Moneta, denaro e capitale: concetti dagli inizi del XXI secolo
Henrike Galarza
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1. Introduzione e generalità
Lo studio critico delle variabili monetarie e finanziarie
iniziato da Marx ed Engels e continuato da Lenin, Bukharin, Rosa Luxemburg o
Hiferding tra gli altri, ormai ravvisava che la natura di feticcio delle
variabili economiche tendeva a nascondere le vere relazioni sottostanti
capitaliste di sfruttamento, facendole apparire come mere relazioni di scambio
fra oggetti. Come uno specchio della degradazione dell’essere umano
schiavizzato dal capitale (dalla alienazione o esilio), le merci capitaliste
risultato di questa schiavitù sono beni e servizi snaturalizzati, convertiti in
feticcio per la produzione del plusvalore; strumenti di tutto il processo di
sfruttamento capitalista, sebbene in via residuale siano necessari per la
sopravvivenza biologica della classe lavoratrice come valori di uso più o meno
utili o nocivi.
In linea con questo argomento, il danaro, mezzo di scambio,
si vede coinvolto dallo stesso processo di feticizzazione, diventando un bene
finale della produzione capitalista, che tende in maniera cieca e compulsiva a
incrementare la sua quantità senza limiti (D-M-D’) sotto forma di plusvalore,
capitale monetario propriamente capitalista. I meccanismi mediante i quali si
produce questa trasformazione si relazionano con il regime della proprietà nel
quale si inquadrano le operazioni così che l’apparente scambio effettuato al
momento della firma del contratto di lavoro salariato non è altro che una
relazione di sfruttamento occulto. Marx ed Engels scoprirono la caratteristica
della forza del lavoro che permetteva al capitale di realizzare il suo furto: il
salario remunera soltanto una parte delle ore di lavoro del salariato, quelle
necessarie per la sua riproduzione; il resto della sua giornata lavora gratis
per il capitale. Dalla mia lettura di Marx, capisco che quella caratteristica,
“peregrina” nella traduzione spagnola, è solo una sfaccettatura dell’insieme
dei meccanismi di sfruttamento capitalista che comprende tutti gli aspetti della
attività economica. Ciò vuol dire che non possiamo affermare semplicemente e
de plano che ogni salario individuale è minore di quanto produce la persona che
lo guadagna senza aggiungere che questo è cosi nel contesto della
trasformazione del plusvalore in profitto, della realizzazione della
plusvalenza, e della trasformazione del danaro in capitale.
L’ambizione di queste righe è riassumere una concezione
del danaro che permetta di spiegare i risultati dello sfruttamento capitalista a
partire da un ragionamento sulla produzione monetaria e il suo disordine, in
termini di confusione moneta-capitale. A partire dal funzionamento normale della
economia monetaria, autori come Schmitt, Cencini, Tobar o Rossi, spiegano a
quali condizioni lo stesso funzionamento della mediazione monetaria attuale
favorisce la nascita e lo sviluppo di un Capitale Capitalista, un elemento
autonomo addizionale agli agenti economici riconosciuti (lavoratori, imprese,
Stato) fonte teorica delle patologie monetarie che colpiscono l’economia
capitalista attuale.
Ciò vuol dire che una parte del Capitale accumulato durante
il secolo XX funziona di fatto come un agente improduttivo, anonimo e apolide,
una massa puramente nominale che nella sua ricerca di redditività si confonde
con quella dei capitali nazionali ed esteri, per cui non è possibile
distinguerlo giorno dopo giorno dal resto delle operazioni economiche. Le
conseguenze teoriche dell’esistenza di questo Capitale patologico permettono
di spiegare gli squilibri inflazionisti e recessivi simultanei, presenti nelle
nostre economie, specialmente dalla fine degli anni sessanta del secolo scorso.
La confusione pratica e contabile dei pagamenti relazionati con la creazione e
distruzione del reddito monetario è una condizione necessaria del disordine
economico attuale. La riforma della contabilità permetterà di ridurre la
gravità degli squilibri attuali verso l’obiettivo del pieno impiego.
Non voglio dire con questo che la violenza del sistema
capitalista sparirà per il solo fatto che la classe lavoratrice capisca e sia
cosciente del disordine nelle relazioni monetarie attuali. l’esistenza di
eccessi e il conflitto fra classi, così come lo sfruttamento del genere oppure
la minaccia ecologica, non spariranno con la riforma contabile che si può
supporre; ma, questo si, il dibattito sociale sarebbe più trasparente, l’informazione
nelle mani degli agenti sociali più fedele ed esatta, la capacità di
mobilitazione democratica molto più estesa.
Questa riflessione teorica sul danaro immette una spiegazione
tecnica sull’origine dei meccanismi d’impoverimento sociale che si
manifestano in mille forme concrete in ogni sistema produttivo. D’accordo con
questa idea, la conoscenza scientifica del disordine monetario dell’economia
capitalista è un passo verso il superamento di un modo di produzione che, a
tutta luce, non riflette le vere potenzialità dell’insieme degli abitanti del
pianeta.
2. La spiegazione volgare della creazione del denaro
Attualmente, l’origine dei nuovi depositi bancari, della
nuova offerta monetaria, si imputa alle autorità bancarie centrali oppure alle
decisioni dei sistemi bancari nazionali, obbligatoriamente coperti dopo dalle
banche centrali. Nella misura in cui le banche secondarie necessitano delle
riserve della banca centrale per fronteggiare i loro debiti interbancari e dato
che questi tendono a crescere con il volume di affari che controlla ogni
entità, entrambi gli aumenti (quello degli attivi di cassa della banca centrale
e quello degli attivi e passivi monetari delle banche) sono relazionati e hanno
in comune, d’accordo con la nozione esposta a suo tempo da Milton Fiedman, il
tratto della penna del contabile bancario. La creazione di danaro, in questo
modo, si considera una faccenda finanziaria fra un bancario e un finanziere, una
concessione di danaro inizialmente fittizio (la espressione è anche di Michel
Aglietta), la cui utilizzazione determinerà in ultima istanza se effettivamente
è danaro nuovo, oppure una distribuzione inflazionista di danaro già
esistente.
Nel momento in cui il danaro cessò di essere, de iure e de
facto, l’equivalente di un peso determinato di metallo prezioso, alla metà
degli anni 60, il necessario aumento della massa monetaria richiesto dallo
sviluppo economico ormai non dipendeva esclusivamente degli apporti d’oro o
argento al Tesoro Pubblico, ma progressivamente, traeva la sua origine nel
funzionamento dei sistemi bancari nazionali.
I pagamenti monetari come scambi relativi
Nel contesto storico della smonetizzazione dell’oro, l’idea
dominante del danaro da merce doveva essere necessariamente controllata allo
scomparire dell’aspetto fisico che permetteva di definire i pagamenti monetari
come contropartita delle cessioni reali del bene o del servizio effettuati nelle
transazioni cosi finanziate. Se il danaro non era l’equivalente di una merce
“jolli” ogni pagamento monetario non è più uno scambio tra due merci ma,
una operazione difficile di comprendere: in cambio di una moneta che già non
vale niente, i venditori rinunciano a una merce costosa per definizione.
Davanti a questo impasse, gli economisti hanno cercato di
sviluppare concetti che permettono di capire i pagamenti monetari, in moneta
astratta, come se fossero scambi relativi, facendo riferimento ai costi di
transazione, alle operazioni mascherate, alla natura di attivo finanziario della
moneta astratta o alla incertezza afferente alla evoluzione della economia e la
necessità di garantire i contratti a termine. In questi casi, i teorici
sottolineano l’aspetto della moneta come deposito di valore, la
smaterializzazione della moneta non ha portato gli economisti a considerare i
pagamenti monetari come una operazione diversa dagli scambi relativi (cessione
mutua di due oggetti fra due agenti) ma che la moneta astratta, immateriale è
stata un’altra volta interpretata per aggiudicarle una “utilità” che
compia la funzione del valore intrinseco dei metalli preziosi nella parte
relativa a costruire una contropartita “di valore” dei beni e servizi
comprati con essa.
Dunque, la contraddizione fra la apparente gratuità della
sua produzione e il suo valore di cambio positivo provoca non pochi problemi
teorici che ancora non sono stati soddisfacentemente risolti dalla Scienza
Economica dominante, cosi come autori di notevole prestigio hanno riconosciuto
nelle loro opere (Arrow, Hahn, Krugman o Stiglitz)
3. La creazione di denaro bancario nelle nostre economie
La smaterializzazione della moneta non è stata correttamente
interpretata dagli economisti.Tanto in ambiti accademici quanto in quelli
politici, di tutto lo spettro ideologico, l’idea di un mezzo di scambio
sprovvisto di valore intrinseco si scontrava con le concezioni tradizionali dei
pagamenti monetari, ancorati alla nozione dello scambio relativo. Dunque l’incremento
delle attività produttive di servizi (settore terziario) conduce la
trasformazione delle variabili economiche nella direzione della immaterialità:
lo sviluppo della produzione di merci direttamente relazionata con la riduzione
dei lavori industriali e il progresso tecnologico della produzione incrementa la
presenza del capitale in quelle attività in cui il lavoro vivo non è
sostituibile dalle macchine. La smaterializzazione della produzione, già lo
hanno sottolineato numerosi autori, è una caratteristica del capitalismo
contemporaneo di grande importanza per la trasformazione delle relazioni sociali
di produzione che presuppone.
L’organizzazione della produzione in imprese specializzate,
con lavoratori salariati, i mercati decentralizzati e l’esistenza dei sistemi
bancari nazionali costituiscono il contesto storico-sociale in cui le operazioni
economiche già non appaiono come trucchi più o meno sofisticati ma come
pagamenti monetari bancari.
4. La classificazione dei pagamenti monetari in funzione dell’operazione
economica corrispondente
L’insieme dei pagamenti monetari che si realizzano nella
nostra economia si può dividere in tre grandi gruppi: i pagamenti della
produzione (salari in una concezione ampia compresa la Sicurezza sociale e altri
costi relazionati alla mano d’opera), i pagamenti corrispondenti agli acquisti
dei consumatori e i pagamenti effettuati nei mercati finanziari. All’interno
dei pagamenti finali (spese in consumo) dobbiamo fare una subclassificazione per
distinguere i benefici imprenditoriali e il loro eventuale investimento.
Così intesi, i pagamenti monetari non sono scambi relativi
né emissioni corrispondenti alle operazioni economiche che in questo modo sono
monetizzate, nominali e reali. I pagamenti della produzione sono i pagamenti in
cui si creano le nuove unità monetarie, unità che costituiscono il pagamento
della produzione agli operai responsabili della stessa. Da un punto di vista
macroeconomico, i salari non sono un costo maggiore dell’attività economica,
i salari sono l’unica fonte di danaro nelle economie monetarie capitaliste.
Noi lavoratori non ci appropriamo del prodotto esclusivamente in specie,
riceviamo le nuove unità monetarie, il nuovo potere di acquisto (nominale e
reale) e lo risparmiamo automaticamente nelle banche secondarie (se riceviamo il
salario attraverso una entità bancaria) o nella banca centrale (se riscuotiamo
biglietti e monete di corso legale).
Così, la moneta astratta, puramente nominale delle banche si
associa alla produzione di ogni periodo nel pagamento dei salari. Questa
associazione definisce la produzione numericamente, permettendo di stabilire
delle comparazioni tra le differenti produzioni reali originalmente eterogenee e
incomparabili tra di loro.
La moneta guadagnata dai lavoratori, o da qualche altro
agente in qualche altra transazione, ritorna immediatamente alla banca che la
aveva emessa. Il risparmio automatico delle unità monetarie di recente
creazione permette di spiegare l’esistenza nell’impresa delle scorte di
magazzino in attesa di vendita. Noi lavoratori, una volta che ci siamo
appropriati della produzione, cediamo temporaneamente il nuovo prodotto alle
stesse imprese che ci remunerano la loro produzione, tutto questo attraverso il
sistema bancario. Dopo il pagamento ordinario, i lavoratori dispongono dei nuovi
depositi bancari che sono il risultato di un primo consumo non definitivo della
loro rendita. Questi depositi sono il danaro nuovo, sono l’apparenza nominale
dei magazzini delle imprese, della nuova produzione che si spera di vendere.
Questi depositi saranno distrutti nella misura in cui saranno ritirati dai
titolari della rendita per finanziare le loro spese finali in consumo o dalle
imprese che investono nelle loro attività.
E’ certo che noi lavoratori non consumiamo alla fine
neanche la metà di quello che produciamo perché ci sono agenti che, senza
essere lavoratori attivi, consumano ugualmente, da coloro che in passato furono
lavoratori (pensionati) fino coloro che non hanno mai lavorato né mai
lavoreranno, passando per le nuove generazioni ancora in formazione. La
redistribuzione della rendita mediante i benefici imprenditoriali, le imposte e
la spesa pubblica è perfettamente compatibile con la creazione esclusivamente
salariale del danaro. Per questo, dovrebbe essere sufficiente tenere conto di
questa prima categoria di pagamenti monetari e stabilire un conto bancario
speciale, il primo dipartimento bancario con le parole B. Schmitt. In cui si
annotano esclusivamente le operazioni relative alla creazione di danaro, sarebbe
a dire, pagamento dei salari. Nel secondo dipartimento si contabilizzeranno le
operazioni finanziarie di trasferimento di danaro quale contropartita di attivi
finanziari e le spese finali dei consumatori in connessione con il terzo
dipartimento in cui saranno registrati gli investimenti in capitale fisso delle
imprese , definiti a partire dai loro risultati di sfruttamento e l’ammortamento
dei loro debiti con il primo dipartimento.
Questa visione della moneta suppone l’adeguamento della
teoria del valore alla smaterializzazione dell’economia che è già presente
nell’Occidente Capitalista, che dispone dell’infrastruttura fisica e
informatica necessaria per accentuare la tendenza alla “terziarizzazione”
selettiva delle relazioni sociali di produzione.
L’applicazione della teoria delle Emissioni nella scena
internazionale permette di sradicare parte dei meccanismi di perpetuazione del
debito interno dei paesi, in un prossimo articolo analizzerò la questione.