Da questi marchi prodotti per e nell’evoluzione della
storia del lavoro a Cuba sono scaturiti dei modelli di lavoratori cubani: il
lavoratore della dipendenza (incolto, orientato verso la sussistenza, disciplina
variabile, qualifica empirica e partecipazione reattiva), il lavoratore per lo
sviluppo economico e sociale (istruito, orientato alla resistenza del paese, con
disciplina cosciente, qualifica accademica e pratica e partecipazione attiva) e,
oggi come oggi, il lavoratore della transizione (istruito, orientato in
alternanza verso la sussistenza e verso la resistenza, educato dipendentemente
dalla capacità di controllo del suo spazio economico, ben qualificato sebbene
non necessariamente con buone capacità e con partecipazione dipendente dallo
spazio economico e dal livello di recupero o ritiro del suo collettivo e dell’istituzione
lavorativi). Il lavoratore della dipendenza che si è formato lungo i secoli non
solo ha avuto il predominio in assoluto anteriormente alla rivoluzione, ma è
sopravvissuto e sporadicamente sopravvive ancora, è un morto che rinasce a
momenti in relativo stato di salute. Il lavoratore per lo sviluppo è stato
sempre un archetipo della presenza reale intermittente in quasi tutti, lo
costruiamo, distruggiamo e ricostruiamo successivamente dentro di noi e tra gli
altri come conseguenza, sia per una vocazione alla resistenza e all’autoperfezionamento,
sia per un debilitato sostentamento istituzionale e un sistema di relazioni
lavorative non funzionale. È vivo, comunque si aggiusta e passa. Quello della
transizione è un modello contraddittorio per se stesso, doppio, prodotto di una
congiuntura sebbene non necessariamente provocata in se stesso,i suoi movimenti
futuri dipendono proprio dalla qualità dello scenario in cui è inserito. È la
sintesi temporale -qui sì- dei due modelli contrapposti precedenti e forse
qualcosa in più, insieme dei tratti embrionali di un nuovo modello ancora da
caratterizzare.
Dietro a queste caratteristiche e contrapposizioni e a questi
modelli che ci distinguono come marchi ci sono la nostra storia e la nostra
geografia, le nostre radici etniche e le nostre famiglie; sono il risultato di
un lungo processo globalizzatore che ci avvolge da secoli e che ora continua non
solo ad una velocità cibernetica, ma in mezzo ad una “diseguale contesa”,
come avrebbe detto don Chisciotte.
Assistiamo ad un momento storico in cui sfumano delle
identità, proprio quando il nostro conclude il suo processo depurativo. È per
questo che il lavoro, come segmento chiave di un’attività acquisisce una
rilevanza particolare e strategica nella costruzione della nostra identità.
Veniva già segnalato da Marx fin dalla sua gioventù: “Il carattere totale
della specie -il suo carattere specifico- è contenuto nel carattere della sua
attività vitale” (Marx 1995); la cubanità si troverà prevalentemente nei
nostri prodotti e servizi, in ciò che sapremmo creare, nella qualità di
identificazione del nostro inserimento come nazione nel processo globalizzatore
dei nostri giorni. In esso ci entriamo con le capacità e i limiti appena
commentati, con la completa convergenza dei modelli descritti in mezzo al
riaggiustamento socio economico degli anni ’90.
La “decade prodigiosa”: multispazialità economica e lavoro negli anni
’90
La strategia del riaggiustamento economico sviluppato lungo
questa decade dall’organo direttivo del paese ha prodotto una serie di
cambiamenti dei quali vado a riferire solo quelli che giudico più
trascendentali per il loro effetto sul lavoro [1].
- Diversificazione delle forme di proprietà, mediante l’apertura
al capitale straniero, la creazione di unità basiche di produzione cooperativa
UBPC- e l’ampliamento del lavoro per proprio conto.
- Liberalizzazione del possesso e della circolazione della
divisa monetaria, ciò ha generato una circolazione contemporanea del peso
cubano e del dollaro nordamericano, che è la moneta reale di riferimento o che
si utilizza di più, nelle transizioni impresariali e personali.
- Concentrazione dello sforzo degli investimenti nel settore
emergente dell’economia, ossia il turismo, il commercio in valuta,
immobiliare, attività di rapido recupero del capitale o di sicurezza essenziale
come l’energia elettrica.
- Inizio della lenta trasformazione dell’impresa
socialista, aumentando l’autonomia, sostituendo i bilanciamenti materiali con
quelli finanziari e promuovendo un nuovo modello di gestione che scorre
parallelamente alla riduzione sistematica del sussidio statale.
Tutti questi cambiamenti hanno portato il paese verso un
processo che i suoi dirigenti già qualificano come di recupero economico [2] senza nascondere
ostacoli per niente semplici o impressionanti.
Ciò che è più importante secondo il mio giudizio è che il
paese ha dimostrato la sua capacità di resistenza e ha mantenuto il consenso
politico anche in mezzo a ingenti difficoltà, come ha dato dimostrazione di
conservare sufficiente capacità autocritica per intraprendere il processo di
riaggiustamento e perfezionamento con serenità, gradatamente e con sensatezza
politica. Tutto ciò aumenta il suo credito internazionale, ma soprattutto
legittima il cammino scelto di fronte all’immensa maggioranza del popolo.
Tuttavia il processo è stato ed è infinitamente complesso.
Che sia forse la multispazialità economica l’elemento che sintetizza questa
complessità, che si è adattato ed ha portato il suo impatto nella struttura
sociale (Espina, Moreno, Martín, 1997), nell’impiego (Martín, Nicolau,1999)
e nelle relazioni lavorative (Martín, 1997).
Quando parlo della multispazialità economica mi riferisco
alla coesistenza nell’economia cubana di spazi di attività che si distinguono
tra loro per la forma di proprietà predominante in ognuno, dal maggiore o
minore livello di compromesso con la pianificazione o con il mercato come
meccanismo di regolazione e per le sue condizioni e relazioni di lavoro che lo
contraddistinguono. Così esistono, se li denominiamo con i loro tratti
essenziali -la forma di proprietà predominante- i seguenti spazi economici:
- Lo statale, dove bisogna distinguere le imprese che operano
con fondi propri in valuta per i loro interscambi e quelle che dipendono da
somministrazioni statali.
- Il cooperativo, dove ci sono la UBPC e le cooperative di
produzione agricola e pastorizia (CPA). Questo è uno spazio ristretto dell’agricoltura,
ma suscettibile di abbracciare altri settori come il commercio.
- Il misto, dove coesistono in associazione e con diverse
modalità, la proprietà statale e la privata straniera.
- Il privato, dove bisogna includere marchi e rappresentative
straniere, associazioni e fondazioni, ma alla base è occupato da attività
lavorative private e dai contadini individuali, sebbene questi ultimi sono molto
vicini allo spazio cooperativo.
- Il sommerso, una specie di proto-spazio che si muove tra
tutti gli altri e concentra le attività economiche illegali o non dichiarate,
basate generalmente in salassi all’economia statale o alla proprietà privata
e cooperativa.
- Quello della disoccupazione, che apparentemente è un
non-spazio, ma vi sono concentrati i disoccupati propriamente detti e altri
disoccupati che preferiscono aspettare un’opportunità nello spazio che
preferiscono.
Nello spazio statale nel 1998 era concentrato il 67% dei
lavoratori e insieme al cooperativo (9%) rappresentano la continuità nel mondo
lavorativo cubano. Il misto (8%), il privato (10%) e quello della disoccupazione
(6%) rappresentano la rottura e l’emergenza.
Dei 3,5 milioni di lavoratori cubani, circa 1/3 svolgono
lavori che contano su un determinato schema di incentivi che li associa o
equivale ad una certa entrata in moneta. La maggioranza, comunque, guadagna il
suo stipendio in moneta nazionale, a parte una buona quantità di prodotti base
(olio, detersivi, vestiario, scarpe) può solo acquistare in moneta nella rete
esistente o a prezzi molto elevati sul mercato statale non regolato o sul
mercato nero. Come si vive allora? È molto difficile fare un conto in termini
di somma base (anche se il nostro intento è serio), ci sono differenze
importanti tra le varie regioni del paese: campagna o città, vicinanza o
lontananza dai poli turistici o a zone che concentrano le attività economiche
reattive o emergenti. Si corre il rischio di supporre che l’imprescindibile
oscilla tra un minimo di $250 peso ad un massimo di $350 peso procapite mensile,
perciò, sebbene il salario medio sia aumentato fino a $217 peso, la percezione
della quasi totalità dei lavoratori che abbiamo intervistato in qualunque delle
nostre ricerche ritiene che il salario in moneta non basta per vivere.
Tuttavia, a Cuba non c’è fame, anche se ci sono delle
difficoltà con l’alimentazione desiderata o consigliabile, sebbene nelle
città popolose sono scarsi i mendicanti e molto rari o inesistenti gli “homeless”.
Perché? Penso per vari fattori:
1°- 1/3 e dei prodotti di base della dieta del cubano si
acquistano a prezzi bassi o accessibili, la sicurezza sociale raggiunge tutti i
cubani direttamente o indirettamente e, insomma, il progetto sociale ed i fondi
sociali di consumo che lo accompagnano hanno mantenuto un livello di equità e
di “solidarietà organica” essenzialmente efficace anche nel bel mezzo della
crisi.
2°- Oltre all’importante numero di lavoratori che svolgono
il loro lavoro con sistemi di incentivazione, il lavoro informale (registrato o
no e in associazione all’economia sommersa o no), oltre a fonte di impiego per
più di 100.000 lavoratori è, soprattutto, complemento salariale di una
incalcolabile quantità di persone, che sia in modo permanente o occasionale e
funziona come un canale alternativo di ridistribuzione interna delle entrate che
in qualsiasi modo ottengono i cubani [3].
Tutto ciò forma un quadro contraddittorio, che se ha
contribuito a distribuire la crisi tra tutti i gruppi sociali, approfittando e
talvolta riproducendo il consenso politico, dall’altro lato ha fatto fronte
alla “precarietà solidale” promossa dalla lidership politica come forma di
gestione della crisi, con una lotta individualista per l’esistenza corrosiva
dei valori e per il frazionamento delle identità di classe la cui origine è la
multispazialità economica.
Per il mondo del lavoro il vettore di questa frammentazione
è stato l’impiego perché le limitazioni economiche hanno provocato una
diminuzione reale dell’occupazione, poiché le maggiori proposte di impiego
sorgono negli spazi economici meno attraenti e quelli che prendono nuovo vigore,
vengono recuperati o semplicemente emergono, generano poca occupazione o
riducono la loro offerta a favore di una maggior efficienza. Bisogna chiarire
che non si può fondare una volontà anti impiego in questi soggetti economici
già che sono certamente gli antecedenti degli eccessi della pianificazione e
povera utilizzazione delle risorse umane nell’immensa maggioranza di essi.
Importante è che non si osservano vincoli tra la ripresa economica e la
riattivazione della domanda di forza lavoro (Martín e Nicolau, 1999). Di modo
che il fatto di avere o no impiego precede il fatto di averlo in questo o quello
spazio e tutto finisce con l’avere o no una fonte di entrate aggiuntiva
socialmente pianificata o no. Quel conflitto continuo pone interrogativi e
definisce componenti culturali del lavoro a Cuba.
Così ciò che abbiamo chiamato “precarietà solidale”
corre parallelamente ed in opposizione alla multispazialità differenziante che
insuffla livelli di eterogeneità sociale inediti per il corso storico de
socialismo cubano. Sebbene il discorso ufficiale riconosca questa disuguaglianza
come un male inevitabile e programmaticamente riducibile (Lage, op, cit), il
corso attuale del riaggiustamento non autorizza a fare pronostici rigorosi per
la contraddizione tra solidarietà e disuguaglianza.
Sia quale sia il futuro gli impatti già visibili nella
soggettività lavorativa non possono essere lasciati senza considerazione né
sembra consigliabile sottoporgli un periodo circostanziale. Vediamoli:
“Suddenly I’m not a half man I use to be...”
È nel terreno soggettivo che la complessità raggiunge gradi
di un materialismo molto alto, le nostre ricerche (Martín e collaboratori, 1997
e 1998) sebbene permettano di distinguere alcuni tratti, riescono solamente a
sostenere alcune ipotesi. Tra esse mi azzardo a condividere le seguenti:
1. Il mercato, con i suoi capricciosi meccanismi di
regolazione è entrato come riferimento distintivo per il disimpegno lavorativo
cubano. Ossia, decidere dove, come e fino a che punto collocare il disimpegno
per realizzarlo nella maniera più redditizia sono diventate le domane di
orientamento della condotta lavorativa del grosso dei lavoratori cubani di oggi.
2. La lotta dei contrari tra un padrone solidale e altruista
della condotta lavorativa e uno competitivo ed individualista, si esprime in
termini di preponderanza alternativa per la maggior parte degli spazi economici,
ciò che apre la strada ad un’etica ambivalente e contraddittoria nello
spiegamento della capacità di lavoro.
3. Di conseguenza, la soggettività lavorativa cubana, mentre
si aggrappa alla sicurezza del socialismo, dall’altro lato non disdegna di
provare la sorte in un mondo di alta competitività; non pochi si qualificano e
si preparano parallelamente per ridurre i costi dell’incertezza che una tale
scelta implica. Tale scelta si pone, come regola, nei pronostici individuali del
futuro lavorativo a breve o medio termine.
4. Le esperienze di vita demarcano la soggettività e l’ottimismo
di fronte alle sfide della soggettività e così l’ottimismo di fronte alle
sfide della competitività lavorativa è maggiore di quelli che occupano un
luogo nello spazio più favorevole, mentre quelli della traiettoria accidentata
li reclamano alla rivoluzione -idea sostanziale dell’ideologia e l’azione
del progetto politico e i suoi conduttori- La soluzione ai loro problemi nel
contesto di una tradizionale uscita plurale.
Insomma, stiamo vivendo attraverso e per mezzo di una soggettività che
riflette la transizione tra due tecnologie di messa in pratica del socialismo:
la già agonizzante e improponibile degli anni ’70 ed ’80 (che nonostante
tutto continua ad essere viva nella nozione generale delle relazioni società-
individuo) e quella che emerge negli anni ’90, dove questa stessa relazione
società- individuo appare avere come intermediari dei fattori che escludono
ogni possibile omogeneità per le vie di realizzazione individuale. Il lavoro e
la famiglia sono, inoltre, le sfere protagoniste di questa complessa coesistenza
di contraddizioni che stampano il loro bollo nella vita quotidiana. Già non
siamo neanche la metà di ciò che siamo stati come se cantassimo in un brutto
inglese negli anni ’60 con gli accordi dei Beatles, ma non abbiamo neanche
smesso di esserlo. Si alternano captazioni e abbandoni, provvigioni e
salvaguardia; ci sono guadagni e perdite, ma il bilancio non sarà
necessariamente negativo. Sicuro che la mistica del socialismo irreversibile,
padrone del futuro dell’umanità, è scomparso; ma al tempo stesso si è
rafforzata l’autostima nazionale per il buon esito della resistenza.
Il vincolo socialismo- nazione è sottoposto ad un esame e
all’inquadramento della soggettività dei cubani è ciò bisogna risolverlo
essenzialmente nella sfera lavorativa. Ripeto questa idea per la mia radicata
convinzione o per l’aderenza alle nostre ricerche , della svolta politica che
traspare da ogni giornata lavorativa, a partire dalla maniera che più conviene
al lavoratore come padrone effettivo dei mezzi di produzione, come sovrano dello
sviluppo individuale, come depositario di un crescente compromesso con il suo
collettivo e tutta la società. La funzionalità del sistema delle relazioni di
lavoro, con la restituzione del sistema di relazioni del lavoro, con la
restituzione del valore del lavoro incluso, insieme al rafforzamento e l’auto
coscienza istituzionale delle imprese decideranno questa partita, ossia, il
corso definitivo di questa soggettività in transizione.
In sintesi...
Il mondo del lavoro per i cubani di oggi, con tutte le
debolezze e i rafforzamenti culturali, con tutte le opportunità e le minacce
del processo di reinserimento nel suo intorno globalizzato, continua ad essere
ora più che mai, il terreno dove verrà definito il modello sociopolitico e lo
spazio di risoluzione dell’identità e dell’indipendenza nazionali. Tuttavia
per i soggetti sociali concreti (individui, collettivi lavorativi, gruppi
sociali) il ruolo del lavoro viene mediato dallo spazio economico di inserimento
lavorativo e dalla forma in cui questo spazio si relazioni al lavoro come mezzo
di vita.
[1] In particolare ricordiamo l’articolo
di Alfredo González Gutiérrez “Economia e Società: le sfide del modello
economico” Revista n. II del 1997.
[2] Il
dottor Carlos Lage, vice presidente del Governo, nell’Incontro Nazionale dei
Sindaci Municipali del Potere Popolare ha fatto questa affermazione perché a
suo giudizio: “si è ottenuto un buon risultato nell’ordinamento delle
finanze interne, sono state raggiunte soluzioni finanziarie in valuta
convertibile per sostenere il recupero economico e si sta crescendo in quasi
tutti i settori.”. Ha anche messo in risalto la tendenza generale all’efficienza
dell’economia del paese. (P. Granma 3 settembre 1999).
[3] Oltre ai menzionati, frutto della
previdenza statale, ci sono altre entrate sociali o spedizioni dei familiari all’estero
che si uniscono ai servizi prestati all’estero e, inoltre, quelli che sono
frutti di scambi non regolari di risorse statali, cooperative o private.