Il Profit State è il sistema di organizzazione sociale e di
protezione istituzionale del processo di valorizzazione capitalistica. Basta
questa definizione per dare una idea di quanto interesse può suscitare nell’area
della sinistra antagonista il volume di Rita Martufi e Luciano Vasapollo Profit
State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo, Città
del Sole, Napoli, 1999. Il testo è finalizzato ad un programma minimo di
intervento politico. Ma il profilo programmatico è sostenuto da un percorso
analitico che attraversa lo spettro dell’attuale fase post-fordista di
accumulazione flessibile, nelle sue più vistose implicazioni sociali e
politiche.
L’analisi prende l’avvio a partire dalla distinzione fra risorse
tangibili e risorse intangibili. “Si tratta delle componenti
della risorsa umana e della cultura aziendale costituite da
qualifiche professionali, dalla conoscenza, dalla formazione, dalle competenze,
dalla capacità di organizzazione, dalle idee, dalla creatività, dalla cultura
imprenditoriale, dall’immagine aziendale” (pag. 46). Siamo dunque sul
versante immateriale del processo di produzione e di valorizzazione. Ed
è su questo versante che si dislocano molte delle categorie concettuali
utilizzate nell’impianto analitico. Sono portato ad apprezzare in modo
particolare una tale scelta. Perché uno dei miei assilli è proprio quello di
cercare di introdurre nella cultura della sinistra antagonista l’attenzione
agli elementi immateriali, che si intrecciano ai dati materiali delle dinamiche
sociali. E quindi - se mi è consentito un riferimento personale, per quel poco
che può valere - sento questo contributo in sintonia con un mio tentativo
teorico intitolato La società astratta.
Per cominciare, l’informazione, vista come “la risorsa
chiave del capitale intangibile” (p. 46). E’ infatti l’informazione che
consente una gestione sociale complessiva generalizzata dell’impresa. In tal
senso, il fattore comunicazionale è alla base della fabbrica sociale
generalizzata, cioè dell’impresa diffusa socialmente nel territorio.
Molti dei processi sociali in corso - dalla scomposizione delle mansioni alla
precarizzazione - vengono ascritti a una tale connotazione dell’impresa. Ma
non si tratta della sovrapposizione di un dato immateriale alla dinamica del
lavoro. Lo stesso lavoro assume una figura che va oltre la semplice materialità
del processo lavorativo: “Il lavoro immateriale viene inteso come un lavoro
che produce il “contenuto informativo e culturale della merce” (p. 52)”.
La fabbrica sociale generalizzata comporta una trasformazione
profonda del sistema di produzione, che esige flessibilità, intensificazione
dei ritmi e precarizzazione. Da qui l’insorgere di nuove figure della
forza-lavoro, che vengono tenute ai margini del sistema produttivo ufficiale e
private di ogni garanzia contrattuale. In questo quadro “aumentano le diverse
forme del lavoro salariato, palesi o occulte, si selezionano i soggetti più
deboli, meno funzionali e compatibili, e meno consolidati, si ridisegnano i
modelli relazionali sociali tra le aziende e il territorio con un tendenziale rafforzamento
delle logiche di darwinismo sociale. in tale contesto si osserva una
prevalenza delle scelte tipiche del capitalismo selvaggio dove chi non si
integra è espulso, è schiacciato dalle leggi ferree di un mercato sempre più
selettivo” (pp. 72-73). Fra i nuovi soggetti sociali troviamo anche, se
pure con diverse connotazioni, i nuovi lavoratori autonomi, che sono uno degli
esiti più sorprendenti dell’espulsione di manodopera.
Il nuovo impianto della valorizzazione capitalistica non si
reggerebbe a lungo se non potesse contare su “un ruolo del Profit State che
impone alla società una cultura e comportamenti di adattamento attivo alla
competitività del mercato” (p. 74). Il processo a cui qui si fa cenno, di
passaggio, è molto complesso ed è oggetto di ricerche empiriche sui valori
sociali, che sto portando avanti nell’ambito del mio insegnamento
universitario di sociologia. Questo ulteriore riferimento al mio lavoro intende
riaffermare e rendere trasparente l’atteggiamento di empatia con il contributo
di Martufi e Vasapollo.
Il ruolo attivo del Profit State finisce con il travolgere lo
Stato sociale che fino agli anni ’70 ha garantito l’equilibrio tra capitale
e lavoro. Il modello del Welfare State, come sistema di protezione sociale, era
basato su una organizzazione sociale caratterizzata dal lavoro fordista a tempo
indeterminato. Oggi questo modello è scomparso. I costi della protezione
sociale sono incompatibili con l’alta competitività internazionale prodotta
dalla globalizzazione dell’economia.
L’analisi teorica dei processi in corso è supportata,
nella parte centrale del volume, da una riflessione documentata sulle attuali
tendenze del mercato del lavoro e su alcune proposte di riforma. La questione di
fondo riguarda la disoccupazione. La funzione che gli autori attribuiscono alla
disoccupazione è quella classica dell’esercito industriale di riserva, di
marxiana memoria, pure in un contesto di diverse specificazioni, riferite all’attuale
fase del capitalismo: “Oggi la disoccupazione è espressione dell’incapacità
della nuova fase di sviluppo capitalistico di perseguire il pieno impiego, è
espressione di una scelta politica e sociale di mantenere la disoccupazione per
poter determinare attraverso questa il controllo delle dinamiche salariali e
della forza lavoro” (p. 89).
L’analisi dei dati sulla disoccupazione si avvale di
tabelle comparative riferite ai Paesi dell’Unione Europea e conduce ad una
constatazione inequivocabile: “[...] la disoccupazione di fasce sempre più
ampie di popolazione è un problema comune a tutti i più grandi paesi
industrializzati; gli squilibri nella distribuzione del reddito e della
ricchezza, si sono accentuati generando forti situazioni di conflittualità
sociale, anche se non continue a causa di movimenti di opposizione non sempre
all’altezza” (p. 95). Il discorso approda ad un capitolo intitolato alla “disoccupazione
invisibile”, in cui vengono esaminate le forme del lavoro a tempo determinato
e del lavoro nero. Rientrano in questo settore i contratti atipici di lavoro,
quali il contratto di solidarietà, il contatto di formazione-lavoro, i
contratti di inserimento e il lavoro interinale. Forme contrattuali che offrono
alle imprese diversi vantaggi, fra cui la possibilità di utilizzare
forza-lavoro solo in certi periodi e ad un costo inferiore.
Gli autori non si sottraggono al compito di esaminare alcune
proposte di intervento politico antagonista al Profit State, quali la tassazione
dei capitali e il reddito sociale minimo. Su queste proposte la discussione è
ovviamente aperta, magari a partire dalla ricca documentazione che chiude il
volume.