L’ALCA: più che un’area di libero commercio, una ridefinizione del progetto egemonico degli Stati Uniti d’America
Marcos Costa Lima
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Tra i paesi in via di sviluppo, la Cina è quella che vanta
il cambiamento più netto per quanto riguarda la struttura delle esportazioni,
dato che negli anni ‘80 era praticamente chiusa alle esportazioni estere, con
un valore di 18,139 milioni di dollari, per poi passare, nel 2001, a 266,140
milioni di dollari. In quest’anno, i suoi maggiori compratori sono stati l’Asia
Orientale (33,3%), gli Stati Uniti e il Canada (21,7%), seguiti, a livello
minore, dall’Europa (15,8%).
È impressionante il fatto che, nel 1985, la Cina e il
Brasile esportavano nel mercato americano circa 7 miliardi di dollari all’anno,
e che 17 anni dopo, il Brasile esporta 16 miliardi di dollari e la Cina 142
miliardi, senza contare che, solo recentemente, sono stati recuperati i surplus
commerciali del Brasile dovuti alla svalutazione della moneta brasiliana.
Secondo l’ambasciatore Rubens Barbosa, i cinesi subiscono barriere simili a
quelle imposte al Brasile, ma comunque, riusciranno ad aumentare le vendite del
2.500% in questo periodo [1].
Per quanto riguarda le importazioni [2] (Tabella 4), la Germania, la Francia e il Regno Unito hanno
concentrato nel 2001, nei paesi in via di sviluppo, rispettivamente il 73,3%, il
66,5% e il 74,8% del valore totale. In relazione ai paesi di provenienza, la
Germania e la Francia, ricevono rispettivamente il 58,0% e il 57,7% dall’Europa,
mentre il Regno Unito, soprattutto a causa del legame prioritario che ha con gli
Stati Uniti, riceve dal mercato europeo il 52,1% delle sue importazioni. Il
mercato dell’Asia Orientale è cresciuto, come origine delle importazioni,
soprattutto per la Germania (10,1%) e per il Regno Unito (13,3%), e meno per la
Francia (6,0%). La prossimità geografica dei paesi dell’Europa Orientale
gioca un ruolo importante per la Germania, che infatti importa da questi paesi l’11,7%
dei prodotti.
In America Latina, sempre a proposito della struttura delle
importazioni, la presenza di questi paesi è decresciuta tra il 1980 e il 2001,
in particolar modo quella della Germania che è passata, in questo periodo, dal
4,0% all’1,8%. Lo stesso vale per il Giappone. Per quanto riguarda le
importazioni degli Stati Uniti dai paesi provenienti dall’ALCA, sebbene la
percentuale sia minore se comparata alle esportazioni, esse sono considerevoli e
sono aumentate tra il 1980 e il 2001. Questo paese importava dal Canada il 16,6%
del totale dei suoi acquisti internazionali, passando al 18,7% nel 2001. Quindi,
le importazioni degli Stati Uniti dalla regione dell’ALCA, rappresentavano il
31,7% nel 1980 e il 30,0% nel 2001 delle importazioni totali, tanto più che al
che le importazioni provenienti dall’Europa raggiungevano appena il 20,5% nel
2001.
La Cina ha una relazione privilegiata, nel commercio delle
importazioni, soprattutto con l’Asia Orientale, da dove, nel 2001, proveniva
il 43,4% delle importazioni cinesi, seguito dall’Europa con il 19,0%, e da
Stati Uniti e Canada, con il 15,1%
2. Il processo di costituzione dell’ALCA e le interferenze del NAFTA
Nel 1994, al Vertice di Miami, i 34 paesi del continente, ad
eccezione di Cuba, hanno firmato un documento che pretendeva di creare l’Area
di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), a partire dal gennaio 2005 [3]. Dall’inizio degli anni ‘80, la politica estera degli Stati
Uniti si è tradotta nell’imposizione della liberalizzazione del mercato
mondiale. Alla fine dell’Uruguay Round, sull’Accordo Generale delle Tariffe
e del Commercio, nel 1994, le tariffe doganali vennero ridotte con un ritmo
accelerato in tutto il mondo, e venne realizzata una notevole apertura
commerciale nei paesi periferici.
Con l’OMC che fungeva da pilastro della mondializzazione,
attraverso il commercio e le sue nuove esigenze, vennero aperte nuove frontiere
per le grandi corporazioni multinazionali, dove le stesse aree tematiche che
precedentemente venivano considerate dei tabù, ed erano protette dalle
legislazioni nazionali, vale a dire la spesa pubblica, le assicurazioni, l’educazione,
la salute e la previdenza sociale, divennero oggetto dei capitali internazionali
e di commercializzazione, includendo la proprietà intellettuale e il patrimonio
genetico. L’OMC non si è limitato a ridurre o ad abolire le barriere
doganali, ma ha preteso la flessibilità delle leggi nazionali, nel senso di
facilitare il dislocamento dei flussi dei capitali esteri con il fine di
massimizzare le loro redditività e di ampliare le proprie aree di controllo.
L’Accordo Multilaterale sugli Investimenti (AMI), elaborato
dall’OCDE nel 1995, e che è rimasto sigillato fino al 1997, perseguiva
soprattutto due obiettivi, che prevedevano il trasferimento della negoziazione
sull’investimento all’OMC, e la creazione di un ‘ampia zona di
libero commercio’ tra gli USA e l’Unione Europea, battezzata Paternariato
Economico Transatlantico (PET). La proposta dell’AMI è stata definitivamente
accantonata nel dicembre 1998 [4], ma molte delle sue
intenzioni sono presenti nella legislazione del NAFTA e nelle proposte dell’ALCA.
Questa liberalizzazione allargata degli investimenti, in termini regionali,
significa la concessione del “trattamento nazionale” e del “trattamento
della nazione più favorita” per gli investitori stranieri, per tutto ciò che
riguarda lo stabilimento, l’acquisizione, l’espansione, l’amministrazione,
la conduzione, l’operazione e la vendita degli investimenti stranieri. Ciò
include la proibizione delle espropriazioni, la previsione di indennizzi, specie
in caso di ribellioni, convulsioni sociali, etc., e in caso di limitazioni a un
qualsiasi requisito di sviluppo o di profitto per gli investitori stranieri(ad
esempio: l’imposizione di un livello di componenti nazionali in un prodotto,il
trasferimento della tecnologia, generazione dell’impiego, etc.).
Il contenuto dell’AMI [5], è stato quasi
interamente trascritto nell’Articolo 11 sugli investimenti del NAFTA (TLCAN)
[6]. Uno studio dell’Alleanza Sociale Continentale [7], ha constatato che tale capitolo 11 del NAFTA, va oltre qualsiasi altro
accordo o trattato internazionale nel prevedere una serie di diritti e di
protezioni per gli investitori internazionali, con il conseguente deterioramento
delle strutture di sovranità dei paesi. Come era stato previsto dall’AMI, è
proibita qualsiasi misura di disimpegno dalle imprese straniere, in quanto a
volume delle esportazioni, catene di produzione interne, saldo positivo della
bilancia commerciale, trasferimento della tecnologia [8],
localizzazione geografica e ampliamento degli impieghi.
Oggi troviamo l’agenda dell’ALCA in fase avanzata, a
partire dall’ottenimento da parte del governo Bush, dopo l’11 settembre,
dell’avvallo del Congresso per stabilire l’Accordo per un “fast track”
dell’impasse interna che non era stato superata da Clinton.
In buona misura, il processo ALCA contrasta, nell’America
del Sud, gli sforzi per un consolidamento del Mercato Comune del Sud, in una
relazione di forte asimmetria con gli USA, che non hanno mostrato volontà di
reciprocità, tanto rispetto alla forma della Trade Promotion Authority (TPA)
e della Bill Farm, consolidate da questo governo, quanto agli
innumerevoli espedienti di rappresaglia commerciale - doganale - che colpiscono
gli interessi di paesi come il Brasile, che ha una complessa realtà industriale
di cui occuparsi. L’avanzamento dell’agenda dell’ALCA, ci spinge a fare
maggiore chiarezza sul Progetto MERCOSUL, e a una definizione senza sofismi
politici, che impedisca la dissoluzione del Blocco nella configurazione dell’ALCA.
Si deve mettere in risalto, in questo contesto, la dimensione delle asimmetrie
in gioco, dal momento che è noto che l’88% del PIL delle Americhe corrisponde
all’insieme dei paesi del NAFTA. Il restante 12%, appartiene a paesi con gravi
crisi sociali, economiche e politiche, con ridotte possibilità di poter
influire nel processo, ad eccezione del Brasile, dell’Argentina e del
Venezuela. Per questo motivo, si avverte l’ALCA come se fosse un “NAFTA plus”,
con regole ancora più favorevoli agli USA.
Nel capitolo sugli investimenti, il NAFTA include il
“diritto di stabilimento”, che è una garanzia per le compagnie straniere di
avere il diritto di realizzare investimenti non solo nell’ambito della
produzione, ma anche in terre, moneta, e azioni in borsa. È altresì garantito
allo straniero l’accesso al mercato al dettaglio, il che significa mettere in
difficoltà i fabbricanti messicani di beni di consumo, come scarpe, giocattoli,
prodotti alimentari. Oggigiorno, in Messico, la K-Mart e la Wal-Mart sono i
grandi venditori al dettaglio, che comprano, per esempio, in Cina, per rivendere
in Messico, danneggiando i produttori locali. Le maquilas, secondo stime
ufficiali, hanno creato, dal gennaio 1994, 800mila posti di lavoro, ma, allo
stesso tempo, sempre dal gennaio 1994, i posti di lavoro persi nel mercato al
dettaglio e nelle piccole industrie, sono stati all’incirca 2 milioni. Negli
ultimi dieci mesi, il Messico ha perso una gran parte delle sue imprese “maquilladoras”,
ed è molto remota la possibilità di poter inviare i lavoratori messicani a
lavorare negli USA, visto il recente indurimento della legislazione statunitense
in materia di immigrazione [9]
Gli effetti perversi dell’apertura del commercio tra paesi
con struttura industriale, finanziaria e sociale così diversi, erano già stati
annunciati da alcuni casi esemplari messicani. Nel 2002, nello Stato di
Guajanauto, i piccoli agricoltori e allevatori sono scesi in strada per
protestare contro la riduzione delle tariffe del NAFTA, che già minaccia il
settore agricolo del paese. Per i messicani, il settore della piccola produzione
agricola corrisponde al 4% del PIL, e, cosa ancora più importante, la sorte di
10 milioni di persone, circa un quarto della forza lavoro messicana, che ancora
vive della terra. Secondo il Consiglio Nazionale dell’Agricoltura del Messico
(CNA), l’agricoltore messicano riceve 722 dollari annuali di sussidio, mentre
gli agricoltori americani possono ottenere 20.800 dollari all’anno, come parte
della legge che concede 180 miliardi di dollari di sussidio all’agricoltura,
stabilita dalla Bill Farm [10], e approvata all’inizio dell’anno
passato. I grandi produttori nordamericani, avvantaggiati dall’intensa
meccanizzazione, dalle tecnologie e dalle infrastrutture di gran lunga
superiori, già hanno stabilito per il Messico un deficit nel commercio dei
prodotti agricoli, che ha raggiunto i 4,1 miliardi di dollari nel 2001. Questo
è solo un esempio dei tipi di minacce che riguardano paesi tradizionalmente
esportatori di commodities agricole.
[1] Cf. RIOS (1999). TAVARES (1998). GUIMARES (2002). DE
ALMEIDA (2001)
[2] GERGE (1999):
tanto la Francia quanto il Canada hanno abbandonato le negoziazioni, vedi tb.
LEHER (2003)
[3] Vedere
Appendice 2
[4] North American Free Trade Agreement (NAFTA) o
Tratado de Livre Comercio da America do Norte (TLCAN).
[5] ASC. Il progetto dell’ALCA e i
diritti degli investitori nel “TCLAN plus”. In: Estudios sobre el ALCA
, Santiago, Cile:Friedrich Ebert Stiftung n. 14, Giugno 2003
[6] L’Art. 7 del capitolo sugli investimenti vieta espressamente requisiti di
disimpegno, incluso quello che si riferisce al trasferimento delle
conoscenze: “ quando si trasferisce a una persona nel suo territorio,la
tecnologia, un processo produttivo o un’altra conoscenza della sua proprietà,
salvo quando il requisito è imposto da un tribunale giudiziario o
amministrativo, o da un’autorità competente, per riparare a una supposta
violazione della legge in materia di competenza, o per attuare in una maniera
che non sia incompatibile con altre disposizioni di questo Trattato, nessuna
parte può esigere (...) generazione d’impiego, capacità di mano d’opera, o
realizzazione di attività in materia di ricerca e sviluppo”(J.Estay. Op.
cit., p.77)
[7] Cf. COSTA LIMA
(2001)
[8] Cf. SMITH, (2002)
[9] Vedere il caso dell’impresa nordamericana Ethyl
Corporation contro il governo canadese, nell’Appendice1.
[10] Tra le maggiori 500 imprese brasiliane, solo
19 hanno investimenti all’estero.