SCHEDA INFORMATIVA
Ripensare l’illusione. Una prospettiva dalla fine del secolo
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Ripensare l’illusione, l’ultimo libro di Sergio
Garavini, si pone gli interrogativi che emergono nella crisi del comunismo con
un’ispirazione critica che intende non rigettarne ma ripensarne le motivazioni
“nell’ottica della partecipazione, dell’autogoverno, delle gestioni
sociali...Intervenire da questa base per delimitare e condizionare i rapporti
istituzionali, lo Stato”. Una riflessione proposta nel filtro di un’esperienza
vissuta dall’autore in posizioni di primo piano nel movimento sindacale e
nella politica, sempre pienamente libere, come quando è stato fra i pochi
comunisti a contestare nel 1956 l’intervento sovietico in Ungheria e nel 1968
l’espulsione dal PCI degli autori del Manifesto, e quando prese nel 1996 la
decisione di non candidarsi alle elezioni politiche perché non vedeva
chiaramente delinearsi un progetto di cambiamento.
L’autore si domanda quale carattere abbia la crisi di una
sinistra che tuttavia è al governo in tanta parte d’Europa e del mondo,
interpretando però valori e indirizzi che stanno prevalentemente fuori e contro
la sua tradizione: una sinistra che gestisce, non riforma.
Una contraddizione che attraversa il secolo. La sinistra si
è posta ed ha realizzato in tanta parte del mondo l’obiettivo di conquistare
il potere dello Stato e di farne il proprio strumento di riforma sociale, ma
proprio per questo, paradossalmente, è caduta nel fallimento e nella tragedia
del socialismo reale e nella crisi del riformismo socialdemocratico, per poi
piegarsi in una mediazione che può ben dirsi al servizio di una forza economica
chiusa entro limitati interessi precostituiti. Bisogna invece, afferma l’autore,
“fare appello alla soggettività sociale, portarla verso la conquista degli
spazi occupati dalle istituzioni, proiettarla in forme reali di autogestione
sociale e di partecipazione democratica...ridimensionare, non accrescere, l’autorità
e il potere dello Stato in tutte le sue manifestazioni”.
Il testo non si risolve però nel ripetere una denuncia del
fatto, cerca di farsene ragione analizzando le capacità della sinistra di
impostare regole e guida istituzionale che si sono rivelate necessarie per
fronteggiare la selvaggia dirompenza di questa fase del capitalismo, ma nello
stesso tempo sostiene che la sinistra non può restare in questo confine. Di qui
la necessità di ripensare in termini nuovi le idee di uguaglianza e di libertà
che stanno alla radice del movimento operaio.
Pare all’autore che queste idee siano riproposte dallo
stesso successo del capitalismo, dalla sua dimensione globale nel mondo, dall’affacciarsi
su questa scala di un’enorme classe lavoratrice di miliardi di produttori,
considerati solo in quanto consumatori, in diseguaglianze sociali ancora più
profonde che nel passato. Contraddizioni cui corrisponde un travaglio profondo
della cultura, l’esprimersi di una straordinaria creatività umanistica e
scientifica, la tensione artistica che si misura spostando sempre oltre i suoi
limiti, in corrispondenza ma anche in contraddizione con un mondo il cui destino
non si vuole abbia alcuna finalità, con la sola prospettiva di essere parte di
un enorme mercato.
Nel riflettere su questi punti attraverso la propria
esperienza l’autore fa riferimento in particolare al suo ruolo di promotore di
Rifondazione comunista, alle ragioni del suo successivo distacco. E propone
nuovamente un’esigenza rifondativa della sinistra, sollecitando un
ripensamento profondo, una capacità di abitare l’utopia.
L’autore cosciente della “tremenda ragione umana cui
fa appello il capitalismo” comprende il fascino di “un Ulisse avido,
aggressivo, egoista, prevaricatore, modellato solo su profitto e denaro, ma
impegnato personalmente, con se stesso e basta, nell’avventura della vita”.
Ma vorrebbe riaprire la sfida del socialismo che si batte per “un altro
Ulisse, generoso e collettivo, egualitario e idealista”.