L’incentivo, come sotto sistema del Sistema delle Relazioni
Lavorative, si basa sulla corrispondenza tra le forme e i meccanismi di stimolo
e la motivazione dei lavoratori per realizzare i loro doveri lavorativi. Quella
motivazione e ancora di più questa corrispondenza è impossibile stabilirla
centralmente, solo può concretizzarsi nell’ambito di ogni collettivo.
Si starà forse scommettendo su un determinato grado di
omogeneità sociale come sinonimo di equità sociale e uguaglianza? Se è così
la discussione raggiungerebbe un altro livello e non c’è possibilità di
svilupparla in questo testo; anticipo solo che considero l’assunzione di tale
sinonimia semplicistica e disgraziatamente burocratica. Magari si risolvesse con
una scala salariale! In realtà, l’ha già detto il Maestro: “Non c’è
uguaglianza sociale possibile senza uguaglianza culturale!”.
Dal lato pratico penso che in questi tempi di globalizzazione
di tutto ed anche del lavoro- non si può pensare che la nostra condizione di
isola medi troppo la competenza tra l’impresa capitalista e la socialista.
Finora abbiamo solo imprese miste; ma senza dubbio ci saranno il 100% di quelle
straniere, la legge lo permette. La nostra forza competitiva non è né nell’incentivo
né nel salario in particolare. Non può esserci lì la scommessa fondamentale;
la forza sta nella partecipazione dei lavoratori alla dirigenza, la possiamo
portare fino ad un punto impossibile, grado che le imprese capitaliste più
democratiche non possono raggiungere neanche in sogno.
L’incentivo di un’impresa capitalista può, comunque,
raggiungere un punto impensabile per noi; le sproporzioni non la mutano ed è
circostanziale la polarizzazione della ricchezza e le possibilità e così,
sebbene la disoccupazione sia divenuta “la questione sociale del XX secolo”
(Prieto, 1994) sul rovescio della medaglia abbiamo gli “yuppies” e la
cosiddetta “overclass” del capitalismo contemporaneo. Mai una società
socialista potrà pensare in termini non solidali e cercherà sempre il modo di
evitarlo (senza dover accorrere a scale salariali centralizzate). L’impresa
capitalista non ha nessun limite per ritornare al passato, potrebbe tornare alla
schiavitù, la nostra al contrario, non ha limiti sul suo cammino verso il
futuro e questo è quello che qualunque perfezionamento deve prefissarsi. Lo
spazio naturale di questo avanzamento è la Partecipazione.
E se parliamo di futuro, ce n’è uno così prossimo che è
quasi presente e con il quale costruisco il punto di riferimento dei miei ultimi
dubbi, o in questo caso, aspettative insoddisfatte rispetto al PE, riferite alla
sua proiezione ambientalista e comunitaria.
La globalizzazione ha potenziato i suoi antipodi: la regione,
il micromondo geografico ed economico dell’impresa. Le catene di produzione, i
distretti industriali, hanno elevato esponenzialmente i vincoli inter-aziendali,
la competenza globale ha spinto molti verso la cooperazione locale. È sorto
anche il concetto di “globalizzazione” per riferire dalla sua complessità
questi fenomeni apparentemente contraddittori.
L’economia cubana, che è caduta in blocco nel cosiddetto
Periodo Speciale non uscirà né sta uscendo da questa tappa critica. Ciò è
assolutamente naturale, non tutti i rami o regioni del paese hanno le stesse
possibilità di riorientare la loro produzione e i servizi verso il mercato
internazionale o interno in valuta. Lo stiamo vedendo, il turismo si è
decuplicato in questi anni fino a convertirsi nella nostra primaria industria; l’industria
sider-meccanica supererà quest’anno il record storico di produzione e
guadagni, così anche alcune regioni come la provincia della città de La Habana
hanno un ritmo di recupero evidentemente superiore ad altre regioni del paese
per la concentrazione di attività di più rapido riorientamento sul mercato.
Una simile realtà implica una ridefinizione dei vincoli tra
l’impresa socialista cubana ed il suo spazio geografico. Le regioni cubane
(provincie, comuni, comunità concrete) hanno nelle imprese statali lì
installate delle fortezze, delle risorse materiali e umane per riprendersi e
uscire dal Periodo Speciale; tuttavia il PE non enfatizza sufficientemente né
abbonda con la responsabilità delle imprese nella loro regione. Di fatto i
vincoli interaziendali non costituiscono un sottosistema né si allude alla
regione come categoria di sviluppo d’impresa.
Si tratta forse di un’omissione? Possiamo lasciare questo
aspetto del problema fuori dalla discussione? Considero in maniera enfatica che,
dentro alla promozione culturale che il PE propugna, va potenziato lo spazio
regionale e, nel riferirlo, stiamo facendo risaltare uno scenario di assoluta
immediatezza. Non credo che tutto si risolva con l’approvazione del piano d’impresa,
bisogna che si risolva anche a livello regionale, come abbiamo già visto.
Per terminare questo inventario, mi assalgono dubbi sull’assenza
della gestione ambientale in tutto il programma del PE. I nostri quadri
direttivi, i sindacalisti, i lavoratori devono incorporare i preconcetti e le
metodologie che chiariscono gli impatti ambientali di tutta l’attività
economica. Se si decide per esempio di bruciare un campo di canna da zucchero, l’evacuazione
non può soffermarsi sulle conseguenze economiche di quella decisione; il danno
che si provoca al suolo e la possibile lesione dell’ecosistema va considerata
nell’analisi. C’è un altro spazio importantissimo per l’attività
sindacale delle organizzazioni politiche rappresentate nel collettivo e per le
organizzazioni professionali.
Il nostro mare, i nostri fiumi ed il suolo, l’aria che
respiriamo devono essere preservati e risanati, ma mai aggrediti. Il concetto di
impresa socialista deve essere sinonimo di Impresa Ambientalista e questa
valutazione deve far parte degli indicatori dell’efficienza. Qualunque
omissione qui è una lesione all’habitat umano. Con questo voglio dire che non
è sufficiente che Le Basi... consegnino, nelle funzioni delle Organizzazioni
Superiori di Direzione Impresariale, “...il controllo delle misure di
protezione nell’ambiente” (op. cit. pg.15).
Ho altri dubbi ed opinioni, ma credo di aver esposto la parte
fondamentale degli apprezzamenti sul PE. Forse sarebbe utile che provi a fare
una sintesi di un solo paragrafo sulle imposte.
Il PE rappresenta una sorta di prima forza motrice per dare l’impulso
ai cambiamenti nelle organizzazioni lavorative cubane, introduce sensatamente
meccanismi di mercato che sicuramente si andranno ad incorporare ai valori
annessi alla responsabilità economica nella nostra cultura dirigenziale,
promuovendo tecnologie di direzione avanzate e creando minime condizioni
indispensabili per restituire al lavoro la sua condizione di mezzo per vivere.
È, comunque, almeno sul terreno delle Risorse Umane e delle relazioni
lavorative una proposta che richiede scambi teorici, esperimenti e nuovi e
successivi sviluppi che apriranno le possibilità di superare i limiti attuali
sul terreno della partecipazione dei lavoratori nella direzione e sulla
proiezione comunitaria e ambientalista.
4. Conclusioni provvisorie
In un lavoro come questo non si può altro che giungere a
delle conclusioni solamente provvisorie, posto che non credo di avere la
verità, ma una visione di essa basata sulla nostra esperienza lavorativa. Se
conoscessi migliori o altri punti di vista con delle buone basi, potrei
modificare alcuni punti della mia visione anche se sono convinto che sono al di
sopra di esse. La superbia è castrante.
Quindi cercherò, brevemente, considerando i miei già
stanchi lettori di rispondere alla domanda iniziale: come si inter- influenzano
la cultura del lavoro attuale e l’iniziativa del Perfezionamento d’Impresa?
Dati i punti forti sopra elencati sul PE, questa iniziativa
può contare, dalla sua parte, sugli elementi più solidi della nostra cultura
del lavoro: istruzione e preparazione del personale e dei quadri dirigenziali;
disposizione alla sperimentazione, al cambiamento; creatività ed entusiasmo; ma
anche, data la comprensione dello sfondo politico dell’affare lavorativo, il
PE può contare su importanti dosi della motivazione politica ed ideologica. Da
parte sua la cultura del lavoro può risultare beneficiata dal PE, perché le
sue principali debolezze sono: la responsabilità ambivalente e il
diseguaglianza di fronte al lavoro e la debole istituzionalizzazione prevalente
nelle nostre imprese potrebbero cominciare una trasformazione positiva.
La responsabilità economica e giuridica possono far
aumentare l’autonomia e maggiori controlli economici, la responsabilità
professionale può irrobustirsi con un buon controllo del disimpegno e una
retribuzione differenziata. La responsabilità politica ed ideologica potrà
solo migliorare se si rafforza il radicamento della partecipazione del PE.
L’istituzionalizzazione delle nostre imprese avrebbe potuto
iniziare ad abbandonare la sua ancestrale debolezza se in favore del più puro e
chiaro sviluppo economico avesse stabilito norme di funzionamento e manuali di
procedimento, se avesse rafforzato credenze e valori organizzativi, ed infine
una cultura del lavoro che non dipenda dal carisma di chi sta dirigendo.
Sicuramente il paradigma della direzione unipersonale opera in senso inverso,
questo è un handicap da considerare. Si rafforzerebbe anche la ragione sociale,
il compromesso politico, questo è l’istituzionalizzazione. Un altro aspetto ,
molto importante, è la creazione di meccanismi trasparenti e acconsentiti da
tutti di misurazione del disimpegno e della costituzione di canali di promozione
a partire da questi meccanismi e non da altri. Ciò è un aspetto
particolarmente insicuro senza un adeguato e crescente potenziamento della
partecipazione nella presa di decisioni.
I rischi sono nell’ottenere una istituzionalità non
autenticamente socialista per svalutazione o manipolazione degli affari
partecipativi (emulazione, spiegamento dell’iniziativa e della creatività,
democrazia lavorativa socialista ed esercizio della dirigenza come
partecipazione specializzata); nel raggiungere una responsabilità nel lavoro
non compromessa nell’ordine politico ed ideologico. Con l’essere così
l’istituzione, la volontà di perfezionamento, la disposizione alla
sperimentazione e tutti i rafforzamenti nell’insieme della nostra cultura del
lavoro seguirebbero il cammino del progresso individualista e si perderebbe la
nozione di patria che alberga ed esalta il lavoro. Si correrebbe l’enorme
rischio inoltre di tingere il perfezionamento di burocratismo e doppia
moralità.
La soluzione allora non sta solo nel pretendere, neanche nel
ridefinire il paradigma della direzione (che sarà senza dubbio un progresso),
bisogna formare, costruire la partecipazione, educare ed auto-educarsi, bisogna
sconfiggere il padrone carismatico e rafforzare quello istituzionale del
funzionamento e della direzione organizzativa. Ciò porta al dibattito, alla
sperimentazione, teorizzazione e tutto ciò bisogna farlo partendo dalla
pratica, dall’implementazione del perfezionamento, dal terreno e con i
lavoratori.
Il mio pronostico è chiaro: il futuro a medio e lungo
termine del PE dipenderà da quanto siamo capaci di far corrispondere la
condizione dei lavoratori cubani di essere proprietari collettivi dei mezzi di
produzione e l’esercizio di tale condizione.
È come dire che dipende da quanto siamo capaci di essere
socialisti.