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L’analisi-inchiesta

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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Indagine statistico-aziendale sulle privatizzazioni nel modello capitalistico italiano. La via al Profit State europeo
Rita Martufi, Luciano Vasapollo

 

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Indagine statistico-aziendale sulle privatizzazioni nel modello capitalistico italiano. La via al Profit State europeo

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Per un’analisi storica ed un approccio critico alle scelte politico-economiche neoliberiste dei processi di privatizzazione

(SECONDA PARTE).

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E’ previsto che nell’attuare la dismissione il Governo delibererà la creazione di un nocciolo duro di soci che deterranno il 25% del capitale.

L’IRI ha previsto che l’operazione avverrà in una sola fase nella quale dismetterà il 100% della partecipazione in capitale azionario e il 73% di quello privilegiato (quotato in Borsa).

Va ricordato che il 10 Agosto 1998 si è riunita in sede ordinaria e straordinaria l’assemblea della società al fine di approvare la conversione delle azioni privilegiate in ordinarie; in questa occasione il presidente della società Giancarlo Valori ha assicurato che la “tanto attesa privatizzazione(!!)” sarà attuata in tempi brevi e con il rispetto delle regole nazionali ed europee.

 

 

3. Conclusioni. I veri obiettivi delle privatizzazioni

 

Nel secondo semestre del 1997 il Ministero del Tesoro ha gestito le operazioni di dismissione riguardanti la vendita del pacchetto azionario detenuto nella SEAT s.p.a. e quello della Telecom Italia s.p.a. e gli incassi netti sono affluiti al Fondo per l’ammortamento dei Titoli di Stato; il gruppo IRI, invece ha realizzato dal luglio 1992 al 31 dicembre 1997 cessioni per un valore di circa 48.209 miliardi di lire (il 76,1% relativo ad operazioni realizzate direttamente dall’IRI s.p.a.); se a questo importo si aggiungono i debiti finanziari trasferiti (pari a circa 17.695 miliardi di lire) si giunge ad un complessivo valore di circa 65.904 miliardi di lire. (52.792 miliardi di lire dell’IRI s.p.a.).

Il gruppo ENI, infine, dal luglio 1992 al 31 dicembre 1997, ha realizzato cessioni per un valore complessivo di circa 9.348 miliardi di lire (di cui 2.427 miliardi di lire rappresentano il valore dei debiti finanziari trasferiti).

Il 7 Agosto 1998 in un articolo su IL SOLE 24 ORE, dal titolo “Una scelta di successo, ora si deve continuare” del Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, presentando la “Relazione sulle privatizzazioni” relativa al secondo semestre 1997, si sostiene che il Tesoro ha gestito in via diretta la vendita del pacchetto azionario detenuto nella Telecom e nella Seat; complessivamente ciò ha portato nelle casse dell’IRI 24.500 miliardi di lire, e sempre l’IRI ha effettuato dismissioni per 1.840 miliardi di lire mentre il gruppo ENI per 980 miliardi. La quarta tranches dell’ENI ha fruttato oltre 13.000 miliardi di lire e sempre nei primi mesi del 1998 l’IRI ha incassato almeno altri 3.000 miliardi dalle privatizzazioni. Da quanto sostiene il ministro Ciampi in neppure cinque anni (ottobre 1993 ad oggi) le dismissioni complessive effettuate dal Ministero del Tesoro, dall’ENI e dall’IRI superano la astronomica cifra, se confrontata con tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato, di 150.000 miliardi di lire.

Sempre nello stesso articolo si deducono immediatamente quali sono i reali motivi di tale processo di privatizzazione a tappe forzate; infatti diventa un vanto che l’OCSE e tutte le istituzioni finanziarie internazionali, tanto prodighe ad affermare nel mondo un unico modello con al centro le scelte e la cultura neoliberista del Profit State, riconoscano all’Italia il ruolo di paese guida nelle privatizzazioni perseguite con costanza e determinazione negli ultimi quattro, cinque anni. Sembra che tutte le suddette considerazioni siano derivate da principi economici molto semplici. Il sistema finanziario di conseguenza dovrebbe essere specchio fedele delle condizioni del sistema economico, e nella Borsa si dovrebbero leggere le valutazioni del trend economico fornendo una visione sintetica, una foto del sistema-Paese, stringendo in un tutt’uno l’economia reale e l’economia finanziaria. Non vi è infatti avvenimento che direttamente o indirettamente influisca sui singoli operatori, sulle varie attività economiche, e più in generale sulla vita politico-economica del Paese, che non si ripercuota in Borsa attraverso una variazione dei prezzi. Si può trattare di avvenimenti di ordine naturale, politico-economico, commerciale, industriale, tecnico, fiscale, finanziario, monetario; spesso possono agire anche fattori di natura psicologica che colpiscono l’investitore ed accentuano i processi speculativi.

Se quanto detto finora risponde agli schemi teorici e alle impostazioni dottrinali più comuni, ci si dovrebbe attendere: a)uno stretto legame tra andamento del ciclo economico e andamento dell’economia finanziaria; b) un mercato borsistico fortemente condizionato dai fenomeni politico-sociali che attraversano il Paese, soprattutto se di natura epocale come nel caso italiano.

Sostiene infatti il ministro Ciampi nell’articolo su citato:

“Quando, nel giugno ‘92 il governo Amato trasformò gli enti pubblici economici in società per azioni, attribuendone la proprietà al Tesoro, pochi immaginavano che il nostro Paese, con le sue tradizioni di impresa pubblica, sarebbe stato capace di ridisegnare la frontiera fra il pubblico e il privato, di assicurare ai meccanismi di mercato piena operatività, di ricondurre lo Stato nel ruolo che gli è proprio di regolatore e di restituire al mercato quello di generatore e valutatore delle attività imprenditoriali”.

Ecco dichiarati i veri obiettivi delle privatizzazioni italiane: abbattere definitivamente la cosiddetta “terza via” incentrata su un’economia mista; distruggere anche culturalmente la concezione di uno Stato interventista e occupatore per restituirgli un ruolo di regolatore, cioè di chi impone alla società le regole dell’impresa e del Profit State; riaffermare la centralità del mercato, unica divinità capace di regolare l’intera attività economica intorno alle regole di efficienza di un’imprenditorialità aggressiva e selvaggia.

Se si effettua infatti una disamina approfondita del problema nel suo complesso ci si accorge che la divaricazione tra andamento dell’economia reale ed avvenimenti politico-sociali da una parte, ed andamento dell’economia finanziaria dall’altra non è dovuta semplicemente ed esclusivamente ad una scommessa sulle possibilità di ripresa e di risanamento sia economico sia politico-sociale del Paese, né sulle possibilità di rilancio e di modernizzazione del mercato borsistico dovute alla piena attuazione del suo processo di riforma in corso. Va infatti anche evidenziato che gli investimenti finanziari seguono una logica speculativa, attuando dei percorsi all’interno di dinamiche che spesso esulano dal quadro economico-politico, rincorrendo semplicemente una loro logica interna. Spiegazioni univoche sui mercati dei capitali sono quasi impossibili poiché non esiste una motivazione scientifica sull’andamento dei titoli; tutto è demandato ad una cieca fiducia nelle leggi di mercato senza meccanismi di controllo in grado di salvaguardare anche l’interesse generale, sociale, collettivo. E’ ovvio che il risparmio insegua le migliori condizioni di redditività, facendo spesso prevalere soltanto interessi speculativi, e rincorrendo così la speranza di alti profitti anche se ciò dovesse comportare alti costi sociali, realizzando, come in questo periodo, ad esempio il connubio tra profitti finanziari e alta disoccupazione.

Infatti continua nell’articolo il ministro Ciampi: “.... una impostazione di politica economica in cui le privatizzazioni sono componente essenziale...... i miglioramenti intervenuti dipendono dall’aver assoggettato alla disciplina del Codice Civile (cioè alla logica e alla disciplina privatistica, n.d.r.) l’industria di Stato; dalla professionalità di coloro che hanno condotto le imprese oggetto del programma di privatizzazione; dalla spinta verso l’efficienza e dalla vigilanza sui comportamenti che l’esposizione al mercato ha imposto.....privatizzare l’industria pubblica è sta decisione di grande momento storico: la sua attuazione ha contribuito a cambiare il Paese, il suo modo di essere, la sua mentalità”.

E di seguito ecco emergere quel principio che in tutto il mondo sta distruggendo la cultura e quel modello di sviluppo basato sull’investimento produttivo che crea occupazione, cioè il definitivo passaggio alla finanziarizzazione dell’economia. Infatti ecco che il precedente articolo si conclude con le raccomandazioni care all’ideologia della globalizzazione finanziaria: “.....Dalla fine del ‘93 il rapporto tra capitalizzazione delle società italiane quotate e il Prodotto Interno Lordo è passato dal 15% al 41%, riducendo fortemente il divario con le maggiori piazze finanziarie continentali... Tra i fattori del successo: dal lato dell’offerta, l’aumento di azioni affluite sul mercato con le privatizzazioni (la capitalizzazione di imprese oggetto di processi di privatizzazione costituisce oltre il 50% della capitalizzazione totale del mercato) e, dal lato della domanda, l’aumento delle risorse finanziarie rese disponibili dal risanamento della finanza pubblica... infine un’opera legislativa di ammodernamento della normativa finanziaria che, iniziata con il Testo Unico sulle banche nel 1992, è approdata al Testo Unico delle Disposizioni in materia di mercati finanziari, vigente dal 1 Luglio e continuerà con la riforma del diritto societario.... In conclusione, un lungo e fruttuoso cammino che intendiamo continuare. Ne fa parte l’iniziativa per Milano piazza finanziaria europea.... l’economia italiana con la ricchezza delle sue diversità, con i suoi distretti industriali, con la crescente diffusione dell’impresa in tutto il territorio nazionale”.

Nel nostro Paese ciò può essere reso possibile grazie ad almeno due decenni di finanza “allegra”, a cronache di dissesti annunciati, a falsi bilanci societari costruiti in funzione di nascondere forme illegali di finanziamento al sistema dei partiti attraverso intervcenti con fondi neri per influenzare la domanda e l’offerta pubblica; un capitalismo finanziario “selvaggio”, senza scrupoli, “senza legge”, spesso anzi “fuorilegge”; il tutto apparentemente giustificato dalle capacità di autoregolamentazione del mercato.

Altro che governo sensibile ai bisogni della gente comune! Non una parola sulle ricadute negative in termini sociali, occupazionali, di strategie economiche complessive che i processi di privatizzazione in Italia e nel mondo hanno determinato e continuano a determinare!

Tutto il ragionamento si riconduce ad una logica legata e subalterna a quella bolla finanziaria che non determina crescita reale ma solo una crescita apparente e fittizia basata sulla speculazione a facili profitti che permette, attraverso i supporti telematici, lo spostamento in pochi secondi di migliaia di miliardi di valute di ogni genere, al solo fine di destabilizzare i paesi, di controllarne l’economia e la politica, di soffocare ogni spinta verso processi di reale democrazia economica, riconducendo tutto, invece, a quel pensiero unico neoliberista di un Profit State globale.

Ma la politica economica neo-liberista incentrata sui processi di privatizzazione ha realizzato un quadro macroeconomico che, ad esempio, nel nostro Paese evidenzia per il 1997 e il 1998 tendenze recessive in molte aree, in particolare in quelle meridionali, contrazione e precarizzazione dell’occupazione, diminuzione dei salari reali, diminuzione dell’inflazione dovuta soprattutto al forte calo della domanda, aumento significativo delle fasce di povertà e di emarginazione, tassi di disoccupazione ufficiale e “invisibile” altissimi e l’emergere di sempre maggiori e drammatiche nuove condizioni di disagio economico-sociale diffuso. Così si sta costruendo l’Unione Europea della compatibilità alle performances d’impresa, il Profit State europeo che non tiene conto della salvaguardia di neppure un parametro di compatibilità sociale ed ambientale, di neppure un reale bisogno del cittadino lavoratore, per non parlare degli strati sociali più deboli.

Si osservino, ad esempio attentamente i dati delle Tabb. 3, 4, 5 6 e 7 e i Graff. 21, 22, e 23 (pag.seg.) a conferma di quanto scritto in precedenza.

Ne risulta che demandare tutto alle leggi di mercato è pura illusione in particolare in un momento in cui la salvaguardia dei profitti unitari si coniuga con una riduzione dei costi unitari di produzione, pur in presenza di recessione, e ciò grazie al taglio dei salari reali, ad una sensibile diminuzione dell’occupazione con conseguente forte contrazione dei consumi. La redditività degli investimenti nel sistema finanziario non può essere fine a se stessa, non può esulare dal mantenimento degli equilibri sociali.

La divaricazione fra crescita della ricchezza finanziaria e contrazione della ricchezza reale, tra economia reale ed economia finanziaria è stata ed è favorita nel nostro Paese non solo dalla speculazione internazionale, dalla mancanza di controllo, ma soprattutto da scelte di politica economica che, incentrandosi su una logica privatistica e sulla centralità culturale del Profit State, non producono e distribuiscono lavoro, reddito e ricchezza, ma distruggono risorse. Si osservino con attenzione, ad esempio, l’andamento delle variabili della Fig.4.

 

E’ evidente che i dati, i risultati derivano da scelte di politica economica che incentrandosi sulla privatizzazione dell’economia e anche della cultura del sociale diventano un più generale progetto basato su una completa ricomposizione dei conflitti e delle tensioni sociali, attraverso una ristrutturazione delle relazioni economiche ed industriali basate sulle logiche di un capitalismo selvaggio globale.

Le contraddizioni tra regole di mercato e garanzia di una qualità della vita dignitosa dei cittadini-lavoratori non sono risolvibili a partire dagli automatismi interni allo stesso mercato e imposte dalle politiche neo-liberiste.

La logica non può essere quella di un capitalismo “selvaggio” “senza legge” che insegue la mera realizzazione del profitto senza scrupoli, senza regole, creando così seri scompensi sociali in termini di aumento della disoccupazione e di abbassamento della qualità della vita in genere. Il processo di riconversione, di ristrutturazione, di innovazione tecnologica non può basarsi sul calo dell’occupazione, il limone dei redditi da lavoro dipendente non può continuare ad essere spremuto, le migliori politiche imprenditoriali non possono essere quelle basate su maggiori profitti derivanti da più alti tagli occupazionali. Il risparmio deve essere incanalato verso investimenti produttivi in senso ampio, capaci di creare ricchezza, lavoro e di attuare un miglioramento complessivo delle condizioni di vita e della protezione sociale.

Il messaggio politico e sociale che viene quotidianamente trasmesso, anche se con modalità a volte diverse, è sempre basato sulla considerazione dogmatica della validità dei criteri di efficienza dell’impostazione privatistica-imprenditoriale del Profit State, realizzando così ogni forma di flessibilità sociale, del lavoro e salariale, finalizzata all’abbattimento di ogni comportamento che si riveli rigido, conflittuale, non omologabile alle compatibilità del profitto, alle leggi di un mercato sempre meno regolato e sempre più selvaggio.

Con questa impostazione lo Stato si distanzia definitivamente dal suo ruolo di garante e regolatore dei conflitti, poiché assume la cultura d’impresa, la cultura della globalizzazione finanziaria a facile profitto e a bassissima compatibilità ecologica e sociale, come determinante, come principio e unità concreta di iniziativa, come organizzazione e gestione immediata della convivenza sociale. La centralità d’impresa del Profit State diventa per tutte le istituzioni fattore di determinazione politica, sociale ed economica, che riafferma attraverso processi di ristrutturazione economica e istituzionale complessiva a carattere epocale un attacco alle condizioni di vita dei lavoratori tutti e dei ceti deboli della società. Questo diventa così un tentativo di determinazione della rottura dell’unità di classe, per influenzare e affermare processi di mutamento della società seguendo una logica desolidarizzante con il tentativo dichiarato di affermare un patto sociale complessivo attraverso un consociativismo capace di annientare l’antagonismo e la conflittualità sociale.

E’ così ancora una volta dimostrata la capacità penetrativa del pensiero unico che propone come emergenti e vincenti le schiere di nuovi conservatori, di nuovi colonizzatori che tentano di esportare in tutto il mondo le regole della finanziarizzazione del Profit State.

In questo momento di mutamenti epocali bisogna avere il coraggio di uscire anche per le questioni economico-finanziarie fuori dai vecchi schemi teorici che si stanno rivelando superati, quando non addirittura capaci di giustificare meccanismi perversi e destabilizzanti. Si tratta di un nodo difficile da sciogliere utilizzando i tradizionali modelli di intervento; il mercato non può disciplinare se stesso, necessita della mediazione politica, di un intervento da parte dello Stato che realizzi la trasparenza, l’efficienza e la competitività del mercato, salvaguardando però l’interesse sociale generale, garantendo condizioni di parità ai partecipanti e indirizzando le risorse finanziarie a chi è in grado di coniugare redditività e giustizia sociale e distributiva, creando ricchezza e lavoro.

Le contraddizioni tra regole di mercato e garanzia degli equilibri sociali non sono risolvibili a partire da automatismi interni allo stesso sistema economico-finanziario. Senza cadere nell’assurda logica del “si stava meglio quando si stava peggio”, con finti mercati concorrenziali, guidati da un indissolubile intreccio tra sistema politico, mondo degli affari e della finanza con protezioni e favori reciproci coprendo quotidiani fenomeni di “criminalità finanziaria”, bisogna però ristabilire il ruolo di mediazione della politica con un sistema di mercato sottoposto al controllo dell’autorità pubblica, ma indipendente dalle logiche partitiche e del potere economico; con un potere politico separato dal potere economico ed uno Stato garante delle esigenze collettive e degli equilibri sociali, con controlli reali e trasparenza.

 

L’obiettivo dichiarato di questa analisi-inchiesta era quello di tentare di fornire gli arnesi scientifici, gli strumenti di riflessione per interpretare e superare questo modello di sviluppo del Profit State completamente iniquo e desolarizzante. Speriamo di aver fornito utili elementi alla riflessione nel percorso di trasformazione radicale dello stato presente delle cose. Noi ne siamo usciti culturalmente arricchiti, speriamo lo stesso i lettori che, come dice Antonio Machado, camminando fanno con noi il cammino.

Ci piace, infatti concludere riportando l’inizio e la fine del bel libro di Luis Sepulveda “Patagonia Express”:

Bene eccoci qua, dico sottovoce, e un gabbiano si volta a guardarmi un istante. < Un uomo matto>, penserà il gabbiano, perché in realtà sono solo, davanti al mare....

Iniziai a camminare nel parco, poi per le strade deserte, e all’improvviso mi accorsi che l’eco dei miei passi si moltiplicava. Non ero solo. Non sarei stato solo mai più. Coloane mi aveva passato i suoi fantasmi, i suoi personaggi, gli indio e gli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patagonia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi del mare. Adesso sono tutti con me e mi permettono di dire a voce alta che vivere è un magnifico esercizio”.