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Continente rebelde

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Jaime Cesar Coelho
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Professore del Dipartimento di Economia e Amministrazione dell’Università Federale del MS. Insegnante in Sociologia Politica (UFSC) Dottorando dell’area di Stato e Politiche Pubbliche (IFCH-Unicamp)

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La sinistra, il nuovo governo e i movimenti sociali: la speranza brasiliana

Jaime Cesar Coelho

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1. Riflettendo sul Brasile

Il tempo è nemico della sinistra? Se partiamo dall’idea che la sinistra rappresenta il desiderio di cambiamenti, che cerca di trasformare la società a cominciare da i suoi limiti, costruendo nuove utopie, arriveremmo alla conclusione che il tempo della sinistra non è lo stesso dei conservatori. Le richieste della società e le aspettative della popolazione sono in gran fermento quando una coalizione di sinistra o sotto la sua leadership, arriva al potere.

Pensiamo adesso al caso brasiliano. Per la prima volta nella storia brasiliana un partito legato alla lotta sociale, con un programma d’orientamento socialista, arriva al potere. Per di più, nella sua carica più importante, quella del presidente della repubblica, c’è attualmente Luiz Inácio Lula da Silva, un operaio metalmeccanico, che partì con un pau-de-arara [i] del nordest brasiliano, per sfuggire alla fame che da sempre devasta la regione. Questa storia è molto ben raccontata nella poesia “Morte e Vida Severina” di João Cabral de Melo Neto.

Al contrario della maggior parte degli emigranti che fuggivano dalla siccità alla volta di una grande città, Lula riusci a fare un ulteriore passo avanti. E che passo! Sotto l’influenza del fratello Frei Chico, che militava nell’allora clandestino PCB (Partido Comunista Brasilero), il giovane operaio entra nel movimento sindacale. Siamo negli anni settanta. Periodo di piombo della dittatura militare, che iniziò con il golpe militare e che durerà fino al 1985. La base della militanza è il sindacato dei metalmeccanici della grande ABC [1], che comprende le catene di montaggio di automobili e tutte le multinazionali legate al processo di industrializzazione e sostituzione d’importazione, caratteristico dello stile di sviluppo adottato in Brasile e in altri paesi latinoamericani. Questo era il settore più dinamico dell’industria brasiliana, quello che nel vecchio vocabolario degli studiosi dello sviluppo corrispondeva al settore “moderno” dell’economia. Di fatto il processo d’industrializzazione brasiliana arriva in questo periodo al suo apice. Per la prima volta, nella storia della Repubblica, l’economia brasiliana assisteva al processo di completa internazionalizzazione del ciclo della merce. Benché soffrisse di inconsistenza dinamica, l’economia brasiliana contava sulla presenza di tutti i settori di una economia capitalista sviluppata, ossia i settori produttori di concime, di beni di capitale e di beni di consumo leggeri e durevoli. Questa trasformazione tecnica andava di pari passo con quella profonda delle relazioni produttive e, di conseguenza, con quella dell’apparato normativo e legale che regolava i rapporti tra capitale e lavoro. Il regime militare fu di grande utilità nella definizione di questo sistema di accumulo, nella misura in cui, reprimendo il movimento sindacale, dava impulso al processo d’accumulo ampliato e rendeva proporzionali i guadagni extra dei capitali qui investiti.

Dal golpe in poi le riforme effettuate cercarono di dotare l’ambiente economico di meccanismi che facilitassero il processo d’espansione del capitale. Il regime militare si preoccupò oltremodo di due aspetti: addomesticare le forze sindacali e creare meccanismi di credito a breve e lungo termine. Il primo obiettivo, ovviamente, cercava di diminuire i costi variabili cercando d’imbavagliare ogni possibile contestazione dei lavoratori. I metodi non erano tra i più moderni: imprigionamento, tortura e controllo delle organizzazioni sindacali. Queste ultime non erano proibite, ma il loro funzionamento dipendeva da quanto fossero rispettose del regime. Il secondo obiettivo, ossia la creazione di un sistema di credito adeguato all’espansione del capitale, fu perseguito attraverso la riforma del sistema finanziario del 1965. All’interno delle misure entrate in vigore in quel periodo, ci fu anche la creazione del Banco Central do Brasil.

Come si capisce, era in gioco una tremenda contraddizione. Nello stesso istante in cui si veniva a creare una industria dinamica, moderna e che esigeva rapporti differenziati tra capitale e lavoro, si inibiva l’espressione politica dell’insieme dei lavoratori. Sarà tra questa contraddizione ed un fervente ambiente politico opposto alla dittatura militare che verrà segnato il percorso politico dell’allora operaio metalmeccanico e attuale presidente della Repubblica.

È importante tener conto che non crebbe come un bambino di città, figlio d’operai e membro della parte organizzata dei lavoratori. C’è qualcosa di molto speciale nel suo percorso. Lula è passato attraverso la miseria del Brasile “arcaico”, dalla condizione miserabile degli ambienti rurali alla condizione di sfruttamento del settore più dinamico dell’economia brasiliana. In questo percorso è riunito il vecchio e il moderno. Certamente questa esperienza risulterà molto importante nella costruzione del Partido dos Trabalhadores, nato il 10/2/1980.

 

2. La nascita del PT e la nuova dinamica del movimento sindacale brasiliano

Le trasformazioni nell’ambiente economico e l’aggravamento delle condizioni di rigenerazione del capitale, insieme al secondo shock petrolifero e all’aumento degli interessi degli Stati Uniti, fecero in modo che le contraddizioni del regime emergessero. Il movimento sindacale aumentò la pressione e i sindacati tutelati dal governo militare cominciarono a perdere la poca legittimità che possedevano. In questo contesto nasce la prima grande protesta operaia della regione del ABC.

Il movimento sindacale creava un problema politico di grande proporzione per il regime che ebbe come prima reazione un tentativo di intimidazione. Ma la forza non sarebbe stata in grado di contenere la reazione popolare. Non si trattava più di quei gruppi della piccola borghesia, organizzati in una eroica guerriglia, che uno ad uno furono smantellati dalla forza repressiva del governo, durante gli anni settanta. Si trattava ora di un movimento di massa con il quale l’impiego della forza avrebbe comportato costi molto più elevati. Il movimento nacque certamente come una reazione degli operai al fine di ottenere condizioni di lavoro migliori, ma ben presto prese il carattere politico della contestazione della dittatura. Toccò a Lula e ai suoi compagni del sindacato dei metalmeccanici il compito di fare da ponte. Per Lula sarebbe stata la prima “leadership di massa” sorta in seno al proletariato brasiliano dopo il 1964. Intorno a questo movimento cominciò ad articolarsi l’organizzazione del PT. Il pesante ruolo del governo e il complesso gioco di forze politiche che si stavano delineando, fecero apparire a Lula sempre più chiara la necessità di organizzare una forza politica che trascendesse i limiti del movimento sindacale. Figure importanti del mondo intellettuale, delle organizzazioni civili, della Chiesa Cattolica e di una serie di organizzazioni che avevano lottato contro il regime negli anni di piombo, si unirono per formare il Partido dos Trabalhadores. A questo si unirono trotskisti, religiosi vincolati alla teologia della liberazione, marxisti-leninisti, socialdemocratici, e in generale persone che contestavano lo status quo. Il fatto importante è che la presenza operaia era un dato fondamentale per il progetto di un partito della sinistra dall’ampio inserimento sociale, e da questo punto di vista il PT era autentico. Al comando del partito c’era un leader operaio.

Ai partiti comunisti in clandestinità (PCB e PcdoB) l’alternativa politica petista si presentava come una potenza storica incontrastabile. Per i partiti comunisti era molto difficile concorrere con un partito che nasceva vincolato al movimento operaio, ai movimenti religiosi della sinistra e che dava ricovero a quella sinistra che si era già dissociata dai partiti comunisti per questioni sia tattiche che strategiche. È bene ricordare che il regime militare avrebbe ammesso la legalità dei partiti comunisti solo dopo la sua caduta, ossia a partire dal 1985. Inoltre va anche ricordato che, esattamente come per la sua uscita dal potere, quest’ammissione fu frutto di una negoziazione delicata, che per molti aspetti esigette da parte di questi partiti una specie di “moderazione” volontaria, per non essere qualificati come le forze che avrebbero pregiudicato il processo d’apertura. In fine va sempre ricordato che questi partiti ebbero un ruolo importante nella lotta per la democrazia. Nel caso del PCB, sin dall’inizio del regime, il partito adottò, per la demolizione del regime, una tattica pacifica, inserendo suoi esponenti nel partito d’opposizione ammesso dal regime, il Movimento Democrático Brasilero (MDB). Questa situazione causò una serie di divisioni interne che dettero origine a varie organizzazioni che invece presero la via delle armi. Nel caso del PcdoB, ispirato alla strategia maoista, si tentò l’organizzazione di una guerriglia contadina (la guerriglia del Araguia), che non ebbe alcun successo. Anche questo partito finì per inserire suoi esponenti nel MDB. Il lungo periodo di clandestinità di questi partiti e i loro errori tattici, contribuirono alla formazione del PT. Ma ciò non basta. Come cercherò di dimostrare, la nascita del PT va inserita in una serie di mutamenti della realtà economica e sociale brasiliana. Il PT fu senza dubbio figlio della “modernizzazione autoritaria” brasiliana [2].

Il progetto politico era sicuro. In quanto partito di massa, il PT superò qualunque organizzazione della storia della sinistra brasiliana. La sua ascesa poneva su un piano secondario i partiti comunisti [3] e il “trabalhismo”, inaugurando una nuova fase della politica nazionale. La sua capacità di tollerare nella stessa struttura gerarchica diverse correnti politiche, incluse quelle per certe questioni antagoniste, fu, per la sua leadership, un lavoro d’estrema abilità politica e frutto anche di una struttura organizzativa che cercò di portare sempre avanti un modello di democrazia interna.

La crescita del partito avvenne su vari fronti. Crebbe nella rappresentanza legislativa, penetrò rapidamente nei movimenti sociali, conquistò progressivamente le prefetture delle città importanti e avanzò alla conquista d’alcuni governatorati di stato. La sua influenza nel mondo intellettuale e in particolare nelle università pubbliche, aumentò esponenzialmente. Nel mondo della cultura varie personalità offrirono il loro prestigio alla crescita del partito.

In questo senso, l’ascesa al potere centrale non arrivò con lo schiocco delle dita. Fu frutto di un progetto politico perseverante, portato avanti con grande abilità e che seppe sfruttare gli aspetti più importanti della congiuntura nazionale ed internazionale.

 

3. Il contesto delle elezioni del 2002: fu la vittoria della sinistra?

Non possiamo svincolare la vittoria di Lula nelle elezioni del 2001 dal processo di logoramento che stava attraversando l’alleanza al potere già dal 1994. Questa alleanza, sotto la presidenza di Fernando Cardoso (FHC), s’ingegnò di portare a termine una delle più grandi trasformazioni effettuate da un governo all’interno di un contesto democratico, nella storia della Repubblica. Si trattò di mutare lo stile di sviluppo basato sul modello della sostituzione delle importazioni, con il forte intervento dello Stato, verso un modello di orientamento liberista. Su questo aspetto il Brasile seguiva i passi già compiuti da Pinochet, durante gli anni settanta, e quelli di Reagan e della Tatcher negli anni ottanta. Il mantra del mercato fu ripetuto fino all’esaurimento. La vittoria simbolica della cantilena liberista avvenne nel contesto profondo della crisi fiscale dello Stato e della perdita di legittimità di questo stesso, che si trascinava fin dalla crisi del debito all’inizio degli anni ottanta.

Fernando Henrique Cardoso dimostrò un’abilità senza pari nel saper mettere insieme i settori conservatori della politica nazionale per portare avanti la sua politica di deregulation e di privatizzazione. Gli argomenti erano semplici e noti alla classe lavoratrice: 1) lo Stato è inefficace nella prestazione di servizi e nell’offerta di prodotti; 2) lo Stato ha perso la capacità di finanziamento e deve diminuire le sue funzioni; 3) il paese, in un mondo globalizzato, ha bisogno di fare profitto sulla produttività e pertanto è necessario che si produca uno shock sulla competitività.

Alle classi più basse, il discorso prometteva il miglioramento dei servizi nella sanità e nell’educazione, per quelle più alte grandi possibilità di poter fare affari in campo finanziario e nei programmi di privatizzazione.

Sebbene buona parte delle attività pubbliche erano state cedute, durante gli otto anni del governo di Cardoso, il debito pubblico non diminuì, ma al contrario iniziò un percorso di crescita esponenziale. La grande mossa del governo fu il periodo dorato del cambio semifisso (1994-1999), che sulla scia di una tremenda sopravalutazione del cambio rese possibile il gioco dell’importazione. Come qualsiasi studente d’economia al primo anno sa, il cambio è un ottimo rimedio contro l’inflazione, ma abitua a riscuotere un prezzo sufficientemente elevato comportando la crescita delle passività interne ed esterne.

Il problema del cambio scoppiò verso la fine del 1998 e l’inizio del 1999. La crisi del cambio esigette la libera fluttuazione della moneta (il REAL) e un conseguente processo di compressione salariale ed aumento dell’inflazione. Come Keynes aveva avvisato, i salari nominali sono rigidi nella parte bassa. In questo senso, nulla come una svalutazione della moneta per corrodere il potere d’acquisto dei salari e aumentare i guadagni del settore produttivo di beni commerciabili, può permettere un guadagno nella bilancia commerciale con lo scopo di compensare i successivi deficit in conto corrente.

Questo processo provocò il logoramento del governo Cardoso. È oltremodo vero che la crisi dei cambi occorse soltanto dopo che questo ebbe garantito la sua rielezione ad ottobre del 1998. Al di là dei problemi con la moneta, che in un certo qual modo furono sminuiti da un’inflazione che sebbene alta non fu mai fuori controllo, nel 2001, per pura imprudenza del governo e per la mancanza di piogge [4], il paese soffrì di una grande crisi di approvvigionamento di energia. Il razionamento dell’energia mise a dura prova la pazienza dei brasiliani e fece tremare la coalizione al potere. Diventò di volta in volta sempre più difficile per il governo Cardoso mantenere la sua base d’appoggio al Congresso Nazionale. La rottura definitiva nell’alleanza giunse con l’imposizione della candidatura, nell’ala maggioritaria del partito del presidente [5], del candidato alla successione, il senatore per San Paolo e ministro della salute José Serra.

Il PT riuscì ad approfittare di questo contesto e si presentò come la forza capace di cambiare con sicurezza. Come partito tradizionalmente rappresentante dell’opposizione e con lo spettro dello status quo di tutto il governo, restava difficile cucire una candidatura dell’establishment che si presentasse come qualcosa di “nuovo” nella successione. La sinistra, in questo quadro, si permise il lusso di dividersi in tre candidature [6]. Ma la candidatura di Lula era di gran lunga la più solida dal punto di vista della struttura e dell’inserimento nella società civile.

A quel punto, ossia a metà del 2002, cominciò a farsi sempre più forte l’aspettativa di un reale possibilità di vittoria del PT. Fu qui che il programma petista, tradizionalmente legato ad un discorso radicale, cominciò a soffrire di riadattamenti. Il punto maggiore di moderazione del discorso si ebbe con la proposta della Carta ao Povo Brasileiro il 22/6/2002 [7].


[i] Ndt. Camion utilizzato per il trasporto dei braccianti del nordest.

[1] La regione della grande San Paolo, che comprende le città di Santo André, São Bernardo e São Caetano (da cui ABC) dove si concentrano le industri metallurgiche.

[2] Un’analisi interessante sulla modernizzazione autoritaria si può trovare in TAVARES, Maria da Conceição e ASSIS, J. Carlos (1986).

[3] Per un’importante analisi sulle origini del sistema partitico brasiliano si suggerisce di consultare SOUZA, Maria do Carmo Campello de (1983).

[4] Bisogna ricordare che la quasi totalità dell’energia elettrica in Brasile proviene da fonti idroelettriche.

[5] L’alleanza di governo era fondamentalmente composta dai seguenti partiti: Partido do Movimento Democrático Brasileiro (PMDB), Partido Trabalhista Brasileiro (PTB), e il partito del presidente, Partido da Social Democracia Brasileira (PSDB).

[6] Furono proposti candidati dal Partido Socialista Brasileiro (PSB) e dal Partido Popular Socialista (PPS), il vecchio Partido Comunista Brasileiro (PCB). I candidati furono rispettivamente il governatore di Rio de Janeiro, Anthony Garothinho e l’ex governatore dello Stato del Ceará ed ex ministro delle finanze del governo di Itamar Franco, Ciro Gomes.

[7] Anche in questa strategia elettorale bisogna separare l’alleanza con il Partido Liberal (PL). Questa alleanza portò alla scelta di José Alencar, importante industriale del settore tessile, a cui affidare l’incarico di vice presidente. Questa alleanza fu recepita con molto scetticismo da diversi settori del PT e fu abbandonata solo perché Lula minacciò di rinunciare alla sua candidatura, nel caso fosse stata resa effettiva. È anche importante aggiungere che sebbene l’alleanza con il PT sembri strana, questo partito già faceva opposizione al governo Cardoso, negli ultimi quattro anni del suo mandato. Inoltre è importante mettere in risalto che José Alencar era noto per le sue critiche nazionaliste al modello economico dell’era Cardoso.