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Filippo Viola
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Professore di Sociologia, Fac. di Sociologia, Univ. “La Sapienza”

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Profit State e processi sociali

Filippo Viola

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Il Profit State è il sistema di organizzazione sociale e di protezione istituzionale del processo di valorizzazione capitalistica. Basta questa definizione per dare una idea di quanto interesse può suscitare nell’area della sinistra antagonista il volume di Rita Martufi e Luciano Vasapollo Profit State, redistribuzione dell’accumulazione e reddito sociale minimo, Città del Sole, Napoli, 1999. Il testo è finalizzato ad un programma minimo di intervento politico. Ma il profilo programmatico è sostenuto da un percorso analitico che attraversa lo spettro dell’attuale fase post-fordista di accumulazione flessibile, nelle sue più vistose implicazioni sociali e politiche.

L’analisi prende l’avvio a partire dalla distinzione fra risorse tangibili e risorse intangibili. Si tratta delle componenti della risorsa umana e della cultura aziendale costituite da qualifiche professionali, dalla conoscenza, dalla formazione, dalle competenze, dalla capacità di organizzazione, dalle idee, dalla creatività, dalla cultura imprenditoriale, dall’immagine aziendale” (pag. 46). Siamo dunque sul versante immateriale del processo di produzione e di valorizzazione. Ed è su questo versante che si dislocano molte delle categorie concettuali utilizzate nell’impianto analitico. Sono portato ad apprezzare in modo particolare una tale scelta. Perché uno dei miei assilli è proprio quello di cercare di introdurre nella cultura della sinistra antagonista l’attenzione agli elementi immateriali, che si intrecciano ai dati materiali delle dinamiche sociali. E quindi - se mi è consentito un riferimento personale, per quel poco che può valere - sento questo contributo in sintonia con un mio tentativo teorico intitolato La società astratta.

Per cominciare, l’informazione, vista come “la risorsa chiave del capitale intangibile” (p. 46). E’ infatti l’informazione che consente una gestione sociale complessiva generalizzata dell’impresa. In tal senso, il fattore comunicazionale è alla base della fabbrica sociale generalizzata, cioè dell’impresa diffusa socialmente nel territorio. Molti dei processi sociali in corso - dalla scomposizione delle mansioni alla precarizzazione - vengono ascritti a una tale connotazione dell’impresa. Ma non si tratta della sovrapposizione di un dato immateriale alla dinamica del lavoro. Lo stesso lavoro assume una figura che va oltre la semplice materialità del processo lavorativo: “Il lavoro immateriale viene inteso come un lavoro che produce il “contenuto informativo e culturale della merce” (p. 52)”.

La fabbrica sociale generalizzata comporta una trasformazione profonda del sistema di produzione, che esige flessibilità, intensificazione dei ritmi e precarizzazione. Da qui l’insorgere di nuove figure della forza-lavoro, che vengono tenute ai margini del sistema produttivo ufficiale e private di ogni garanzia contrattuale. In questo quadro “aumentano le diverse forme del lavoro salariato, palesi o occulte, si selezionano i soggetti più deboli, meno funzionali e compatibili, e meno consolidati, si ridisegnano i modelli relazionali sociali tra le aziende e il territorio con un tendenziale rafforzamento delle logiche di darwinismo sociale. in tale contesto si osserva una prevalenza delle scelte tipiche del capitalismo selvaggio dove chi non si integra è espulso, è schiacciato dalle leggi ferree di un mercato sempre più selettivo” (pp. 72-73). Fra i nuovi soggetti sociali troviamo anche, se pure con diverse connotazioni, i nuovi lavoratori autonomi, che sono uno degli esiti più sorprendenti dell’espulsione di manodopera.

Il nuovo impianto della valorizzazione capitalistica non si reggerebbe a lungo se non potesse contare su “un ruolo del Profit State che impone alla società una cultura e comportamenti di adattamento attivo alla competitività del mercato” (p. 74). Il processo a cui qui si fa cenno, di passaggio, è molto complesso ed è oggetto di ricerche empiriche sui valori sociali, che sto portando avanti nell’ambito del mio insegnamento universitario di sociologia. Questo ulteriore riferimento al mio lavoro intende riaffermare e rendere trasparente l’atteggiamento di empatia con il contributo di Martufi e Vasapollo.

Il ruolo attivo del Profit State finisce con il travolgere lo Stato sociale che fino agli anni ’70 ha garantito l’equilibrio tra capitale e lavoro. Il modello del Welfare State, come sistema di protezione sociale, era basato su una organizzazione sociale caratterizzata dal lavoro fordista a tempo indeterminato. Oggi questo modello è scomparso. I costi della protezione sociale sono incompatibili con l’alta competitività internazionale prodotta dalla globalizzazione dell’economia.

L’analisi teorica dei processi in corso è supportata, nella parte centrale del volume, da una riflessione documentata sulle attuali tendenze del mercato del lavoro e su alcune proposte di riforma. La questione di fondo riguarda la disoccupazione. La funzione che gli autori attribuiscono alla disoccupazione è quella classica dell’esercito industriale di riserva, di marxiana memoria, pure in un contesto di diverse specificazioni, riferite all’attuale fase del capitalismo: “Oggi la disoccupazione è espressione dell’incapacità della nuova fase di sviluppo capitalistico di perseguire il pieno impiego, è espressione di una scelta politica e sociale di mantenere la disoccupazione per poter determinare attraverso questa il controllo delle dinamiche salariali e della forza lavoro” (p. 89).

L’analisi dei dati sulla disoccupazione si avvale di tabelle comparative riferite ai Paesi dell’Unione Europea e conduce ad una constatazione inequivocabile: “[...] la disoccupazione di fasce sempre più ampie di popolazione è un problema comune a tutti i più grandi paesi industrializzati; gli squilibri nella distribuzione del reddito e della ricchezza, si sono accentuati generando forti situazioni di conflittualità sociale, anche se non continue a causa di movimenti di opposizione non sempre all’altezza” (p. 95). Il discorso approda ad un capitolo intitolato alla “disoccupazione invisibile”, in cui vengono esaminate le forme del lavoro a tempo determinato e del lavoro nero. Rientrano in questo settore i contratti atipici di lavoro, quali il contratto di solidarietà, il contatto di formazione-lavoro, i contratti di inserimento e il lavoro interinale. Forme contrattuali che offrono alle imprese diversi vantaggi, fra cui la possibilità di utilizzare forza-lavoro solo in certi periodi e ad un costo inferiore.

Gli autori non si sottraggono al compito di esaminare alcune proposte di intervento politico antagonista al Profit State, quali la tassazione dei capitali e il reddito sociale minimo. Su queste proposte la discussione è ovviamente aperta, magari a partire dalla ricca documentazione che chiude il volume.