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James Petras
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Professore emerito, State University, New York

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I nuovi miliardari.Uno sguardo alla Cina e all’India

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1. Miliardari in Cina

I miliardari cinesi, una ventina, a differenza di quelli indiani, sono mediamente più giovani, posseggono meno titoli di studio di livello avanzato, sono stati per lo più educati in Cina e soltanto il 10% (due) hanno ereditato ricchezza dalle proprie famiglie. Il 65% di essi ha circa 50 anni o è più giovane. La loro ricchezza totale ammonta a 28, 9 miliardi di dollari. Mentre la maggior parte dei miliardari indiani ha ereditato ingenti ricchezze tali da poter costruire la propria fortuna utilizzando le leve del potere economico per promuovere politiche neoliberiste, in Cina per lo più essi hanno ereditato e si sono garantiti influenze politiche grazie ai legami di parentela, utilizzati come basi di partenza per la costruzione del proprio impero economico. I miliardari cinesi ben presto hanno sfruttato le proprie reti di relazioni politiche per accaparrarsi aziende statali lucrative, terre, sussidi alle esportazioni, prestiti, licenze d’importazione e d’esportazione, che hanno agevolato la rapida accumulazione della ricchezza. Quasi tutti i miliardari cinesi hanno acquistato milioni in patrimoni aziendali durante la prima ondata di politiche neoliberiste dagli anni ’80 ai ’90, durante la vigenza della presidenza di Jiang Zemin (1993-2003) e del Primo Ministro Zhu Rongji, fino a raggiungere lo status di miliardari durante la corsa cinese per l’ingresso nella WTO nel 2001. La proliferazione di miliardari ha subito un’accelerazione durante le presidenza di Hu Jintao (dal 2003 ad oggi) e del Primo Ministro Wen Jiabao (stesso periodo) a dispetto della retorica sulle “reti di sicurezza sociale”, sull’aumento di spese per il welfare e sulla riduzione delle ineguaglianze. I milionari cinesi sono diventati miliardari diversificando e combinando i propri investimenti - dall’agrobusiness alle proprietà immobiliari, dalla manifattura al commercio e così via. Il passaggio graduale da milionari a miliardari passa per l’accaparramento o la formazione di patrimoni ovunque un “affare” possa essere contratto con esponenti di partito a livello regionale, provinciale o municipale. Tutti i magnati miliardari sono attualmente proprietari di conglomerati, tutti intrattengono salde relazioni con gli alti dirigenti, tutti sono partiti grazie all’appoggio statale e successivamente si sono ramificati in altri settori. L’influenza politica piuttosto che l’elevata educazione hanno consentito ai nuovi oligarchi cinesi di arrivare al vertice della struttura di classe. Soltanto il 25% possiede un’educazione universitaria e la maggior parte di quelli con più titoli di studio fanno parte delle leve più giovani dei miliardari. Metà dei miliardari fino a 40 anni posseggono un’educazione universitaria, mentre nessuno degli over 50 ha un diploma universitario. Nonostante i dati sui multimilionari non sono facilmente reperibili, esperti cinesi e stranieri stimano che essi siano qualche centinaia di migliaia. A prescindere da tali cifre, c’è un dato certo: che 20 cinesi superricchi posseggono una ricchezza di 28, 9 miliardi di dollari - maggiore del complesso di ricchezze possedute da 400 milioni tra contadini, lavoratori disoccupati, proprietari di case sfrattati e lavoratori migranti sradicati cinesi. Ciò che colpisce in Cina, così come in Russia, è la velocità della concentrazione della ricchezza (in meno di un decennio), il livello di corrispondenza tra politiche macroeconomiche ed accumulazione della ricchezza privata e diffusione della proprietà privata in certi settori economici. Quasi tutti i miliardari hanno avviato la propria scalata sfruttando il mercato interno; il settore delle esportazioni divenne importante dagli anni ’90 in poi. Buona parte delle esportazioni cinesi avvengono tramite appaltatori stranieri che controllano i settori commerciali più lucrativi del boom del mercato cinese. L’iniziale reticenza del Governo cinese ad aprire rapidamente tutta la propria economia alle esportazioni controllate dagli stranieri, riflette la forza dei nuovi emergenti superricchi capitalisti. Da quando tale borghesia si è consolidata, si è spostata sugli investimenti oltremare nelle risorse minerarie (15%) e nelle joint venture (a carattere immobiliare, manifatturiero, dell’alta tecnologia). Con il rapido incremento del numero di milionari e miliardari nei settori strategici della crescita dell’economia, il loro peso politico nel sistema politico cinese è lievitato. Con successo hanno avuto accesso a nuovi settori, hanno promosso lo sradicamento dei poveri da alcuni quartieri centrali, il saccheggio delle risorse naturali, l’inquinamento dell’ambiente e lo sfruttamento del lavoro. Non esercitano più pressioni sul Partito dall’esterno - piuttosto ora hanno i loro ideologi, promotori e politici all’interno del regime. Come risultato del saccheggio, dell’imposizione di tasse abusive, della ridislocazione forzata dei poveri e della corruzione del Partito-regime diretti a beneficio dei ricchi e dei superricchi, le masse cinesi, specialmente quelle delle cittadine provinciali di medie dimensioni e dei villaggi sono in costante, aperta, rivolta, facendo affidamento sui leader locali, sulle proprie organizzazioni e sull’azione diretta. Ad esempio, a metà maggio dello scorso anno, più di 10.000 persone si sono rivoltate incendiando edifici e capovolgendo auto di proprietà dell’élite governativa del Guanxi a causa degli abusi locali in materia di tasse. L’escalation di attività extraparlamentari dei lavoratori e dei contadini cinesi ha cominciato ad essere sensibile sin dal 2001. Dati ufficiali molto prudenti registrano 87.000 proteste nel 2005, con un incremento del 50% rispetto al 2003. Stime più recenti, risalenti al 2006 e al 2007 ne attestano un ulteriore aumento a dispetto dell’iniziativa del governo nazionale di costituire forze speciali con l’obiettivo di reprimere la crescente protesta popolare. La Cina e l’India, “emergenti potenze mondiali”, hanno di fatto costruito una potente macchina politica in grado di generare miliardari nuovi di zecca, mescolando le nuove élite con le vecchie reti di potentati monetari e familiari. La “nuova classe” è generatrice di mostruose ineguaglianze di classe e di zone economiche ad alti tassi di crescita nel bel mezzo di una mare di miseria. La prosperità e l’opulenta ricchezza delle nuove metropoli, colme di uffici ai piani alti, appartamenti lussuriosi, e suntuosi palazzi smentiscono la povertà diffusa ed il crescente gap tra i superricchi e le altre centinai di milioni di persone maltrattati, disprezzati e terrorizzati... Oggi in Cina il malcontento è diffuso e frammentato: se e quando le masse alienate dovessero unirsi... allora la prima “Rivoluzione Culturale” rischierebbe di somigliare ad una composta festicciola da giardino. Quella cinese è un’inarrestabile economia trainata dalle esportazioni gestita da miliardari e multimilionari in cui le riserve straniere continuano ad accumularsi. Gli squilibri commerciali sono funzionali alle scelte strategiche dei miliardari, fondate sul mercato d’esportazione e sugli investimenti grazie ai bassi redditi delle masse cinesi nel mercato interno. Mentre la corruzione politica è un fattore chiave che olia le ruote per la scalata dei superricchi, i principali fattori economici che determinano tale percorso sono di tipo strutturale: la ben salda classe economica dominante rende difficile la riforma del modello sperimentato negli ultimi 30 di politica economica. La chiave del successo dei miliardari e dei multimilionari è l’enorme offerta di capitale a basso costo, e terra e vasti eserciti di lavoratori sottopagati, tutti soggetti a straordinari tassi di sfruttamento che comportano un incremento annuo di produttività del 7%. Gli alti tassi di sfruttamento cinesi sopraffanno perfino i costi crescenti dovuti all’incremento dei prezzi delle materie prime, dell’energia e alla rivalutazione monetaria. Ad esempio il 30% di aumento nel prezzo dell’acciaio grezzo importato tra l’aprile 2006 e lo stesso mese del 2007 fu compensato dall’aumento del 159% delle esportazioni di acciaio lavorato. La crescita dei miliardari è strettamente dipendente dai bassi tassi d’interesse, frutto delle decisioni statali di pagare bassi interessi sui risparmi dei piccoli proprietari di beni immobili. Stando al Financial Times del 22 maggio del 2007, i «proprietari di case stanno in effetti sostenendo il basso costo del capitale grazie all’imposizione di tetti massimi sui tassi di deposito posti a livelli bassi... C’è stato un vasto incremento dei profitti ma essi non ne ottengono i benefici» (p. 7). Credito a buon mercato sostenuto dalla classe lavoratrice e dai contadini proprietari di case, terra a costi bassi confiscata dal regime sfrattando i poveri delle città e delle campagne e trasferite ai superricchi, alti tassi di sfruttamento che consentono l’estrazione di enormi profitti dal lavoro sottopagato ed una crescente massa di nuovi disoccupati e lavoratori più anziani alle prime prese con il mercato del lavoro, figure sociali generate dai bassi tassi di crescita occupazionale delle nuove industrie ad alta intensità di capitale. Gli incentivi sistematici creano un abissale gap tra i miliardari superricchi e le centinaia di milioni di lavoratori, contadini e disoccupati impoveriti. Nessuna retorica di regime che proclami la volontà di riduzione del gap intercorrente tra ricchi e poveri ha alcuna possibilità di essere praticata, dato il sistema di incentivi che spingono nella direzione opposta.

2. Miliardari indiani

La concentrazione e la ricchezza dei miliardari indiani (191 miliardi di dollari) supera di molto il livello raggiunto da quelli cinesi (28,9 mld $). Infatti la ricchezza totale dei primi due miliardari indiani ammonta a 52,1 mld $, quasi il doppio di tutti e 20 i miliardari cinesi. Le più intense disparità al mondo si trovano in India dove la ricchezza di 35 famiglie miliardarie supera quella di 800 milioni di poveri contadini, lavoratori agricoli senza terra e abitanti dei bassifondi urbani. Contrariamente alla comune convinzione, la maggioranza dei miliardari indiani non è giovane, non sono magnati dell’alta tecnologia, innovativi, competitivi. Più del 70% ha un’età superiore ai 50 anni, un terzo non possiede un titolo universitario, meno di un quinto possiede un master ed il 57% ha ereditato buona parte della propria ricchezza. La maggior parte di questi miliardari ha cominciato come milionario - quali componenti della classe sociale più elevata - ed hanno sfruttato i rapporti politici e familiari di lunga durata per massimizzare i propri profitti. Più della metà (54%) dei miliardari indiani ha accumulato le prime decine di milioni grazie alle proprie posizioni monopolistiche nei settori della manifattura, del minerario e delle costruzioni, potendo godere poi successivamente delle politiche di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione del Congresso e dei partiti del BJP (Bharatiya Janata Party [Il principale partito indiano - N.d.T.]) per poter costruire i propri imperi miliardari. I miliardari indiani maggiormente pubblicizzati, operanti nel settore dell’alta tecnologia e dei software, sono soltanto una distinta minoranza del 20% di tutti i superricchi, superati numericamente anche, tra i miliardari che operano nel settore dei servizi, dai magnati dei media e dagli speculatori dei settori immobiliare e finanziario. Mentre tutti i miliardari sono cittadini indiani e dichiarano la prima residenza in India, quasi il 90% di costoro ha in realtà la prima o la seconda residenza all’estero, in Australia, in altri paesi dell’Asia o nel Regno Unito. Mentre la loro iniziale ricchezza derivava dall’eredità, dai settori della manifattura e dei servizi, circa un terzo ha ottenuto inattesi profitti dal campo della speculazione immobiliare (centri commerciali, zone economiche speciali e residenza urbana) incrementati dall’alto livello di corruzione diffusa fino ai massimi dirigenti e dalla rimozione forzata degli abitanti di villaggi e dei bassifondi urbani. La crescita di questa potente cricca di superricchi non ha nulla in comune con un processo di formazione di una borghesia nazionale. Più di un terzo di essi ha in programma l’estensione dei propri affari all’estero e molti altri hanno costituito joint venture con multinazionali straniere. La crescita di questa potente élite economica si estende al di là degli iniziali interessi economici. Infatti il passaggio dallo status di multimilionario a quello di miliardario necessita la diversificazione degli investimenti e la formazione di conglomerati nei settori economici più disparati, la cui unica funzione è quella di accumulare ricchezza. Molte delle compagnie minerarie e manifatturiere, che hanno accumulato le prime centinaia di milioni di dollari sfruttando il lavoro indiano, hanno reinvestito i propri profitti in complessi residenziali e beni immobiliari multimilionari oltreoceano, in nuove imprese minerarie ed in azioni e obbligazioni straniere. Una lettura attenta dei percorsi dei miliardari indiani rileva l’importanza cruciale delle politiche statali. Fino agli ultimi anni ’80, il sistema economico misto indiano agevolò la nascita di molti milionari. Con l’arrivo al potere del liberista BJP e con le varie composizioni politiche del Congresso durante gli anni ’90 (e specialmente con l’avvento del nuovo millennio) si sviluppò il fenomeno degli enormi imperi miliardari. Se molti pubblicisti ed economisti indiani annunciano il “miracolo indiano” e classificano l’India come una “potenza mondiale emergente” grazie all’alto tasso di crescita degli ultimi 5 anni, ciò che traspare realmente è la conversione dell’India in un paradiso di miliardari. La speculazione nei prezzi della terra e degli immobili ha generato spostamenti forzosi di abitanti dei villaggio per spianate aree ove localizzare nuove zone economiche speciali, dove gli industriali ri-localizzano le proprie attività per sfuggire alle tassazioni, alle legislazioni lavoriste e di assistenza sociale, mentre gli speculatori dell’immobiliare macinano enormi profitti inaspettati. L’incremento della povertà assoluta e relativa ed il declino degli standard di vita sono mascherati dagli accademici che fanno uso di standard bassissimi per i confronti dei livelli di povertà - 2 dollari al giorno (cfr. il World Bank Year Book del 2006). Infatti dato il declino dei servizi pubblici e la privatizzazione di fatto del sistema sanitario e dell’educazione, la crescita delle rendite, la tassazione regressiva, la riconversione dell’uso della terra, l’abbassamento delle barriere del mercato e degli investimenti - il fattore principale che ha consentito ai milionari di trasformarsi in miliardari - 800 milioni di lavoratori indiani, contadini e disoccupati hanno subito un declino dei loro standard relativi ed assoluti di vita. La crescente polarizzazione di classe riassunta da un lato dalle centinaia di migliaia di milionari e dai 35 miliardari e dall’altra parte dalle centinaia di milioni di sradicati, sfruttati e poveri urbani e contadini spodestati sta cominciando ad esprimersi in crescenti azioni dirette di massa, conflitti armati e rifiuti di massa di votare politici in carica iscritti al Partito del Congresso, al BJP, al Partito comunista indiano, ai partiti governativi. Cantori locali e d’oltremare del “festival dei miliardari” adulano i politici indiani con scritti apologetici sugli indiani come una “emergente potenza mondiale”. In contrasto, le grandi masse dei contadini poveri e delle caste più basse denunciano i legali politici strategici tra lo Stato ed i miliardari, tra le liberalizzazioni economiche e l’immiserimento sociale. Il lungo decennio tra il 1994 ed il 2007 verrà considerato come l’età dell’infamia, il periodo di conversione dei multimilionari in miliardari. I prossimi decenni potrebbero diventare l’era delle ribellioni per i tre quarti dei figli del miliardo di poveri, in lotta per espropriare la ricchezza della progenie privilegiata dei miliardari indiani di oggi.