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Continente rebelde

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Marcos Costa Lima
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Prof.Dr. del Programma di Dottorato in Scienze Politiche dell’Università Federale di Pernambuco-Recife-Brasil. Attualmente compie studi di post-dottorato presso l’Università di Parigi XIII-Villetaneuse

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L’ALCA: più che un’area di libero commercio, una ridefinizione del progetto egemonico degli Stati Uniti d’America

Marcos Costa Lima

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L’ALCA merita valutazioni più dettagliate e segmentate, ma nell’ambito di ampi forum democratici di discussione tra i paesi coinvolti, soprattutto per l’importanza di ciò che è in gioco per il futuro delle nostre società [1]. In questo senso, è da elogiare il plebiscito realizzato e promosso dalla Commissione dei Vescovi del Brasile (09/2002), pur tenendo presente le accuse di eccessiva semplificazione, dovuta all’utilizzo di domande a cui si poteva rispondere solo sì o no. Quella iniziativa mise in luce la necessità di fare in modo che gli argomenti trattati nei nostri forum economici e tra le élites professionali, possano essere divulgati, dibattuti e analizzati dalla popolazione brasiliana. Senza stabilire paragoni troppo generici, basti segnalare le forti critiche che furono indirizzate al processo di consolidamento dell’Unione Europea, sintetizzate nel concetto di deficit democratico, quando gruppi di tecnocrati hanno deciso sistematicamente tra alternative che definiscono i destini di molti paesi, tanto che sono stati provocati movimenti di ritirata, come fu il caso della Danimarca, o poche definizioni plebiscitarie, come quella in Francia e, nel 2003, quella svedese, che ha rimandato l’adesione del paese alla sfera dell’Euro.

Il presidente Bush si trova oggi in una posizione molto curiosa e simile a un racconto antico. Sta cercando di fare in modo che il Brasile si senta escluso, sventagliando il liberalismo pur attuando pratiche fortemente protezioniste. Le rivendicazioni del Brasile tanto nell’ALCA quanto nell’OMC sono esattamente quelle che Bush non può concedere, se vuole essere rieletto nel 2004.

Come afferma chiaramente lo scienziato sociale José Luis Fiori, la maggioranza dei paesi latino-americani non dà più fiducia, visti i precedenti, a un’opzione che, come negli anni ‘90, privilegi politiche neoliberali, e oggi cerca -con difficoltà- di intraprendere nuovi percorsi economici. “Ma non esiste ancora una coscienza chiara né un consenso che questo mutamento di rotta comporti necessariamente una ridefinizione della politica estera del continente”.

Le nuove politiche estere di Brasile e Argentina [2] dimostrano di essere coscienti di ciò che rappresenta per la regione questa nuova “diplomazia della globalizzazione impositiva” del presidente Bush. Di certo non si tratta di un confronto facile. Ciononostante, il costo di non affrontarlo è molto maggiore, perché l’approfondirsi di un modello che ha provocato regresso sociale, industriale e instabilità crescente
 e l’Argentina, su questo, è esemplare [3]- non è un’alternativa ma un’aggravante: da ciò è in gioco la sovranità di questi paesi.

Se, come dice Fiori [4], “ciò che si vede è un’affermazione di una nuova politica estera, attiva, presente, basata sull’interesse nazionale brasiliano, sull’affinità storica e territoriale del Brasile col resto dell’America del Sud, e sulla sua affinità di interessi con i “grandi” paesi in via di sviluppo”, tuttavia, riguardo alla politica interna, il governo Lula è ampiamente in debito, perché ha dato seguito all’eredità maledetta [5] dell’FHC, approfondendo le politiche monetarie e le misure macroeconomiche di stampo neoliberale.

Concordiamo con Fiori anche quando afferma che il terreno delle prossime dispute e divergenze economiche tra gli Stati Uniti e il Brasile sarà soprattutto nell’ambito delle negoziazioni dell’OMC, del FMI e dell’ALCA. Chiariamo, d’altra parte, che né il Brasile né il Mercosur riusciranno a uscire dall’impasse che le proprie politiche neoliberali hanno creato, senza rivedere concetti astrusi introdotti dal FMI, come, ad esempio, la normativa che impedisce a questi paesi di realizzare investimenti pubblici nel settore energetico, nel settore edilizio e delle infrastrutture, impedendo la realizzazione di un surplus primario. Non è difficile immaginare che dall’azione congiunta del Brasile con, soprattutto, Argentina e Venezuela, saranno decise le sorti dell’America del Sud per i prossimi vent’anni:sarà una regione con un progetto di civilizzazione o, al contrario, una regione delle barbarie.

Vale la pena di sottolineare che il Brasile è un paese che si differenzia dagli altri paesi della regione per dimensioni, popolazione, struttura industriale, grado di urbanizzazione, e dove, allo stesso tempo, si approfondiscono le disuguaglianze al crescere delle politiche neoliberali, anche se si riducono i livelli di pratiche politiche oligarchiche tradizionali, si amplia l’alfabetizzazione e, pertanto, i livelli di rivendicazione. In questo senso, una volontà politica nazionale di realizzare attivamente una politica industriale, non sarà una contraddizione per una realtà così complessa come quella brasiliana, che può galvanizzare tutto l’emisfero Sud dell’America. Poiché, come dice pertinentemente Fiori [6], è anche all’interno delle frontiere che si generano e si accumulano le risorse capaci di alterare la distribuzione del reddito, della ricchezza e della correlata distribuzione del potere tra le classi. A parere di questo scienziato sociale, può essere utile esaminare l’ipotesi secondo la quale il governo Lula potrebbe varare, in luogo del concetto vago di “post-neoliberalismo”, un progetto di recupero e di ridefinizione di una “via nazionale allo sviluppo”, senza quell’autoritarismo politico e anti-sociale che ha marcato la maggior parte della storia brasiliana. Il problema, ora visto da una prospettiva mercosuriana che si fortifica, è che se, da un lato, questa via è stata già tentata ed è fallita, dall’altro il capitalismo non viveva, all’epoca, la sua “esuberanza finanziaria”.

La crescente defezione in seguito al cammino tracciato dal governo Lula nel 2003 ha provocato un intenso e proficuo dibattito all’interno della sinistra brasiliana, che sta cercando di decifrare l’enigma simbolizzato con il paragone tra la sinistra e un ornitorinco, formulato da Francisco Oliveira [7] che imputa ai dirigenti del PT l’abbandono di una prospettiva socialista e un’adesione al sistema capitalista, attraverso la grande esperienza di dirigere i Fondi Pensione pubblici del Petrobràs, Eletrobràs o del Banco do Brasil.

Secondo Emir Sader [8], il PT, nella sua strategia, soffre per non aver costruito una sua propria teoria e per non aver progettato una via d’uscita dal liberlasimo: gli manca una produzione teorica capace di elaborare una società post-neoliberale. José Luis Fiori ribatte che questa non è una questione che riguarda solo il PT, e neanche la sinistra latino- americana, ma la sinistra mondiale. In ogni modo il PT è oggi un partito che si appoggia a forze considerate “post-captaliste”(?), “post-moderne”(?), adeguandosi al gruppo degli “ornitorinchi”. Ma, per attraente che sia la tentazione di restare al potere, alcune posizioni interne al Partito, già ipotizzano una scissione, perché un partito che costruisce la sua immagine nella lotta per le riforme sociali e per l’emancipazione dei lavoratori non potrà, al cristallizzarsi della pratica di governo, mantenere per lungo tempo una tale dissociazione dai propri principi costitutivi.

Ma, secondo Fiori [9], questa è una questione che attraversa la storia dei movimenti socialisti e della storia mondiale su ciò che vuole essere una “gestione di sinistra” o socialista del capitalismo che mai è stata consensuale. Le risposte date dai governi di sinistra sono state diverse nel corso del XX secolo. Il fallimento politico delle esperienze di Allende e di Mitterand, la graduale adesione dei socialisti ad una gestione neoliberale del capitalismo e l’abbandono progressivo delle tesi su un “capitalismo organizzato”, hanno contribuito allo sconcerto generale e alle defezioni politiche. Avanza una critica, formulata a sinistra, secondo la quale i tentativi di conquista degli stati nazionali sono inutili, poiché, al livello avanzato che si incontra nella mondializzazione, sarà impossibile conciliare una prospettiva di gestione progressista del capitalismo67. In questa vacua produzione di sinistra, sorgono, come fatto nuovo, i movimenti alter-mondialisti che, condividendo una pluralità teorica prepondetemente anti-capitalista, non ha solo incorporato nuovi temi all’agenda di sinistra, ma, soprattutto, ha rilevato nuove critiche allo status-quo.

Concludendo, queste considerazioni evidenziano soltanto la necessità di approfondire teoricamente le alternative che si collocano nell’ambito della sinistra, tanto quella latino-americana quanto quella mondiale. Nello spazio della politica economica dell’America Latina, falliscono i modelli derivati da Bretton Woods e dall’egemonia nord-americana sulla regione, tanto più che da tempo si è affermata una nuova dinamica, nuove condizioni che si presentano, di fatto, vantaggiose per il congiunto della popolazione latino-americana e caraibica che vive del suo lavoro, contro la pratica corrente (sia di governi autoritari che di governi pretestuosamente democratici) di compromettersi con il grande capitale e di sottomettersi ai capricci e ai dettami di Washington.

APPENDICE 1

Caso ETHYL vs. Governo del Canada

Un caso recente che evidenzia la gravità di questa clausola (a pag. 10, N.d.T.) è quello dell’impresa ETHYL vs. Canada. L’ETHYL è una compagnia chimica con sede in Virginia che ha una lunga e controversa storia, poiché dal 1922 cominciò a produrre piombo di tetraetile, un additivo usato per arricchire col piombo la benzina, in modo da aumentare l’efficienza del motore. Poco dopo aver cominciato la produzione, molti lavoratori della fabbrica del New Jersey hanno cominciato ad avere allucinazioni e convulsioni acute. Più tardi, cinque di questi lavoratori morirono. Solo 50’anni più tardi il governo degli Stati Uniti ha deciso di eliminare il piombo dalla benzina. Numerosi studi dimostrarono che le fughe e la diffusione del piombo da benzina stavano contaminando il suolo e le acque e che stavano penetrando nella catena alimentare. Il piombo da tubo di scappamento delle automobili provocava danni allo sviluppo neurologico.

Negli anni ‘50, la ETHYL Corporation sviluppò un nuovo additivo per la benzina, chiamato ethylcyclopentadyenilmanganese tricarbonile (MMT), anche questo per migliorare le prestazioni del motore. L’MMT contiene manganese, che provoca danni neurologici. Una formula concentrata dell’MMT è prodotta negli Stati Uniti, viene poi importata nel Canada da una sussidiaria canadese della ETHYL, viene diluita in una fabbrica in Ontario e venduta alle raffinerie di benzina canadese.

Nel 1997, l’MMT fu bandito dall’uso nella benzina senza piombo in California, che ha leggi proprie in materia, e dall’Agenzia Americana di Protezione ambientale (EPA) a causa di preoccupazioni ambientali e di salute pubblica. Per quanto si sapesse poco sui pericoli specifici dovuti alle particelle di manganese emesse dai tubi di scappamento delle automobili che usavano MMT, i pericoli dovuti all’inalazione del manganese già erano conosciuti dal XIX secolo. Il manganese trasportato dall’aria fu individuato come causa di danni neurologici che danno luogo a sintomi simili a quelli del morbo di Parkinson, nei lavoratori delle miniere di manganese. Una serie di studi occupazionali sugli operai di una fabbrica di batterie, lavoratori nel settore siderurgico e altri lavoratori, condotta negli anni ‘90, fu caratterizzata per la rilevanza di una “ineguale evidenza di livelli di neurotossicità” associata all’esposizione al manganese disperso nell’aria. Di conseguenza il Parlamento Canadese impose un’interdizione sull’importazione e sul trasporto inter-statale di MMT, nell’Aprile del 1997. Siccome l’MMT era prodotto soltanto negli Stati Uniti, tale interdizione, di fatto, portò al ritiro totale dell’MMT dalla benzina canadese. Il Canada aveva adottato questa misura per varie ragioni sia perché stava lavorando per diminuire i livelli di emissioni inquinanti delle autovetture, e sia perché secondo i fabbricanti di automobili, che potevano raccomandare o meno l’uso dell’MMT, il prodotto pregiudicava il funzionamento appropriato dei catalizzatori (catalytic converters) e di altri equipaggiamenti che aiutano a controllare le emissioni dei motori. Il governo canadese era cosciente del fatto che un uso continuativo dell’MMT poteva pregiudicare i suoi sforzi per controllare la pulizia dell’aria e che, per di più, poteva contribuire alla formazione dei gas serra, causa del surriscaldamento globale. Inoltre, era convinto dei potenziali effetti sulla salute causati dall’esposizione dei lavoratori e della popolazione a particelle di manganese disperse nell’aria, via MMT. Anche se i pericoli potenziali per la salute umana non sono del tutto conosciuti, il Canada ha agito preventivamente, come hanno agito la California e l’EPA negli Stati Uniti, in attesa di avere maggiori informazioni a disposizione.

Il 10 Settembre 1996, mentre il provvedimento di interdizione veniva dibattuto nel parlamento canadese, la ETHYL Corporation notificò al governo del Canada che, se quest’ultimo avesse varato restrizioni alla circolazione dell’MMT, avrebbe avviato un processo di indennizzazione, facendo riferimento al capitolo sugli investimenti del NAFTA. Il Parlamento ignorò queste minacce e approvò l’interdizione nell’Aprile del 1997. Nello stesso mese, l’ETHYL aprì il processo, basandosi sul Capitolo 11 del NAFTA (investor-to-state), contro il governo canadese, chiedendo un indennizzo di 251 milioni di dollari per danni. L’ETHYL argomentò che il NAFTA garantiva i suoi diritti e privilegi di fronte al governo canadese e che l’interdizione dell’MMT risultava essere un’espropriazione dei suoi attivi, il che è proibito dall’Art. 1110 del Trattato di Libero Commercio. Inoltre, l’ETHYL argomentò che l’interdizione era una violazione dell’Art. 1102, che riguarda il “trattamento nazionale” per gli investitori stranieri, per il quale possono essere bloccate le importazioni ma non la produzione locale di MMT. Infine, l’impresa argomentò che l’interdizione violava l’Art. 1106 del NAFTA, per il quale si richiedeva alla ETHYL di costruire una fabbrica in ogni provincia del Canada per adeguarsi all’interdizione dei trasporti e per fare investimenti di MMT in Canada.

Fu costituito un tribunale del NAFTA per aprire il caso ETHYL. Inizialmente, il governo canadese contestò la legittimità del processo 68: Il 24 Giugno 1998 il tribunale del NAFTA respinse la mozione canadese aprendo la strada alla continuazione del processo. Dopo questa fase iniziale, il governo del Canada decise di patteggiare un accordo con la ETHYL.Il 20 Giugno 1998 il Canada revocò l’interdizione del MMT, pagò 13 milioni di dollari per spese legali e danni alla ETHYL Corporation, ed ebbe l’obbligo di fare una dichiarazione in cui si affermava che “l’informazione scientifica corrente” non dimostra la tossicità del MMT né che l’MMT pregiudica il funzionamento dei sistemi diagnostici delle automobili.

L’argomentazione della ETHYL per la quale le restrizioni al MMT “espropriavano” gli investimenti della compagnia e la decisione del tribunale del NAFTA di non accettare il ricorso del Canada e di proseguire sul merito della questione, ha costituito un nuovo limite significativo e potenzialmente pericoloso all’esercizio di funzioni di base del governo. I governi devono poter regolare la commercializzazione di un prodotto per ragioni di protezione ambientale e di salute pubblica senza dover pagare una compagnia che importa quella sostanza. Effettivamente il caso stabilisce un’ulteriore tutela nei confronti degli investitori nel NAFTA, oltre a quelle già riconosciute dalle leggi degli Stati Uniti.

Minacciando di intentare un processo in ambito NAFTA prima che la legge fosse approvata e burlandosi delle procedure per contestare una legge o un regolamento, la ETHYL ha perpetrato una minaccia di danni monetari futuri sulla testa dei legislatori. Da quando il Parlamento Canadese ha ceduto alle pressioni, il numero delle minacce di contestazioni commerciali da parte delle imprese stanno aumentando. Il registro di minacce simili in ambito OMC mostra che queste possono avere un effetto deleterio sulle future politiche di interesse pubblico che stanno per essere studiate dal governo, e frequentemente risultano atti di difesa anticipati da parte dei governi, che cambiano una politica per evitare una contestazione commerciale, come ha fatto il Canada in questo caso.


[1] “In un anno il Prodotto Interno Lordo è calato del 6,13%. Nel corso del primo semestre 2002, l’attività del settore manifatturiero (tutti i beni inclusi) è ribassata del 22,8% e quella dell’edilizia del 41,5%. Un organismo ufficiale, l’IPC, fece la previsione che la quota dei salari sarebbe cresciuta del 25% nel 2002. (...) Al Giugno 2002, fu riconosciuto che il 52% degli argentini vivevano sotto la soglia della povertà e, poco meno della metà di questi, in stato di indigenza.” In CHESNAIS, F. e DIVES , J.P. (2002), p. 196

[2] In FIORI (2003a)

[3] COSTA LIMA (2003a) A herança maldita de FHC.Testo presentato nel marzo 2003 al Center for Development Studies dell’Università di Wales-Swansea, Gran Bretagna

[4] FIORI (2003a)

[5] In: CARIELO (2003)

[6] In FIORI (2003a)

[7] FIORI (2003a)

[8] Così si può intendere il fenomeno della “radicalizzazione” francese nelle ultime elezioni presidenziali (2002), con l’eliminazione al primo turno di Leonel Jospin, candidato socialista, e del gran risultato ottenuto dalla candidata trotskista Arlette Laguilier.

[9] Reclamando che l’interdizione non era una “misura” coperta dal Capitolo 11 del NAFTA, e che la ETHYL non aveva aspettato i sei mesi dal momento dell’approvazione e dell’implementazione della legge, richiesti per aprire una contestazione giuridica. In: Public Citizen’s Trade Watch.