L’analisi-inchiesta promossa da Cestes-Proteo ha un
connotato che merita attenzione. Intende realizzare una sorta di simbiosi di due
versanti della ricerca: il versante dei processi materiali, che investono il
sistema capitalistico di produzione, e il versante dei processi immateriali, che
attraversano l’universo della soggettività, dell’identità e della
coscienza collettiva.
Il compito non è di facile attuazione. Per lunga e
consolidata tradizione, nell’area culturale della sinistra i due versanti di
analisi non solo appaiono divaricati, ma anche fortemente squilibrati. In tale
area, i processi materiali vengono studiati in tutti i loro aspetti, mentre i
processi immateriali stentano a conquistarsi la dignità di accesso all’analisi
scientifica. E quando vengono chiamati in causa, non si va oltre un doveroso
riferimento nominalistico.
Il tentativo in corso di coniugare le due facce dell’analisi
è dunque quanto mai opportuno. Facendo parte del gruppo di lavoro, lascio ad
altri la valutazione dei risultati finora raggiunti. Il compito che mi è stato
affidato è ben delimitato: riferire brevemente sui punti salienti dei
contributi che compaiono nell’ultimo volume pubblicato [1], senza la
pretesa di rendere in poche battute lavori di un certo impegno e dando per
scontato il rischio di ridurre a schemi analisi articolate e complesse.
1. Competizione globale e delocalizzazione della produzione
L’analisi parte da una precisazione che è alla base dell’impostazione
delle ricerche promosse da Cestes-Proteo. La cosiddetta globalizzazione
si configura sempre più come competizione globale, che porta alla
delocalizzazione della produzione.
Nel primo contributo [2] vengono individuati gli
eventi politici ed economici che negli ultimi anni hanno modificato gli assetti
del mercato mondiale, provocando forti cambiamenti nelle relazioni
internazionali. C’è intanto da registrare una crescita esponenziale delle
importazioni, delle esportazioni ed in particolare degli investimenti diretti
esteri. Il capitale produttivo e l’investimento finanziario interagiscono
reciprocamente, al fine di disporre della massa-denaro che permetta di
destabilizzare l’economia o meglio di imporre la “stabilità” voluta dai
grandi blocchi geopolitici.
La mutazione profonda del sistema capitalistico di produzione
determinata dalla competizione globale - non ha comportato soltanto modifiche
contabili o nella bilancia dei pagamenti. Ha anche prodotto, in tendenza, una
significativa modifica della composizione di classe (questione trattata
specificamente in un’altra parte del volume).
Su scala nazionale, in Italia il sistema industriale è
dominato dai grandi gruppi dell’industria manifatturiera. Le modalità di
accumulazione si definiscono sempre più nell’ambito dei settori finanziari ai
quali l’investimento industriale si è adattato e sottomesso. Si avvertono
però segnali di un conflitto intercapitalistico per il ritorno al predominio
dell’investimento produttivo.
2. L’internazionalizzazione produttiva in Italia
Un contributo specifico viene dedicato alla
internazionalizzazione produttiva italiana [3]. In passato tale
concetto sottintendeva la crescita dell’impresa in mercati al di fuori dei
confini nazionali. Oggi invece con tale espressione si intende parlare non solo
dello sviluppo di attività all’estero o dell’attività di imprese estere
nel territorio nazionale, ma anche di una attenuazione delle differenze di
modalità operative.
Le forme più semplici di internazionalizzazione sono
costituite dal saldo netto delle esportazioni, da forme di scambio di licenze,
brevetti, marchi e degli investimenti diretti esteri. Va poi considerato un
altro fattore che influenza le varie forme di internazionalizzazione produttiva.
Si tratta dell’innovazione tecnologica e delle spese per ricerca e sviluppo.
Sulla scena della competizione globale l’Italia è decisa
ad avere un ruolo di primo piano. In ciò è avvantaggiata dalle relazione
politiche ed economiche con i paesi dell’Europa dell’Est, in quanto a loro
legata da vincoli storici oltre che dalla contiguità territoriale.
3. Il ruolo dello Stato competitivo
La questione che è al centro del successivo contributo [4] è il ruolo di classe dello Stato. C’è
chi, anche a sinistra, ritiene ormai inutilizzabile la categoria di “comitato
d’affari della borghesia” come chiave di lettura dello Stato. Tuttavia
questa categoria coglie la sostanza del ruolo dello Stato nel sistema politico
ed economico del capitale.
La devastante offensiva antioperaia ha via via liquidato ogni
pretesa di neutralità o di universalità dello Stato del capitale e lo ha
ricondotto alla sua funzione storica. La privatizzazione dei servizi, i tagli
alle spese sociali, la riorganizzazione della previdenza e della sanità, l’organizzazione
apertamente antipopolare del sistema fiscale, corrispondono ad una precisa
funzione dello Stato. Esso deve gestire il continuo trasferimento di ricchezza
dal lavoro alla rendita finanziaria e al profitto.
In questo quadro, le rivendicazioni sociali su cui era stato
costruito lo Stato sociale non hanno più ragione di essere. L’internazionalizzazione
della produzione richiede uno Stato forte e flessibile, in sostanza uno “Stato
competitivo”, capace di stare dentro una competizione che ha come scenario l’intero
globo.
Parlare di competizione globale invece che di globalizzazione
ha un senso. Viviamo infatti in un’epoca in cui la competizione economica e
quella politica tra le economie più forti e/o i principali poli geoeconomici
(Stati Uniti ed Europa soprattutto) tenderà ad accentuarsi più che a comporsi
in un unico “impero” dominato dalle società transnazionali. Oggi infatti la
struttura di dominio internazionale non appare più organizzata sulla base dello
“Stato Nazionale”, ma su poli dentro cui si coordinano vari Stati
tendenzialmente sempre più omogenei sul piano economico, finanziario, monetario
e militare. Ed è errato ritenere che in questo processo gli Stati non abbiano
più una funzione determinante. Lo “Stato comitato d’affari” si è ormai
allargato a livello regionale, ma mantiene pienamente la sua funzione strategica
di sostegno politico ed economico all’accumulazione capitalistica.
3. Una nuova composizione di classe?
Costituzione dei blocchi economici continentali,
trasformazione del ruolo economico del nostro Paese, modifica del ruolo dello
Stato, sono tutti elementi che hanno condizionato i lavoratori nelle loro
espressioni conflittuali e nella loro condizione di lavoro. Da qui la necessità
di osservare l’attuale scenario in relazione alla classe lavoratrice. Si può
parlare di una nuova composizione di classe? A questo interrogativo intende
rispondere il quarto contributo [5]
Non si tratta solo di descrivere i fenomeni della
trasformazione. Non basta dire, per esempio, che aumenta il lavoro autonomo e
che diminuisce quello dipendente. Non basta affermare che aumentano i lavoratori
della conoscenza piuttosto che gli operai di fabbrica. Occorre andare oltre.
In Italia appaiono evidenti ed immediati, in particolare in
questi ultimi venti anni, gli elementi di discontinuità del lavoro. L’applicazione
della informatica, della robotica e direttamente della scienza alla produzione
sta determinando modifiche qualitative e quantitative del lavoro. Sul piano
della qualità vengono trasformati i contenuti del lavoro. Cresce in modo
consistente, nei principali paesi capitalisti, il lavoro della conoscenza. Si
sviluppa il settore terziario, cioè dei servizi, a discapito della produzione
di merci.
Anche se il capitalismo oggi si presenta in forma nuova, non
è cambiato il modo capitalistico dei produzione, non è cambiato il sistema di
sfruttamento. L’attuale passaggio si presenta quindi non come elemento di
discontinuità, ma come un ulteriore sviluppo della società capitalistica.
4. Ridefinizione dell’identità sociale
Fin qui l’analisi si è mossa nell’ambito della sfera
materiale. Ma un processo così articolato e complesso, che investe tutti gli
aspetti della sfera della produzione e del lavoro, è esposto a continui
imprevisti se non ha riscontro nella sfera immateriale e in particolare nell’identità
sociale. Questa considerazione è alla base del quinto contributo [6].
Nell’attuale fase storica, sulla condizione identitaria
delle masse popolari nel nostro paese incidono in modo particolare la
flessibilità del lavoro nella sfera materiale e l’ideologia capitalistica
nella sfera immateriale. Operando contemporaneamente sui due versanti, si tende
ad una ridefinizione dell’identità sociale. I soggetti vengono
chiamati a mettersi in sintonia con le nuove modalità della valorizzazione ed a
percepirle come percorsi della propria realizzazione esistenziale.
Lo sconvolgimento del sistema di ruoli sociali provocato dal
nuovo modo di produrre e di scambiare ha spiazzato una identità sociale ancora
legata al mondo della stabilità del lavoro e del sistema di garanzie. C’è
quindi il rischio che i soggetti vivano la nuova realtà con la testa nel
passato e in una condizione di forte tensione psicologica, che potrebbe tradursi
in antagonismo sociale. Da qui la necessità di riallineare l’identità
sociale con il nuovo sistema di produzione, in modo che i soggetti si
riconoscano nella loro mutata condizione esistenziale, caratterizzata dalla
precarietà.
In questa direzione, un intervento ideologico di particolare
rilievo è puntato sulla percezione collettiva dello smantellamento del sistema
di garanzie che, nel vecchio assetto sociale, presidiava la condizione dei
lavoratori e delle lavoratrici. Tale smantellamento viene presentato come
processo di “modernizzazione”. E chi si oppone a tale operazione viene
presentato come “conservatore”. Nell’immaginario collettivo e in
particolare del popolo di sinistra, che per lunga tradizione si autodefinisce
“progressista” - ritrovarsi nell’area della conservazione provoca un certo
disagio.
In fondo a questo percorso ideologico c’è l’esaltazione
della instabilità del lavoro. La precarietà occupazionale viene presentata non
come degrado sociale, ma anzi come possibilità per i soggetti occupati di
arricchire il proprio bagaglio di esperienze lavorative e per i non occupati di
introdursi nel mondo del lavoro. Per questa via, una rinuncia alle garanzie di
base viene fatta apparire come condizione indispensabile per dare un futuro ai
giovani. Così - mettendo perfidamente i giovani contro gli anziani, i figli
contro i padri - i sacerdoti della ideologia del capitale chiudono a morsa il
cerchio sulla condizione esistenziale di milioni di donne e uomini in carne e
ossa.
6. Soggettività e organizzazione
Il forte arretramento del movimento operaio e dei lavoratori
più in generale ha avuto un effetto sul piano del ruolo dell’organizzazione.
Come è facile capire, una crisi di portata storica non può non rimettere in
discussione anche i modelli organizzativi adottati. Questo problema è al centro
del contributo che chiude il volume [7].
È diffusa la tendenza a cancellare la funzione storicamente
positiva dell’organizzazione sociale. Si tende a contrapporre artificiosamente
la struttura organizzativa alla spinta spontanea dei movimenti, non cogliendo il
nesso stretto tra la nascita dei movimenti e la costruzione dell’organizzazione.
C’è anche da dire che la questione dell’organizzazione non può essere
affrontata solo in termini di “modelli, ma va connessa alla condizione dei
lavoratori nelle relazioni determinate dall’attuale modo di produzione.
D’altra parte, di fronte all’attuale livello di sviluppo
dei mezzi di produzione, i lavoratori, per riconoscersi come soggetti di una
dialettica, di un conflitto sociale, non possono partire solo dalla propria
specifica condizione materiale. Ai fini della costruzione di un movimento
indipendente, non basta quindi fare l’analisi della composizione sociale. A
partire dalla ricerca e dal confronto, bisogna lavorare alla costruzione di una
soggettività indipendente rispetto alla ideologia del capitale.
[1] AA. VV., No/Made
Italy, Roma, Edizioni Media Print, 2001. I saggi che compongono questo volume
verranno citati per autore e titolo, senza altra indicazione.
[2] L. Vasapollo, Il nomadismo
delocalizzato italiano nella competizione globale.
[3] R. Martufi, L’internazionalizzazione
produttiva italiana. Caratteri e dinamiche delocalizzate.
[4] S.
Cararo, Lo Stato competitivo.
[5] M. Casadio, Dall’operaio massa al lavoratore
unico. Una nuova composizione di classe?
[6] F. Viola, L’identità
sociale tra flessibilità del lavoro e ideologia istituzionale.
[7] M. Casadio, La soggettività possibile.