Argentina: 18 mesi di lotte popolari - un bilancio
James Petras
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Ho passato il mese di maggio 2003 nell’Argentina, visitando
fabbriche, sobborghi popolari, ‘ville della miseria’ (case mal tenute di
poveri occupanti di fabbriche), gruppi di classi medie inferiori nelle città,
centri sociali dei disoccupati e delle università, intervistando sindacalisti,
lavoratori disoccupati, studenti e attivisti di facoltà, attivisti dei diritti
umani, cineasti e registi di video, le Madri della Piazza di Maggio (entrambi i
settori), scrittori, dottori, giornalisti, Marxisti e leader politici del centro
sinistra. Questo è stato il mio trentottesimo anno di visite, di studio e di
conferenze pubbliche. Ho passato la maggior parte del mio tempo a Buenos Aires e
nella provincia di Neuquen, dove la principale fabbrica di ceramiche è stata
occupata dai suoi lavoratori ed è gestita sulla base di un sistema democratico
di auto-gestione.
L’Argentina è la terza maggiore economia dell’America
Latina (dopo il Brasile e il Messico) e fino alla fine del secolo passato aveva
il più alto tenore di vita della regione. Da allora, ha uno dei tassi più alti
di povertà e di indigenza dell’America Latina, fatta eccezione per l’America
centrale e i Caraibi.
Per capire la realtà complessa e in cambiamento dell’Argentina
di oggi, una depressione che dura da cinque anni, un collasso finanziario, un
sollevamento popolare e i movimenti di massa del 2001-2003, così come il
ritorno dei partiti politici tradizionali al potere, è importante identificare
i principali eventi politici ed economici che danno forma alle prospettive
attuali e future per i movimenti popolari sociali e politici.
1. Sette tesi in Argentina
(1) Nel corso del passato decennio e mezzo, l’Argentina
è passata da un boom speculativo nella metà degli anni ’90 ad una
depressione economica (1998-2003), ad un sollevamento popolare (2001) e il
fiorire di movimenti di massa al periodo attuale di ascesa di partiti politici
e personalità di destra.
(2) La classe lavoratrice e i poveri si sono spostati dalla
azione diretta di massa ad alti livelli di partecipazione elettorale tra il
2001 e il 2003 - la campagna astensionista di settori della sinistra nelle
elezioni presidenziali del 2003 fu un fallimento totale - dato che il 79 per
cento degli elettori votarono.
(3) Il movimento dei lavoratori disoccupati per occupare le
fabbriche e auto-gestirle è stato parzialmente invertito - lo Stato sta
sgombrando con successo e con la forza in alcune fabbriche e le altre
fabbriche sono in genere sulla difensiva.
(4) L’unità delle assemblee popolari e del movimento dei
lavoratori disoccupati ha fatto strada alla frammentazione e in alcuni
quartieri al ritorno di capi locali peronisti con le loro pratiche
clientelari.
(5) La profonda crisi sociale ed economica continua e,
nonostante la fragile ‘stabilizzazione’ del 2003, i tassi di povertà e
indigenza hanno continuato ad aumentare anche se i tassi di disoccupazione
sono leggermente diminuiti.
(6) I “fondamentali” dell’economia continuano ad
essere incompatibili con qualsiasi sostenuta ripresa economica mentre si
continua a mantenere l’economia neo-liberale, non vi sono nuovi
investimenti, le ditte privatizzate e di proprietà straniera continuano a
decapitalizzare l’economia (vedi un’uscita di 19 miliardi di dollari nel
2002), il grande capitale continua ad avere potere, aumentando le
disuguaglianze sociali.
(7) Mentre i movimenti di massa sono rifluiti e i politici
convenzionali dominano la scena politica, le organizzazioni popolari
continuano a lottare; esse non hanno sofferto alcuna sconfitta decisiva e sono
in grado di riconquistare l’iniziativa se l’economia precipita di nuovo;
infatti i movimenti sono in grado di ricostruire una formazione unificata
socio-politica orientata verso il potere statale.
Al fine di analizzare queste “tesi” connesse all’Argentina
contemporanea, è necessario indagare brevemente gli eventi politici ed
economici che hanno condotto al sollevamento popolare del 19-20 dicembre del
2001. Possiamo dividere gli eventi politici in due parti sulla base dei
presidenti dell’Argentina che sono stati responsabili per il boom e per il
collasso.
2. Menem e le presidenze De la Rua
La presidenza Menem (1989-2000) fu un periodo di massicci
prestiti esteri e delle privatizzazioni di tutte le maggiori imprese pubbliche
primarie, e della maggior parte delle secondarie, industrie, ditte di servizi,
banche e servizi pubblici. La maggior parte dei prestiti e dei redditi furono
spesi per comparare beni di consumo importati e miliardi furono rubati in
mostruosi schemi di corruzione e per finanziare il partito elettorale (“Il
Partito della Giustizia” - peronista) di Carlos Menem. Le Borse salirono, le
banche straniere misero a disposizione conti in dollari mentre il governo
inaugurò la politica della convertibilità di un dollaro per un peso. Nel 1998,
l’economia - speculativa, eccessivamente indebitata, di proprietà straniera,
e non produttiva - entrò in una recessione/depressione che si approfondì di
anno in anno. La disoccupazione salì alle stelle e le fabbriche, che non
potevano competere con gli esportatoti sussidiati dell’Asia e degli Stati
Uniti, nel regime neo-liberale del libero mercato, fallirono. I ricchi che
disponevano di informazioni riservate ritirarono miliardi e spedirono i loro
fondi all’estero. L’evasione fiscale da parte dei ricchi era la norma. Verso
la fine del secondo mandato di Menem nel 2000, l’economia era fuori controllo
e si avvicinava una depressione di grandi proporzioni: il debito dell’Argentina
si era raddoppiato e non vi erano i mezzi per pagare i debiti e per finanziare
una ripresa. Nel 2000, fu eletto De la Rua, del tradizionale Partito Radicale,
in una alleanza con una colazione che si definiva di centro-sinistra. De la Rua
esacerbò la crisi con una stretta politica monetaria, con mercati finanziari
deregolamentati e con pagamenti di debiti esteri di decine di miliardi di
dollari mentre la disoccupazione sorpassava il 20% e i redditi sprofondavano del
30%. Durante gli eventi che condussero alle sue dimissioni forzate, le banche
straniere trasferirono oltre 40 miliardi di dollari alle loro sedi centrali. De
la Rua congelò tutti i conti bancari correnti e di risparmio privando così le
classi medie di tutti i loro risparmi mentre le banche si dichiaravano
insolventi distruggendo letteralmente i risparmi dei pensionati e di 5 milioni
di Argentini delle classi medie. L’economia sprofondò ad un record di
crescita negativa del 15% nel 2001-2002, la disoccupazione salì al 25%, i
salari furono ridotti del 65%. Massicci movimenti di base hanno effettuato
blocchi stradali anche sulle autostrade. Il 19 dicembre del 2001, centinaia di
migliaia di lavoratori delle classi medie impoverite e pensionati che battevano
rumorosamente su delle pentole, lavoratori disoccupati e attivisti sindacali
conversero verso il palazzo presidenziale nella Plaza de Mayo domandando l’espulsione
di De la Rua. La polizia a cavallo armata di bastoni attaccò i manifestanti che
si ritirarono per poi raggrupparsi. Ma la polizia sparò, uccidendo più di 30
manifestanti e ferendone una grande quantità. De la Rua si dimesse e fuggì in
elicottero. Il Congresso fu attaccato quando decine di migliaia di lavoratori si
incontrarono nella piazza del Congresso.
Nell’interludio, l’economia fu completamente paralizzata
per quasi due settimane. Il Congresso si riunì e elesse tre presidenti in meno
di una settimana, ma ciascuno di loro fu costretto a dimettersi. Alla fine i
governatori provinciali, i membri del Congresso, e i capi di partito del Partito
Peronista (JP) scelsero Duhalde per presidente.
3. La presidenza Duhalte parte prima: l’ascesa dei movimenti popolari
Il sollevamento popolare del dicembre 2001, nonostante alcune
asserzioni di persone da parte della sinistra che si trattava di una ‘situazione
pre-rivoluzionaria’, fu una ribellione spontanea di massa con un programma
limitato e con un largo appoggio popolare che andava dagli indigenti agli
ex-ricchi piccoli e medi imprenditori. Il sollevamento a Buenos Aires fu seguito
da esplosioni simili all’interno nelle province fallite e economicamente
depresse.
Più significativamente, assemblee popolari di quartiere si
diffusero da un capo all’altro della città di Buenos Aires e centinaia di
migliaia di lavoratori si riunirono spontaneamente per discutere delle loro
perdite e della loro difficile situazione. Coloro che precedentemente avevano
sofferto in silenzio esprimevano ora la loro rabbia ad alta voce durante
dibattiti che potevano continuare per ore senza interruzione. Centinaia di
proposte e di domande radicali furono messe ai voti e approvate, anche se poche
o magari nessuna di esse furono implementate. I piccoli partiti già costituiti,
marxisti o anarchici - intervennero ciascuno con il suo programma e concezione
del ruolo che le assemblee dovevano giocare. Le discussioni tra di loro si
prolungarono in riunioni fino a quasi la notte in parchi, piazze e angoli di
strada. Gli anarchici, da ‘orizzoantali’, volevano riunioni senza ordine del
giorno, leader, portavoci o chiusura. I gruppuscoli marxisti erano a favore di
un ordine del giorno fissato (le loro priorità), di una leadership fissa (i
loro quadri) e per un sistema di votazione a maggioranza. Ciascuno di loro
vedeva nelle assemblee dei prototipi di ‘comuni’ o ‘soviet’.
Per tutto il gennaio e il febbraio il movimento dei
disoccupati (MTD) e le assemblee di quartiere hanno promosso enormi
dimostrazioni di strada. Le assemblee delle classi medie per lo scongelamento
dei loro risparmi erano appoggiate dai partecipanti al MTD, le classi medie, a
loro volta, partecipavano al blocco delle strade del centro in appoggio alle
richieste dei ‘piqueteros’ (picchettatori, lavoratori disoccupati) per
lavoro e buoni vitto. Si organizzavano conferenze per unificare entrambi i
movimenti assieme a gruppi per i diritti umani, movimenti universitari,
intellettuali progressisti e sindacalisti. Nel migliore dei casi furono
raggiunti degli accordi tra i leader della molteplicità dei gruppi ma
successivamente ciascuno continuò secondo il suo programma locale. Tra i
disoccupati e le assemblee di quartiere vi era un rifiuto generalizzato dei
leader politici tradizionali che si espresse nello slogan “Che se ne vadano
tutti”, che per gli anarchici, spontaneisti e molti leader dei movimenti
sociali era un rifiuto di qualsiasi forma di organizzazione politica e di
attività elettorale. Quello che inizialmente era un salutare rifiuto
spontaneo della classe politica dominante si trasformò in un dogma che precluse
lo sviluppo di una nuova leadership politica e di tattiche flessibili capaci di
conquistare il potere politico istituzionale. Gli analisti stimano che, nel
punto più alto delle mobilitazioni popolari all’inizio del 2002, tra i 2 e i
3 milioni di argentini hanno partecipato in una forma o un’altra di proteste
pubbliche. Le organizzazioni dei disoccupati avevano più di 100.000 sostenitori
attivi che prendevano parte a numerosi blocchi stradali e pacifiche occupazioni
di uffici governativi.
Verso la fine del 2001 e all’inizio del 2002, numerose
fabbriche furono occupate dai lavoratori minacciati da licenziamenti di massa e
da chiusure di fabbriche.
È chiaro che il capitalismo si trovava in una crisi
profonda, che i leader politici tradizionali erano stati discreditati o che
perdevano terreno, e che i nuovi movimenti sociali stavano ottenendo una
preminenza politica.
Le maggiori sfide per gli attivisti erano come sostenere e
allargare i movimenti, come guadagnare influenza o controllo sulle risorse
pubbliche per finanziare l’occupazione, l’edilizia e i sistemi sociali e
infine come sviluppare una coerenza organizzativa, leader politici e un
programma comune per tentare di conquistare il potere dello Stato.
Il movimento dei lavoratori disoccupati inizialmente sembrava
promettere bene nel fare pressione per lavori e fondi per progetti locali.
Tuttavia, ben presto incontrò una serie di gravi problemi. Prima di tutto, il
movimento è stato in grado di attrarre solo una piccola parte dei lavoratori
disoccupati, meno del 10% dei 4 milioni di disoccupati. In secondo luogo, mentre
i MTD erano molto militanti, le loro domande continuarono a focalizzasi sui 150
pesos mensile per contratti per lavori pubblici. Vi era poca profondità
politica o poca coscienza politica di classe al di là dei leader e dei loro
più vicini seguaci. Molti dei marxisti e degli anarchici credevano che la crisi
stessa avrebbe ‘radicalizzato’ i lavoratori o che le tattiche radicali dei
blocchi stradali avrebbero creato automaticamente una prospettiva radicale. Su
queso punto, particolarmente dannosa fu un piccolo gruppo di studenti
universitari che propagò delle teorie di trasformazioni ‘spontanee’ che
erano basate non sul tentativo di raggiungere il potere politico o dello Stato
ma sullo stabilire alleanze locali attorno a progetti di piccola scala. Il loro
guru, un professore inglese senza alcuna esperienza di movimenti popolari
argentini, fornì una vernice intellettuale alle pratiche dei suoi seguaci
studenti locali. In pratica, i profondi problemi strutturali perdurarono e il
nuovo governo Duhalte ben presto diede inizio ad uno sforzo importante per
pacificare i territori dei lavoratori disoccupati ribelli fornendo più di due
milioni e mezzo di posti di lavoro per sei mesi distribuiti dai suoi fedeli
uomini e donne nei quartieri. Questa mossa ridusse la possibilità dei leader
radicali dei MTD di allargare le loro organizzazioni e fornì al partito
peronista il legame organizzativo con i poveri e i disoccupati per le elezioni
future, in particolare perché i leader del movimento rifiutarono le politiche
elettorali e trascurarono qualsiasi forma di educazione politica.
Dopo un po’ di tempo, i seguaci dei gruppuscoli ‘anarchici’,
spontaneisti, e di ‘contropotere’, li abbandonarono per i comitati di
disoccupazione controllati dei peronisti. All’inizio del 2003 i tradizionali
populisti di destra peronisti incominciavano a rientrare nei quartieri dei
disoccupati instaurando relazioni clientelari perfino con attivisti che
continuavano ad appoggiare i MTD di sinistra e che partecipavano ai blocchi
stradali. Mentre tutti i gruppetti marxisti erano attivi in qualche modo in
tutte le assemblee, MTD, e occupazioni delle fabbriche, i loro iniziali
contributi organizzativi furono più che controbilanciati dalle loro tattiche
settarie che dominavano di gran lunga le discussioni e che si guadagnavano una
posizione di leadership attraverso riunioni prolungate (la specialità dei
settari) durante le quali la maggior parte dei nuovi militanti se ne andavano
prima di mezzanotte. Il risultato fu una varietà di organizzazioni di MTD e di
‘coordinatori’ con insiemi di leader concorrenti, divisi da differenze
minori e frequentemente incapaci di agire unitariamente nel Primo Maggio, per
non parlare delle lotte quotidiane.
Ma i settari di sinistra non erano gli unici a dividere il
movimento. Un altro serio colpo allo sviluppo di un movimento unificato
socialmente e politicamente fu inferto da un gruppo di militanti leader dei MTD
che innalzarono l’ambiguo termine ‘autonomia’ ad un principio universale.
Inizialmente, l’autonomia fu vista come l’indipendenza dalla dominazione da
parte dei partiti elettoralisti (di sinistra come di destra) e dei corrotti
sindacati. Col passar del tempo, tuttavia, ‘autonomia’ prese il significato
di un’attitudine negativa verso qualsiasi coalizione politica, verso un’alleanza
con qualsiasi sindacato, e verso ogni forma di unità con gli altri movimenti
sociali, eccetto che su una base tattica. Una estrema ‘autonomia’ precludeva
qualsiasi alleanza strategica.
I MTD rimangono a tuttoggi una forza vitale nei quartieri
poveri ma la loro capacità di mobilizzazione è diminuita, il loro movimento è
diviso e gli attivisti sono sempre più cooptati.
Anche le assemblee di quartiere che sorsero da un capo all’altro
di Buenos Aires tra gennaio e maggio subirono una metamorfosi simile.
Da principio, il desiderio spontaneo di partecipazione e di
discutere con vicini e amici la comune disgrazia della perdita del lavoro, dei
risparmi e della casa richiamò decine di migliaia di cittadini, nei posti delle
riunioni locali di quartiere. Inizialmente le discussioni non erano strutturate,
il che permise il poter esprimere le proprie idee, alcune immediate e pratiche,
altre rivoluzionarie e ideologiche, altre ancora eccentriche terapeutiche. Le
riunioni duravano tutta la notte senza raggiungere alcun piano di azione
definitivo, eccezione fatta per la decisione di riunirsi di nuovo dopo alcuni
giorni. Furono fatti tentativi di eleggere leader o perfino coordinatori per
convocare le riunioni e per fare un programma (un qualsiasi programma) ma gli
spontaneisti e gli anarchici intervennero e denunciarono qualsiasi misura
pratica o strutture di dibattito come ‘autoritarie’ o ‘manipolative’.
Nei dibattiti che seguirono sul tema di avere un programma o no, i gruppuscoli
marxisti intervennero con argomenti razionali ma con fini settari. Le
discussioni procedurali senza fine e i dibattiti prolissi tra anarchici e
marxisti fecero allontanare molti. L’influenza crescente dei marxisti e la
loro egemonia nei dibattiti e nei programmi spinse molti altri verso i bar
locali per guardare le partite di calcio. In gennaio, centinaia parteciparono
alla riunione al Parco Centenario. Quando vi partecipai anch’io all’inizio
dell’aprile del 2002, vi erano lavoratori, la maggior parte dei quali
militanti di organizzazioni di partito. Le assemblee di quartiere scomparvero o
si trasformarono in alcuni casi in commissioni per risolvere problemi
locali.