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7 Dicembre 1999. Presentata in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l’“Istituzione del Reddito Sociale Minimo (rsm)”

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7 Dicembre 1999. Presentata in Parlamento la proposta di legge di iniziativa popolare per l’“Istituzione del Reddito Sociale Minimo (rsm)”

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1. Il primo comma dell’art.23 della Dichiarazione universale di diritti dell’uomo, di cui si è da non molto celebrato il cinquantesimo anno, prevede che “ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione”.

Ci troviamo, invece, ormai da circa venti anni in un forte processo di finanziarizzazione dell’economia, spiegabile non soltanto da fenomeni di ristrutturazione e riconversione, che sta mutando lo stesso modo di presentarsi del modello di sviluppo capitalistico. Tali processi di globalizzazione a connotati finanziari perseguono semplicemente la loro logica interna tendente alla massimizzazione dei profitti complessivi, attraverso incrementi di dividendi, interessi e capital gain, a scapito dell’occupazione e delle condizioni di vita di tutti i lavoratori, occupati e non.

Oggi è in atto un processo di intensa ridefinizione delle aree di influenza delle diverse componenti del “capitalismo reale”. Comunque, qualunque sia il modello di capitalismo di riferimento questo è basato sull’esaltazione del libero mercato, anche se in forme differenziate, proiettato sulle performances del capitale finanziario. Ma è proprio il capitale finanziario, attraverso i suoi flussi e la sua sintesi monetaria che, puntando all’ottenimento del profitto a migliori condizioni, esporta nello stesso tempo le contraddizioni del modello capitalistico complessivo.

Si tratta di una modalità dello sviluppo fondato su nuovi modelli decisori liberisti che puntano su investimenti finanziari scollegati dall’evoluzione dei processi produttivi reali e che seguono esclusivamente una logica speculativa, attuando percorsi contrapposti agli interessi collettivi. In tal modo si sono determinate le condizioni di una finanziarizzazione dell’economia che determina contrazione degli investimenti produttivi, percorsi negativi dell’economia reale, provocando così alta disoccupazione strutturale e incremento dei costi sociali in genere.

Questo è il vero significato della globalizzazione; cioè una particolare fase di ristrutturazione e ridefinizione del modello capitalistico internazionale che vede anche in Italia il diffondersi di mutamenti nelle dinamiche evolutive dello sviluppo sociale, politico ed economico.

Infatti nel nostro Paese l’attuale assetto politico e i progetti di riforma del Welfare State, del sistema elettorale, della forma di Stato, della Costituzione, trovano il loro punto di riferimento sul piano della ristrutturazione produttiva legata alle prospettive del modello di sviluppo neo-liberista. E’ in tale contesto che lo Stato sociale si trasforma in Stato-Impresa, che assume come centrale la logica di mercato, la salvaguardia e l’incremento del profitto, trasforma i diritti sociali in elargizioni di beneficenza. Si realizza così il passaggio definitivo dallo Stato sociale della cittadinanza al Profit State del consociativismo neo-liberista! Modello, questo, basato come sempre sull’intensificazione dei processi di accumulazione, poi sulle riforme istituzionali in modo da piegare i nuovi bisogni sociali alle esigenze di conservazione politica e di compatibilità con i processi di ristrutturazione d’impresa, e più in generale del capitale.

Il risultato più immediato è l’aumento della disoccupazione che si va trasformando in strutturale, incrementando la schiera dei precari, dei marginali, degli emarginati, della “disoccupazione occulta”, i disoccupati non ufficiali, precarizzando la qualità della vita di chi con tale sistema non riesce ad emergere ed arricchirsi, rendendo così marginali ed emarginati non solo le soggettualità del lavoro negato ma anche schiere sempre più folte di soggetti economici del lavoro; si pensi ai lavoratori del pubblico impiego, agli artigiani, ai piccoli commercianti, ai lavoratori precari, ai sottoccupati, alle sempre più folte masse di disoccupati palesi, o più o meno invisibili, fino a giungere alle aree sempre più fitte di espulsione e completa emarginazione produttiva, reddituale e sociale.

E’ allora il territorio il centro verso il quale far convergere una parte rilevante degli interessi della collettività, della classe, delle nuove soggettualità che operano in un’impresa diffusa socialmente nel sistema territoriale, nuovi soggetti che si ricompongono ad unità su un corpo organizzato, come una totalità di parti interagenti, che si danno una certa caratterizzazione sociale perché derivano da una certa caratterizzazione produttiva della riconversione neoliberista, del modo di produrre e di proporre socialmente la centralità dell’impresa, del profitto, del mercato.

E’ in tale chiave che vanno lette le relazioni di coercizione comportamentale complessiva che si instaurano tra impresa capitalistica, lavoratori come l’insieme di occupati e disoccupati, e popolazione direttamente o indirettamente legata alla “nuova impresa a diffusione sociale nel territorio”, determinando una specifica forzata capacità autocontenitiva in relazione a domanda e offerta di lavoro realizzata tramite marginalizzazione, precarizzazione ed espulsione dei soggetti economici e produttivi non compatibili. Si tratta nella maggior parte dei casi di disoccupati nuovi e di ex lavoratori dipendenti di fatto precarizzati, non più garantiti nella continuità del lavoro, espulsi dall’impresa madre e assoggettati a una nuova forma di lavoro a cottimo, fuori dalle garanzie normative e retribuite del lavoro dipendente. Si tratta spesso di nuove forme di lavoro subordinato, privo di normativa, un supersfruttamento a cottimo, con la mancanza assoluta di garanzie retributive, normative, sociali e assicurative.

Si è in una fase di passaggio epocale nella trasformazione delle modalità di sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui si stanno velocemente affacciando sulla scena economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà e quindi nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione e organizzazione del dissenso sociale. E’ quindi a partire dalle nuove soggettualità del conflitto sociale che si può riorganizzare l’unità di interessi del mondo del lavoro, la solidarietà e la forza che negli anni ’60 e ’70 la classe operaia si era data a partire dall’organizzazione in fabbrica. Per far ciò bisogna saper coniugare un forte, rinnovato e antagonista sindacalismo del lavoro ad un nuovo, e altrettanto antagonista, sindacalismo del territorio. Al centro dell’iniziativa politica e sociale devono ritornare le associazioni di base, i comitati di quartiere, le forme organizzate del dissenso nel territorio, il sindacalismo di classe, cioè l’insieme di quelle organizzazioni del lavoro e del lavoro negato che non scelgono il consociativismo, ma che anzi sappiano porre come immediato il problema del potere attraverso la distribuzione sociale del valore e della ricchezza complessivamente prodotta, riassumendo nel contempo i nuovi soggetti della trasformazione sociale, le nuove povertà, le fasce deboli della popolazione, come definizione di una ricca risorsa dell’antagonismo sociale.

Oggi è possibile voltare pagina definitivamente nelle scelte di politica economica e di politica industriale, perché le innovazioni tecnologiche permettono una più alta produttività di impresa che deriva esclusivamente dall’incremento di produttività del lavoro. Incrementi di produttività che sono quindi ricchezza sociale nel suo complesso; e perciò che tali incrementi di produttività devono essere finalizzati al miglioramento della qualità del lavoro, della qualità della vita, a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro, e alla redistribuzione degli aumenti di produttività al fattore lavoro, e quindi ai disoccupati, e non solo ai profitti come è avvenuto in particolare in questi ultimi venti anni.

2. Attraverso l’istituzione del Reddito Sociale Minimo alla deriva neoliberista intendiamo contrapporre alcuni limiti: il lavoratore disoccupato che si affaccia sul mercato del lavoro non deve essere “disponibile a tutto”, assolutamente ricattabile, ma deve essere un soggetto titolare di diritti e di una base reddituale dignitosa (costituita sia da una attribuzione diretta di reddito che dall’accesso a tariffe sociali per la fruizione dei servizi essenziali); la sua mancanza di lavoro non deve costituire un elemento di contrapposizione nei confronti di chi è occupato, in una spirale perennemente al ribasso, e tutta a favore dei soggetti economicamente più potenti.

La previsione di un Reddito Sociale Minimo (RSM) vuole contrapporsi alla dissoluzione dello Stato sociale proponendo già da subito la riqualificazione di tutti gli strumenti di protezione sociale e l’aumento dei livelli delle pensioni sociali e minime, unificando e rilanciando l’iniziativa dei nuovi soggetti del lavoro, del non lavoro, del lavoro negato, dai disoccupati, ai precari, ai pensionati, rafforzando nel contempo la capacità contrattuale della forza lavoro occupata. Una prospettiva di iniziativa complessiva, una campagna di opinione, di lotta, un appello all’Europa sociale del lavoro per rivendicare il diritto al Reddito Sociale Minimo per i disoccupati, gli inoccupati, i lavoratori precari, i pensionati sociali e al minimo, i sottoccupati e sottopagati (si pensi che a fronte dei 18 milioni di disoccupati presenti in Europa dichiarati dalle statistiche ufficiali si contano, considerando le varie forme di disoccupazione invisibile, oltre 32 milioni di disoccupati e sottoccupati effettivi).

Un diritto di civiltà e un diritto alla conflittualità contro un capitalismo sempre più selvaggio; è per questo che su tale diritto individuato con il nome di Reddito Sociale Minimo, il Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) e la rivista PROTEO, insieme all’Associazione Progetto Diritti, all’Unione Popolare e al Centro Sociale Intifada e a decine di sigle dell’associazionismo di base che hanno dato vita al Comitato Promotore Nazionale per il Reddito Sociale Minimo, hanno lanciato una battaglia culturale, politica e sociale, che vuole avere dimensioni europee, a partire da una proposta di legge di iniziativa popolare.

Tale intervento va attuato attraverso nuove scelte di politica fiscale, che colpiscano innanzitutto le tante aree esistenti di elusione ed evasione.

Davanti ai dati statistici che segnalano in tutta Europa una riduzione del reddito complessivo e una compressione del potere d’acquisto salariale anche attraverso il massiccio ricorso alla flessibilità, alla precarizzazione, alla sottoccupazione, al lavoro nero o sottopagato e all’annullamento totale o parziale dei diritti sindacali acquisiti, la proposta invece della istituzione del Reddito Sociale Minimo vuole unire tutti i lavoratori, occupati e non, ridando voce e speranza ai marginali della società, lanciando un’ipotesi di redistribuzione della ricchezza, socializzando l’accumulazione del capitale, dovuta prevalentemente ai processi di finanziarizzazione, attraverso forme reali e incisive di tassazione dei capitali.

Peraltro riteniamo che l’ingresso del nostro paese nell’Unione Europa e nell’area della moneta unica deve comportare l’introduzione in Italia di istituti di sicurezza sociale già operanti in altre parti del nostro continente. E’ per questo che oggi va riproposta una battaglia europea dell’intera classe dei lavoratori, occupati e non occupati, garantiti e non, come momento centrale della iniziativa legata alla riproposizione verticale dei conflitti sociali a partire dalla distribuzione sociale dell’accumulazione del capitale determinata da forme sempre più sofisticate di sfruttamento del lavoro, da quegli incrementi di produttività, che in ultima analisi altro non sono che ricchezza sociale generale complessivamente prodotta. Si propone così una iniziativa politica a livello europeo sulla salvaguardia e rivendicazione di distribuzione a tutti i lavoratori, occupati e non, dell’intero spettante salario sociale prodotto come classe, tralasciando le richieste corporative basate sul salario individuale e sulle forme di elargizione caritatevole di “soccorso agli esclusi”. La costruzione di un’Europa del lavoro e delle socio-compatibilità solidali ha bisogno di ridistribuire reddito e ricchezza attraverso un fisco che aumenti la massa dei contribuenti, contraendo l’evasione e l’elusione fiscale e contributiva, colpendo i capitali speculativi e non, i movimenti di capitale all’estero, tassando l’innovazione tecnologica. E’ in ambito di un programma per un’Europa del lavoro che vanno recuperati in termini redistributivi gli immensi incrementi di produttività che si sono realizzati in particolare in questi due ultimi decenni, rivendicando da subito una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario reale, ponendo le basi per creare nuova occupazione a partire da lavori a compatibilità sociale e ambientale e di pubblica utilità con pieni diritti e piena retribuzione, rafforzando nel contempo il Welfare State tramite incrementi delle entrate del bilancio pubblico determinate dalla tassazione dei capitali, in modo da poter inserire nella spesa sociale anche un Reddito Sociale Minimo europeo da distribuire ai disoccupati, ai precari, ai marginali.

3. L’articolato legislativo proposto prevede un importo del Reddito Sociale Minimo di lire dodici milioni annui (non soggetti a tassazione); i requisiti per l’accesso prevedono la regolare residenza nel nostro Paese da almeno due anni, l’iscrizione alle liste di collocamento da almeno un anno, reddito imponibile annuo percepito non superiore a 5 milioni, e appartenenza a nucleo familiare con reddito imponibile annuo non superiore a 35 milioni. L’importo sopra indicato va rivalutato annualmente in base agli indici ISTAT; è prevista inoltre la riduzione del cinquanta per cento dell’importo nell’ipotesi di svolgimento di attività lavorative che comunque producono un reddito inferiore all’ammontare del reddito minimo e la decadenza dal percepimento dello stesso nell’ipotesi in cui si ottenga un lavoro a tempo pieno; ciò permette di rivolgere tale istituto non solo ai disoccupati ma anche a coloro che svolgono lavoro precario, sottopagato o che hanno forme di sottoccupazione. Il periodo di fruizione del RSM deve essere calcolato ai fini pensionistici e prevede inoltre in favore di soggetti titolari del Reddito Sociale Minimo forme di reddito indiretto e differito attraverso l’accesso gratuito ai servizi fondamentali (trasporti urbani, servizio sanitario, studi, ecc.) e il dimezzamento dei costi delle utenze relative alle forniture di gas, luce, acqua, telefono, rifiuti, oltre a un canone sociale per l’utilizzo degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Si è calcolato che le risorse necessarie per le spese conseguenti all’introduzione della nuova normativa ammonteranno a circa cinquantamila miliardi di lire annui che andranno reperite esclusivamente attraverso varie forme di tassazione sui capitali. Un terreno, infatti, immediatamente praticabile è quello di applicare una efficace imposta patrimoniale, di colpire le rendite finanziarie e i grandi patrimoni, di tassare realmente e uniformemente i guadagni in conto capitale (capital gain), di ridurre le agevolazioni verso le imprese; si può così aumentare la spesa pubblica in modo che questo possa rappresentare un investimento ad alta redditività sociale basato su principi di giustizia fiscale e tributaria, e quindi di giustizia sociale. Si ricorda che attualmente è assente una qualsiasi forma di tassazione sulle transazioni riguardanti prodotti finanziari denominati in valuta estera, senza che siano colpiti in alcun modo i trasferimenti internazionali di capitale, neppure quelli a finalità speculativa.

Si tratta di reperire, quindi, le risorse finanziarie per l’istituzione del Reddito Sociale Minimo non dalla fiscalità generale, ma dalla tassazione dei capitali, anche attraverso una Tobin Tax finalizzata alle prestazioni sociali per la povertà, la disoccupazione, per creare nuovi posti di lavoro a pieno salario e pieni diritti.

Quindi una Tobin Tax, che crei risorse liberate attraverso la tassazione dei trasferimenti di valuta all’estero siano da utilizzare esclusivamente a fini sociali, ambientali, occupazionali e per finanziare forme di Reddito Sociale Minimo per disoccupati, precari e non garantiti.

Riteniamo che la tassazione delle transazioni speculative (si pensi che quotidianamente circa 1.500 miliardi di dollari vengono trasferiti con tali modalità e circa il 90% di tali transazioni hanno durata che non supera i quattro, cinque giorni) se avvenisse anche con aliquote differenziate in funzione della durata dell’operazione, disincentivando fortemente gli investimenti di breve periodo, realizzerebbe diverse centinaia di miliardi di dollari l’anno che la comunità internazionale potrebbe gestire a fini sociali, sanitari, ambientali, di lotta alla povertà e di forte incremento occupazionale, oltre che per finanziare l’istituto del RSM.

Si pensi che anche nel caso in cui venisse applicata una forma di Tobin Tax solo sulle transazioni internazionali di capitale a carattere speculativo, ed applicando un prelievo fiscale minimo, quasi insignificante su ogni transazione, pari allo 0,5 per mille si realizzerebbero circa ogni anno 130 miliardi di dollari, cioè 250.000 miliardi di lire da destinare alla lotta nel mondo contro la disoccupazione, la povertà e le disuguaglianze di ogni genere. Si ricorda che nel 1992 con un’aliquota del 5 per mille sulle transazioni internazionali speculative si sono stimate entrate attraverso la Tobin Tax di circa 500 miliardi di dollari. Oggi si stima che con una tassazione dell’1 per mille si possano realizzare risorse disponibili dalla Tobin Tax di circa 160 miliardi di dollari, cioè circa 300.000 miliardi di lire.

Se poi la tassazione delle transazioni speculative in cambio considerasse una diversificazione dell’aliquota in funzione della durata della transazione colpendo maggiormente quelle a durata inferiore, ipotizzando, a titolo d’esempio, una tassa media del 2 per mille su ogni transazione, si produrrebbero risorse pari a circa a 800 mila miliardi di lire. Se si ipotizza una Tobin Tax al 5 per mille, cioè la stessa ipotesi del 1992, allora oggi si renderebbero disponibili immediatamente nel mondo 700 miliardi di dollari.

Se poi si pensa che tra le ipotesi formulate da Tobin c’era anche quella di una tassa media dell’1% su tutte le transazioni internazionali di capitale a carattere speculativo, e che quindi l’ipotesi formulata in questa proposta di legge sul Reddito Sociale Minimo non è da ritenersi illusoria né esagerata, in quanto prevede l’applicazione di un’aliquota sino al 3% con riferimento alle operazioni aventi durata non superiore ai 7 giorni (si ricorda che il 90% delle transazioni internazionali di capitale a carattere speculativo non supera i 4 giorni), allora si possono ipotizzare nuove entrate fiscali derivanti da questa forma di tassazione dei capitali di circa 3.000 miliardi di dollari nel mondo. Si tratta cioè di circa 6 milioni di miliardi di lire annue liberati con la Tobin Tax. Se poi si accettasse il punto di vista di CESTES-PROTEO relativamente all’ipotesi di allargare la Tobin Tax ad ogni trasferimento di capitale all’estero riguardante tutte le transazioni internazionali di capitale finanziario a carattere speculativo, cioè tenendo conto dell’ammontare impressionante di migliaia di miliardi di dollari che quotidianamente si muovono per finalità speculative in valori mobiliari sui mercati borsistici internazionali, uniformando inoltre a livello internazionale ogni tassazione sui capitali, compresa quella sugli investimenti diretti esteri (IDE), colpendo anche l’innovazione tecnologica che produce decremento di occupazione, si libererebbero risorse di centinaia di migliaia di miliardi in ogni paese a capitalismo avanzato, o meglio dell’area che promuove le logiche della globalizzazione del capitalismo finanziario, da redistribuire ai lavoratori, occupati e non occupati, in forme diverse e comunque a fini di eco-socio compatibilità solidali.

4. In Italia l’obiettivo minimo, praticabile, per riverticalizzare il conflitto capitale-lavoro è allora quello di rafforzare la battaglia, l’iniziativa di dibattito e di lotta, che realizzi la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro sull’intero arco di vita del lavoratore a parità di salario e con controllo dei ritmi e della condensazione del lavoro, realizzando così un milione di posti di lavoro veri a pieno salario e pieni diritti, ripartendo anche da produzioni non mercantili e dalla ridefinizione di uno Stato occupatore; recuperare almeno 50 mila miliardi annui dalla tassazione dei capitali da destinare al Reddito Sociale Minimo per disoccupati e precari.

La proposta non mira ad inserire elementi di “assistenzialismo”, ma si muove nell’ambito delle diverse battaglie per il lavoro, a partire dalla constatazione che le scelte politiche adottate negli ultimi venti anni, e tendenti alla flessibilizzazione e alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, non hanno portato ad un incremento dei livelli occupazionali, ma ad un impoverimento complessivo della classe lavoratrice.

Una battaglia civile europea, in armonia con la previsione della Carta sociale comunitaria, per il lavoro, per la dignità di ogni cittadino: noi firmatari - disoccupati, studenti, casalinghe, pensionati, precari, sottoccupati e provenienti da diverse aree di impegno professionale, politico, culturale e sociale - auspichiamo che attraverso l’approvazione della legge si avvii una nuova stagione di riforme.

 

 

 

COMITATO PROMOTORE NAZIONALE

PER IL REDDITO SOCIALE MINIMOUnione Popolare; Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES); rivista PROTEO; Associazione Progetto Diritti; Centro Sociale Intifada (Roma); Centro Sociale “ICARO” (Terni); Disoccupati storici (Napoli); Osservatorio Meridionale su lavoro e lotte sociali; Collettivo “R. Luxemburg” (Aversa); Comitato a sostegno del R.S.M. di Nocera Inferiore; Giovanni Zungrone, Cons. Comunale di Collegno (Torino); Azione Popolare (Emilia Romagna); Ass.ne Solidarietà Promozione e Sviluppo (Catanzaro); Comitato Metropolitano a sostegno del R.S.M. (Napoli); Circolo di R.C. “Libertini” (NA); Circolo di R. C. di Lucera (FG); Circolo di R.C., Comitato di lotta per il lavoro LPU-LSU , Comitato Ya Basta (Cassino); Giovani Comunisti di Gioia del Colle (BA); Centro Sociale “Metropolis” di Caltagirone (CT); Comitato a sostegno del R.S.M. di Torregrotta (ME), di Augusta (SR), di Taranto,; Cecchinelli Ino Cons. Com. Castelnuovo M. (La Spezia); Punto Rosso (SA); Davide Fabbri (Cons. Comun. di Cesena); Giovani Comunisti di Caltanisetta; Collettivo Chiapas di Rimini; Bergamo, Empoli, Collettivo “Le Radici e le Ali” (UD); Circolo di R.C. (Capua); Circolo di R.C. di Trentola (CE); Ass.ne Culturale “La Strada” (NA).