Il capitalismo greco, l’Unione Europea e la Sinistra
John Milios
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1. Il fallimento della strategia tradizionale della Sinistra Comunista
(1995-2000)
Il dominio del capitale sul lavoro non si limita allo
sfruttamento economico. Esso rappresenta contemporaneamente il dominio politico
(lo stato capitalistico e gli apparati che lo compongono) e il dominio
ideologico. Quest’ultimo si manifesta attraverso l’indottrinamento della
classe lavoratrice (e degli altri gruppi e classi sociali soggetti allo
sfruttamento capitalista) con opinioni e pratiche derivanti dall’ordine
capitalistico delle cose e utili alla sua stabilizzazione ad ogni livello della
società.
Un aspetto del dominio ideologico capitalista è la
prevalenza dell’ideologia borghese all’interno della Sinistra stessa, all’interno
dei partiti politici che (teoricamente) cercano di rappresentare gli interessi
autonomi della classe lavoratrice e degli altri settori sfruttati al fine di
sconfiggere il capitalismo. Questo è l’argomento di cui dovremmo occuparci in
questa parte dell’articolo, concentrandoci su una questione che è divenuta
centrale dopo l’introduzione dell’euro: la strategia europea della borghesia
greca e la traiettoria europea della formazione sociale greca.
In Grecia la prevalenza della ideologia borghese all’interno
della Sinistra Comunista tradizionale si è storicamente stabilizzata
principalmente attraverso l’istituzionalizzazione del discorso su “l’arretramento”
e “la dipendenza” della “società e dell’economia greca”, attraverso
il quale la Sinistra appariva come l’autoproclamato difensore dei “reali”
interessi delle capitalismo greco e lo strumento per la sua estesa riproduzione
(“sviluppo” della “economia greca”, nel linguaggio della ideologia
dominante).
Poiché i legami economici internazionali del capitalismo
greco erano interpretati come una “dipendenza” e venivano presentati come un
primo motore che spiegava e determinava ogni cosa, dalle relazioni di dominio
alle tendenze allo sviluppo del capitalismo greco; poiché il cambiamento
sociale era a sua volta interpretato come una lotta per “l’indipendenza
nazionale”, la lotta di classe era confinata ai margini e le relazioni di
potere capitaliste erano concepite, erroneamente, come relazioni della “società
greca” o della “economia greca” con “gli stranieri” e “gli interessi
stranieri”.
Come risultato di questa inversione teorica, la sinistra
tradizionale comunista si è adattata a -e infine ha adottato -i temi ideologici
dominanti della borghesia a proposito di “uno sviluppo a tutto tondo del paese”,
“una organizzazione razionale della produzione” e così via. Dottrine che
esaltano i processi di accumulazione e integrazione capitalista dissimulandone l’essenza,
il loro contenuto sociale: l’aggravamento dello sfruttamento capitalista.
La Sinistra Comunista tradizionale viene così gradualmente
trasformata, subito dopo la fine della guerra civile, in una forza a favore
dello status quo: viene integrata nella strategia capitalista e cerca di
differenziarsi da altre correnti politiche attraverso asserzioni prive di
fondamento quali: a) solo la Sinistra possiede le soluzioni per il “reale
sviluppo”; b) la “strategia esistente” della borghesia greca, e in
particolare il suo sviluppo in rapporto all’Europa, porta necessariamente al
“declino” e forse persino alla “distruzione” della “economia greca”.
Da questo punto di vista il seguente annuncio della Commissione Amministrativa
dell’EDA (l’Unione della Sinistra Democratica, che dopo la guerra civile era
il partito legale rappresentante le opinioni del Partito Comunista Greco -KKE),
fatto all’epoca dell’approvazione della richiesta di entrata da parte della
Grecia nella Comunità Economica Europea (1959) è completamente in linea: “Il
desiderio e l’aspirazione dei nostri partners nel Mercato Comune è che la
Grecia dovrebbe rimanere un paese agricolo arretrato, fonte di materiali grezzi
ed un mercato per i loro prodotti industriali (...). Per il 75% della nostra
industria arretrata e super-protetta (...) rappresenta la differenza tra la vita
e la morte (quotidiano Avghi del 1.8.59). Tre giorni prima (il 29.7.59) gli
editori di Avghi avevano previsto un futuro ancora meno propizio: “Nessun
affare sopravviverà a questa competizione inarrestabile. Tutti coloro che non
vengono assorbiti dai trust diventeranno le loro appendici e saranno annichiliti”.
Nel primo periodo dopo la caduta della giunta militare del
1967-74, la logica politica della “lotta per l’indipendenza nazionale” ha
portato il dibattito sul carattere del dominio capitalista in Grecia, sull’entrata
nella Comunità Economica Europea e la strategia della classe lavoratrice e del
movimento popolare, ad una impasse politica e teorica, imponendo una
problematica che impediva essenzialmente di comprendere la realtà. Dall’ideologia
della “dipendenza” emergeva uno schema grottesco, secondo il quale gli
sviluppi politici erano legati al conflitto tra i segmenti della borghesia greca
“controllati dagli americani” e gli “eurofili”.
Da una relazione sociale di sfruttamento e potere, un dominio
di classe con interessi strategici e alleanze internazionali, il capitale si
trasforma in un fattore che facilita l’uno o l’altro oscuro antagonismo
internazionale. Le contraddizioni inter-borghesi vengono sganciate dalla lotta
di classe e rappresentate come una proiezione all’interno del paese degli
antagonismi (tra-stati) degli “stranieri”. Naturalmente questo discorso
scompare nel giro di una notte non appena viene approvata l’entrata del paese
nella Comunità Economica Europea (1981).
Lo schema viene infine riproposto nelle dottrine concernenti
il “direttorato di Bruxelles” che, esprimendo gli interessi delle “multinazionali”,
governa sul “nostro” paese e sul “nostro” popolo.
La confutazione durata mezzo secolo delle profezie sul
destino dell’economia greca, in concomitanza con la tradizionale insistenza
della Sinistra Comunista di mettere al riparo da qualsiasi critica il capitale
greco e i suoi rapporti di sfruttamento (“il paese” visto come un più o
meno indifferenziato insieme nazional-popolare “saccheggiato” dai
direttorati e dalle multinazionali straniere) servivano a mantenerlo screditato,
rendendolo quasi pittoresco agli occhi della maggior parte dei lavoratori che
sostenevano i partiti borghesi riformisti: la ”Unione del Centro” negli anni
60 e il “Partito Socialista” (PASOK) subito dopo la caduta del governo e in
seguito.
Quello che la Sinistra Comunista tradizionale non era
riuscita a concepire era che il capitale greco, come ogni capitale nazionale, in
quanto classe dominante nella società, non opta per strategie di suicidio ma
rinforza la sua egemonia intensificando il grado di sfruttamento e accumulazione
di plusvalore prodotto.
La “Opzione Europea” della borghesia greca venne
integrata fin dall’inizio precisamente in questa strategia di stabilizzazione
e sviluppo capitalista. La strategia borghese ha avuto successo sia perché
basata sul dinamismo storico del capitalismo greco (che non è mai stato
percepito dalla Sinistra istituzionale) sia (e soprattutto) poiché non è mai
stato possibile concretizzare il suo corollario: la strategia anticapitalista
della classe lavoratrice della società greca.
2. Lo sviluppo storico del capitalismo greco e la strategia europea
L’adozione dell’euro costituisce una grande vittoria
strategica per le potenti elites capitaliste nei paesi dell’Unione Europea.
Attraverso restrittive politiche monetarie e fiscali, i paesi europei sono
riusciti a ottenere una contrazione del loro deficit pubblico e a ridurre i
tassi di inflazione, in modo da rendere possibile l’obiettivo di una valuta
unica, quando dieci anni prima sembrava impossibile.
L’integrazione europea non costituisce uno strumento “sovra-nazionale”
del capitale internazionale ma una coalizione (imperialista) delle formazioni
capitaliste sviluppate: una opzione strategica delle classi dominanti dei paesi
dell’Europa occidentale per il rafforzamento e l’espansione del loro potere.
È sufficiente seguire la copertura mediatica di un qualsiasi vertice dell’Unione
Europea per comprendere l’antagonismo tra i diversi poteri politico-statali e
le loro corrispondenti - soprattutto economiche e strategiche - aspirazioni.
Attraverso l’adozione dell’Euro, basato sulla sconfitta
delle lotte dei lavoratori e delle richieste del periodo precedente, è stato
possibile per i capitalismi dell’Europa occidentale creare uno spazio
economico uniforme che sperano permetta di raggiungere una rapida accumulazione,
la preservazione e perfino il rafforzamento dei loro vantaggi, acquisiti
storicamente, sul lavoro. Allo stesso tempo, per la prima volta nel periodo dopo
la guerra, possiedono una valuta in grado di competere con il dollaro nelle
transazioni internazionali.
Anche il capitalismo greco è implicato in questa percorso
verso l’integrazione economica, non per ordine di qualche “centro
internazionale” né come risultato della “politica economica di successo”
dei tempi recenti, ma attraverso l’utilizzazione dei risultati del suo corso
storico e le sue caratteristiche strutturali, modellate attraverso la creazione
del moderno stato greco fino ad oggi. Ricapitoliamo qui le conclusioni dei
nostri studi precedenti (soprattutto Giannis Milios - La Formazione Sociale
Greca. Dall’Espansionismo allo Sviluppo Capitalista, (in greco) “Kritiki”
edizioni, Atene, 2000).
La Grecia non può essere vista, fin dalla sua costituzione
in stato indipendente, come essere mai stata una formazione sociale
sottosviluppata, vale a dire una formazione sociale all’interno della quale i
modi di produzione pre-capitalista fossero prevalenti. Anzi al contrario: fin
dalla sua indipendenza la Grecia è stata una formazione sociale capitalista.
Rapporti di produzione capitalista hanno dominato ogni livello della società e
i rapporti di sfruttamento pre-capitalista non sono virtualmente esistiti fino
all’annessione delle isole Ioniche (1864) e della Tessaglia (1881). La
situazione economica del paese dall’esterno poteva essere paragonata a livelli
medi Europei.
Ciònonostante, si evidenziava una prevalenza -protrattasi
per un periodo relativamente lungo -delle prime forme storiche del capitale,
quali il capitale mercantile e marittimo e un corrispondente ritardo nell’emergere
del capitalismo industriale. A dispetto della veloce crescita del capitalismo
industriale a partire dal 1870, la distanza che separava la Grecia dai
principali paesi capitalisti industriali d’Europa si allargava piuttosto che
restringersi. Fino alla fine del periodo dell’avventurismo militare dal 1912
al 1922, l’epoca del “recupero retroattivo della distanza nello sviluppo”
rispetto a quei paesi non era ancora arrivata per il capitalismo greco.
In generale possiamo individuare quattro fattori che hanno
determinato questo relativamente tardo insediamento del capitalismo industriale
nel paese:
a) La resistenza organizzata, nei primi anni dopo l’Indipendenza,
da parte dei coltivatori isolati dal mercato e delle aree rurali (di montagna)
che rappresentavano anche un terreno fertile per il brigantaggio. Dalla fine del
XIX secolo l’influenza di questo fattore diviene però irrilevante.
b) La prevalenza di rapporti di produzione pre-capitalisti
ostili al capitalismo (a partire dal 1881 -con l’annessione dell’Epiro e
della Tessaglia prima e della Macedonia e della Tracia poi, territori che fino
ad allora erano parte dell’Impero Ottomano).
c) L’eterogeneità delle nazionalità delle popolazioni dei
territori annessi dalla Grecia come risultato delle Guerre Balcaniche e del
Trattato di Sevres, e la conseguente apertura della questione nazionale in quei
territori.
d) La dispersione, prima ancora della costituzione dello
Stato greco, della popolazione greca e del capitale greco nella regione dei
Balcani e del Mediterraneo Orientale. Nonostante questa dispersione
rappresentasse un pre-requisito fondamentale per l’espansionismo dello Stato
greco, privava però il paese di gran parte delle risorse umane e materiali
necessarie per lo sviluppo capitalista.
Di tutti i fattori già menzionati il più decisivo, in
quanto riguarda il relativo ritardo dello sviluppo del capitalismo industriale
in Grecia, è sicuramente il terzo. La dispersione della popolazione e del
capitale greco, l’esistenza di una “Grande Grecia” all’esterno e aldilà
dei reali confini greci e la prevalenza in quest’area (territori che
appartenevano all’Impero Ottomano) di un grande capitale in mano greca. La “Grande
Idea” dell’imperialismo greco (ovvero il “piano nazionale” di espansione
del territorio greco in Asia Minore e nei Balcani) ha così escluso per circa
100 anni ogni prospettiva di ottenere una unificazione e omogeneizzazione
nazionale all’interno della formazione sociale capitalista greca, minando
così i pre-requisiti per la rapida crescita capitalista all’interno dei
confini della “piccola” -o, come viene di solito definita -della “vecchia”
Grecia.