prospettiva (che potrebbe risultarsi illusoria) di un nuovo e più proficuo
rapporto tra tempo libero e tempo lavorativo, tra tempo di cura della persona
e della famiglia ed tempo da dedicare all’attività lavorativa.
Non è il caso in questa sede di indagare sui possibili riflessi
in tema di atomizzazione sociale, di produzione di solitudine ed isolamento,
di modificazione dei comportamenti sociali che una massiva introduzione del
telelavoro può produrre: certo si tratta di una realtà con cui bisognerà sempre
di più fare i conti.