L’elezione di Lula in Brasile: un’eccezione o una tendenza atinoamericana?
Francisco Domínguez
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1. Introduzione
Nel 1994 l’esperto messicano di politica Jorge Castañeda
scrisse in un libro che ebbe una larga diffusione l’epitaffio delle sinistre
latinoamericane:
“La Guerra Fredda è finita, il Comunismo e il blocco
socialista sono collassati. Gli Stati Uniti e il capitalismo hanno vinto e in
poche aree del pianeta, come in America Latina, questa vittoria è così ben
delineata e spettacolare. La democrazia, l’economia di libero mercato, le
manifestazioni di sentimenti e di politiche in favore degli americani segnano il
panorama di una regione dove fino a poco fa il confronto destra-sinistra, i
potenziali di una rivoluzione socialista e la riforma progressista erano assai
diffuse. Oggi tecnocrati conservatori, a favore degli affari e degli Stati
Uniti, spesso democraticamente eletti, detengono cariche su tutto l’emisfero.
Gli Stati Uniti spesero circa trenta anni combattendo i rivoluzionari Marxisti
nazionalisti dove la destra era attiva, influente, e a volte al potere e dove
ora è in fuga o al cappio” (Unarmed Utopia, Vintage Books, 1994).
Castañeda aveva ragione. Dal Messico fino alla Terra del
Fuoco, c’erano governi dediti in un modo o nell’altro al neoliberalismo. L’unica
eccezione era Cuba che a causa del collasso del blocco socialista nel 1989-1991
stava attraversando un terrificante supplizio economico. Infatti il 1994, anno
in cui Unarmed Utopia fu pubblicato, fu per Cuba l’anno peggiore. La
situazione generale era assai peggiore del semplice impegno in politiche
neoliberali. La maggior parte dei governi erano entusiasti di essere assorbiti
economicamente dagli Stati Uniti in un’area di libero scambio facendovi
sprofondare l’intero continente. Il presidente messicano Salinas fu il primo
ad esserlo costituendo, nel gennaio del 1994, un’area di libero scambio con il
Canada e gli Stati Uniti detta North American Free Trade Agreement (NAFTA o Area
Nordamericana di Libero Scambio). La Rivoluzione Sandinista era stata pienamente
soffocata a febbraio del 1990 e i processi di pace guidati ed incitati dagli
Stati Uniti stavano avendo luogo sia ad El Salvador sia in Guatemala, paesi che
sin dal 1989 furono l’epicentro della guerriglia sovversiva marxista. Colombia
ed Ecuador stavano seguendo le istruzioni del FMI e parlare della
dollarizzazione delle loro economie stava diventando, tra le elites di politici,
non solo di moda ma un evento irresistibile. Il Brasile si stava dirigendo verso
i due mandati neoliberali di Cardoso, seguito a Collor de Melo, e verso un
periodo di confusione a seguito dell’impeachment per corruzione di quest’ultimo.
In Perù, dove Alberto Fujimori si stava sempre più rafforzando, la guerriglia
dello Shining Path si trovava su posizioni difensive a seguito della generale
ritirata della Sinistra. In Argentina, Menem stava facilmente privatizzando
tutti i beni nazionali come le linee aeree, le compagnie telefoniche ed ogni
azienda di Stato costituita durante i precedenti 50 anni di sviluppo economico.
Ditto in Cile, dove il governo Concertacion, una coalizione tra Socialisti
Blairite e Democratici Cristiani, mantenne l’edificio neoliberale di Pinochet
intatto, fece il massimo per proteggere coloro che erano stati accusati di
violazione dei diritti umani, e pose freno alla democratizzazione del paese
sotto il vigile occhio dei militari. Paraguay ed Uruguay non erano molto
differenti poiché, nonostante la fine delle leggi marziali, avevano governi
fedelmente a favore del neoliberalismo. Il Venezuela, un paese che aveva goduto
per circa 40 anni di una condizione eccezionale dovuta ai suoi proventi legati
all’estrazione del petrolio, aveva resistito ai sanguinosi tumulti del 1989 e
a un fallito golpe militare, dopo aver adottato un austero pacchetto di
risoluzioni del FMI.
Inoltre, con la Sinistra nel caos, il suo rafforzamento
elettorale era in rapido declino quasi ovunque, e una maggioranza d’intellettuali
e politici legati a questa stavano affrontando un processo di metamorfosi
ideologica senza precedenti. Con sorprendente entusiasmo stavano accogliendo il
mercato, il neoliberalismo e le politiche della destra. Fernando Henrique
Cardoso, presidente del Brasile prima di Lula, incarnava questa tendenza. Dall’essere
un ampiamente rispettato intellettuale marxista che aveva influenzato un’intera
generazione d’intellettuali latinoamericani, in particolare circa le radici
del sottosviluppo, che egli stesso aveva esaminato con competenza nel suo
acclamato libro, Il Capitalismo e il Sottosviluppo in America Latina,
pubblicato nel 1979, diventò un devoto avvocato delle politiche neoliberali.
Molti dei ministri dei paesi recentemente democratizzati che stavano
implementando con entusiasmo le politiche economiche della destra erano un tempo
intellettuali marxisti.
La fino ad ora formidabile guerriglia marxista dell’America
Centrale, come la FMLN e la URNG, rispettivamente del Salvador e del Guatemala,
abbandonarono la lotta armata e si trasformarono in partiti politici
abbracciando politiche liberali. I comandanti Sandinisti di un tempo, come
Victor Tirado, arrivarono alla conclusione che non importava quanto duramente si
provasse, ma sconfiggere l’imperialismo statunitense era impossibile. Gli
Stati Uniti, concludeva Tirado, sono troppo potenti. Questo, quindi insistette
su una strategia politica di riforme all’interno dei confini del capitalismo
neoliberale. Quindi Tirado arrivò alle stesse conclusioni di Castañeda: il
socialismo uscì dall’agenda per sempre.
A queste sventure va aggiunto che la Sinistra tradizionale,
anche nella forma del partito comunista, andava soffrendo su tutto l’emisfero
un declino terminale, una certa confusione, una massiccia riduzione di risorse e
una irrilevanza elettorale. Il Partito Comunista Cileno, ad esempio, fino a quel
momento uno dei più grandi del continente si ridusse al 3% delle preferenze
elettorali. La Sinistra sembrò morta o morente.
Ma andando verso il 2000, comunque, la situazione in America
Latina sembrò cambiare. Tanto per cominciare, l’integrazione del Messico nel
NAFTA cominciò a deteriorarsi portando la svalutazione del peso tra dicembre
1994 e gennaio 1995 a circa il 35%, vicino al collasso economico e ad un
massiccio aumento del debito estero ($ 53 miliardi - un aumento di circa il
50%). In effetti, i postumi della sbornia di tequila, colpirono paese dopo paese
tutto il continente, in un crescente gorgoglio di malessere economico al quale
nessuna nazione sembrò essere immune. È qui che si scoprono i primi barlumi
della ricomposizione politica della Sinistra latinoamericana. L’enigmatica
immagine mascherata del Subcomandante Marcos, con una fumante pipa sporgente
dalla sua faccia ... coperta, stava facendo il giro del mondo, suscitando la
simpatia spontanea di milioni di persone per la causa che egli stesso guidava,
ossia, per i diritti politici, sociali, economici e culturali delle popolazioni
indigene del Chiapas, lo Stato più povero del Messico. La rivolta armata
Zapatista cominciò il 1 gennaio 1994, data in cui l’inchiostro sul libro di
Castañeda, che annunciava la fine della Sinistra e d’ogni attività
rivoluzionaria nel continente, non era ancora asciutto. Questo pubblicò
velocemente una versione ampliata del Unarmed Utopia con una aggiunta
successiva nella quale affermava che il suo punto di vista era completamente
giustificato dal fatto che i Zapatisti erano “riformisti armati”.
Dal quel momento nella Sinistra latinoamericana cominciò un
penoso e lento processo di ricomposizione che fino ad adesso ha prodotto il più
sorprendente risultato, l’elezione di Luiz Ignacio da Silva, Lula, un
tornitore e sindacalista, che non andò mai all’università e che è diventato
il presidente del Brasile.
2. Tendenze economiche nell’America Latina
Secondo le proiezioni dell’ECLAC nel suo Panorama social
de America Latina, 2001-2002 (7 novembre, 2001), 214 milioni di persone,
quasi il 43% della popolazione dell’America Latina, era povera e tra queste
92,8 milioni (18,6%) vivevano in assoluta povertà. Le proiezioni per l’anno
2002 indicano una crescita dei poveri di circa 7 milioni di persone con 6
milioni in situazione di estrema povertà. La maggior parte dei poveri avranno
origine dalla crisi Argentina.
Nello stesso modo, c’e stato un declino quasi catastrofico
del FDI da $ 84.013 nel 2001 ad appena $ 56.687 nel 2002 (un declino del 33%),
con il più grande declino (40%) nella regione de bacino Messicano-Caraibico e
il secondo (35%) nella regione Mercosur-Cile (CEPAL, La inversíon en
América Latina Y el Caribe. Informe, 2001, p. 21).
Inoltre, il debito estero era un fattore significativo per il
deterioramento economico della regione, mostrando una forte correlazione tra la
crescita in dimensione del debito e degli sviluppi politici.
I risultati dell’Import-export della regione hanno
continuato a deteriorarsi nel 2002 come era accaduto negli ultimi anni ed il
tasso di disoccupazione era aumentato piuttosto drammaticamente nella maggior
parte dei paesi. In Uruguay il 18% (dal 15% nel 2001), in Venezuela dal 11 al
15%, in Argentina è rimasto intorno al 18%, in Brasile è rimasto al 5/6%, in
Cile è rimasto a circa 8%, in Colombia dal 16 al 18%, in Messico al 3%, in
Perù è aumentato di un punto percentuale a 10% (Latin Focus,
www.latin-focus.com). Ciò significa, un aumento generale della disoccupazione
in molte delle regioni e si deve tenere a mente che le fonti ufficiali tendono
in alcuni casi a sottostimare il tasso di disoccupazione.
Secondo l’ECLA (Panorama social de America Latina,
2000-2002, Santiago, Cile 2002) mentre la partecipazione dell’Asia
(Giappone escluso) all’economia globale è aumentata dal 15% al 30% nel
periodo 1973-2002, quella dell’America Latina è rimasta stagnante al 8%. Al
momento il 40% delle famiglie ricevono il 15% del reddito nel continente facendo
della regione quella più iniqua del mondo.
In Argentina il più ricco 20% (5 milioni di persone) riceve
il 53% del reddito totale mentre l’80% della popolazione (31 milioni) riceve
il rimanente 47% (Le Monde Diplomatique, novembre 2002). In Bolivia,
Brasile e Nicaragua il 20% della popolazioneha un reddito che è 30 volte più
grande del del più povero 20% della popolazione. Nel resto del continente
questa disparità è solo 20 volte più grande. Per ogni indicatore statistico,
il Brasile è il paese più iniquo del continente (Le Monde Diplomatique,
novembre 2002). I paesi meno ineguali dell’area sono il Costa Rica e l’Uruguay,
con la più equa ridistribuzione del reddito nel continente (e molto
verosimilmente per il mondo intero è Cuba). Nell’intero continente circa 150
milioni di persone sopravvivono con un reddito di meno di $ 2 al giorno. Ci sono
circa 300.000 persone che hanno beni per oltre $ 1 milione. Al momento ci sono
24 multimilionari in America Latina con un reddito combinato di $ 25 miliardi
(il Messico ha 12 multimilionari, l’Argentina ne aveva alcuni ed ora uno
solo). Una significativa proporzione di poveri in America Latina proviene dall’esclusione
sociale di persone con origine africana ed indiana che, in totale, rappresentano
il 40% della popolazione del continente.
Le politiche economiche neoliberali non sono l’unica causa
principale di questa distribuzione altamente retrograda del reddito. Queste
politiche minano, in alcuni casi in maniera catastrofica, la capacità dell’economia
nazionale di assorbire gli shock causati dai bruschi movimenti di capitale in
risposta alla volatilità dell’economia globale. La crisi brasiliana del 1999,
come conseguenza della crisi economica del sudest asiatico del 1997, portò al
collasso delle parità del real, la moneta brasiliana, al dollaro e ad un
aumento dell’indebitamento di $ 43 miliardi. Quindi il Brasile ha attualmente
un debito con l’estero di $ 260 miliardi (dieci volte il PIL di Cuba e circa
un terzo del PIL del paese). La crisi del real del 1999 segnò il destino
politico di Fernando Henrique Cardoso e spianò la strada alla vittoria di Lula.
Si deve ricordare che non esisteva un partito di massa organizzato a livello
nazionale come il PT e non esisteva, quindi, alcuna garanzia che i guai
economici di Cardoso si sarebbero trasformati automaticamente nel successo
elettorale di Lula.
Sotto la presidenza di Carlos Menem, anche l’Argentina
legò la sua moneta, il peso, al dollaro in una parità letale che stava
per portare l’economia allo sfacelo e alla caduta dell’amministrazione di De
La Rua, la quale aveva ereditato una serie di difficoltà strutturali associate
alle politiche economiche di Menem, il valore del peso crollò e le
banche chiusero senza pagare i depositi dei propri clienti. Le province emisero
loro monete che circolavano soltanto all’interno dei loro confini e che, per
permettere il commercio, dovevano essere cambiate con quelle delle province
limitrofe. Furono emesse più di una dozzina di queste monete. Nessun governo
potrebbe sopravvivere politicamente se dovesse attuare i rimedi del FMI in una
nazione in queste condizioni. Si deve ricordare che fu un’ondata di massa
nella protesta popolare a determinare la caduta di De La Rua, il quale, per
essere salvato dalla folla inferocita che aveva sfondato i cancelli del palazzo
presidenziale di Buenos Aires, fu prelevato dal terrazzo da un elicottero.
Uno dopo l’altro, i paesi dell’America Latina sono stati
massicciamente indeboliti dall’applicazione delle politiche neoliberali. L’Ecuador
per esempio, risentì del doppio impatto della crisi economica messicana e del
sudest asiatico, rispettivamente del 1995 e del 1997. La posizione relativamente
competitiva del paese e la fuga di capitali trasformarono il paese da un
esportatore di prodotti agricoli ad un importatore di eccedenze agricole come il
grano, l’avena, le lenticchie, la soia, il granturco, e il latte in polvere
dagli Stati Uniti. Quindi nel 1999 il governo di Yamil Mahuad congelò l’equivalente
di $ 3,8 miliardi in depositi che rappresentavano i risparmi di una vita di
circa 2 milioni di Ecuadoriani i (molti dei quali non li hanno ancora
completamente recuperati). Ciò portò ad un inasprimento delle tensioni sociali
e alla mobilitazione contro gli austeri rimedi in cui i movimenti indigeni
ebbero un ruolo centrale. Fu il vescovo di Riobanda, Leonidas Praño, che con
una prospettiva di Teologia di Liberazione, portò avanti, per alcune decadi, un
processo di politicizzazione e d’organizzazione delle comunità indigene che
condusse alla prima rivolta indigena del 1990. Il movimento è organizzato con
una struttura ad ombrello chiamata CONAIE, Confederación de Nacionalidades
Indígenas dell’Ecuador. All’interno di quest’ampio movimento ci sono
diverse correnti politiche ed ideologiche ma il suo braccio politico è il
Movimento Plurinacional Pachakútik. Ci sono altre strutture con presenza
nazionale come il FENOCIN, Federación Nacional de Organizaciones Campesinas,
Indígenas y Negras, d’orientamento socialista, e il FEINE, Federacíon
Ecuadoriana de Indios Evangélicos. Per il 2000 c’erano tutte le condizioni
per un’enorme esplosione sociale. Sorprendentemente il 21 marzo 2000, l’esercito
e il movimento degli indigeni in una sollevazione che ebbe il supporto dell’80%
della popolazione rovesciò il governo e mantenne il potere per circa 18 ore. La
questione principale era la dollazizzazione dell’economia Ecuadoriana.
Ovunque si guardi in America Latina, esistono condizioni
sociali e politiche simili che creano un contesto in cui è fortemente sentito
il bisogno di dare espressione politica ad un ampio e vario movimento sociale.
Questo è stato il caso del Messico, dell’Ecuador, dell’Argentina e
recentemente della Bolivia e del Perù. .